Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5786 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 03/03/2021), n.5786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6998/2014 R.G. proposto da

F.G., rappresentato e difeso, giusta mandato in calce alla

comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. Nespoli

Emilio Antonio, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Versace Raffaele, in Roma, Corso Trieste n. 185;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 109/32/2013, depositata il 30 luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre

2020 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1.La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva solo parzialmente l’appello proposto da F.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 120/18/12), che aveva rigettato il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, con accertamento sintetico, per l’anno 2005. In particolare, il giudice di appello accoglieva unicamente la doglianza del contribuente in ordine alla contitolarità dell’immobile, appartenente per il 50 % alla moglie B.L., riducendo il reddito accertato da Euro 97.157,21 ad Euro 84.657,21, con decurtazione della somma di Euro 12.500,00. La Commissione regionale riteneva, invece, corretto l’avviso di accertamento sia in relazione all’acquisto della quota della Radiatori Adda s.n.c., sua società, dell’importo di Euro 203.016,00, in quanto la documentazione prodotta a dimostrazione del prestito di Euro 50.000,00 ricevuto dalla medesima società non era sufficiente, sia per la mancata considerazione dell’agevolazione sugli investimenti della società ai sensi della L. n. 383 del 200, art. 4.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, depositando anche memoria scritta.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.Con il primo motivo di impugnazione, rubricato a pagina 18 del ricorso per cassazione come “I motivo”, che si articola però in due diverse censure, il contribuente deduce la “violazione falsa applicazione di norme (L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4, D.L. 10 giugno 1004, n. 357, art. 3 (convertito in L. 8 agosto 1994, n. 489), Circolare 27 ottobre 2009, n. 44/E e Circolare 9 agosto 2007, n. 49/E – punto 4.3.), nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4″, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto dell’investimento effettuato dalla Radiatori Adda s.n.c. nel 2002, ai sensi della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4 per l’acquisto di un capannone” con una “detassazione” di Euro 358.763,00, da utilizzare negli anni seguenti. Tale deduzione è avvenuta portando in deduzione, nelle dichiarazioni fiscali mod. Unico, dal reddito conseguito nel 2002 l’importo agevolato di Euro 358.763, dando luogo ad una “perdita fiscale virtuale”, trasferita in capo ai soci, nel loro quadro RH, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma, 2, artt. 9 e 56.

1.1.Tale motivo è fondato, in relazione alla prima delle due censure, mentre non sussiste il vizio di nullità della sentenza per motivazione omessa o apparente di cui alla seconda articolazione del primo motivo (360 n. 4 c.p.c.), riportata a pagina 30 del ricorso per cassazione. La sentenza del giudice di appello, non solo è esistente graficamente, ma presenta anche una sufficiente argomentazione, seppure errata, come in seguito si evidenzierà.

1.2.Invero, ai sensi della L. n. 383 del 2001, art. 4″ E escluso dall’imposizione del reddito di impresa e di lavoro autonomo il 50% del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge successivamente al 30 giugno e nell’intero periodo di imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore”. Il medesimo articolo, comma 4 dispone, poi, che “per investimento si intende la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione, l’ammodernamento di impianti esistenti ed acquisto di beni strumentali nuovi anche mediante contratti di locazione finanziaria. L’investimento immobiliare e limitato i beni strumentali per natura”.

Pertanto, avendo provveduto la società all’acquisto di un capannone, la stessa aveva diritto al beneficio fiscale.

1.3.Per quanto attiene alle modalità di computo del beneficio sia in capo alla società di persone che ai soci, per il principio di “trasparenza” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, devono trovare applicazione il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma 2, artt. 9 e 56.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma 2, prevede che “le perdite delle società in nome collettivo e in accomandita semplice di cui all’art. 5, nonchè quelle delle società semplici e delle associazioni di cui allo stesso articolo derivanti dall’esercizio di arti e professioni, si sottraggono per ciascun socio o associato nella proporzione stabilita dall’art. 5”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9 prevede che “i redditi e le perdite che concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati distintamente per ciascuna categoria, secondo le disposizioni di successivi capi, in base al risultato complessivo netto di tutti i cespiti che rientrano nella stessa categoria. Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti”. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, comma 2 dispone che “se dall’applicazione del comma 1 risulta una perdita, questa, al netto dei proventi esenti dall’imposta per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi… è computata in diminuzione del reddito complessivo a norma dell’art. 8”.

1.4. L’agevolazione prevista dalla L. n. 383 del 2001, art. 3 consisteva, dunque, nella diminuzione della base imponibile, operata extra contabilmente attraverso l’iscrizione nella denuncia dei redditi di una “variazione in diminuzione”, per l’ammontare determinato in base ai criteri applicativi dell’agevolazione.

1.5. Pertanto, in base alla normativa sopra richiamata, la società Radiatori Adda

s.n.c., con riferimento all’anno 2002, ha indicato nel quadro RF l’importo di Euro

358.763,00, quale “reddito detassato”, come risulta dal modello della dichiarazione dei redditi della società riportato integralmente, quanto al quadro RF, nel ricorso per cassazione (pagina 20).

1.6.Nel quadro RH della dichiarazione dei redditi del contribuente, relativa all’anno 2005, riportato nel ricorso per cassazione (pagina 21), si rinviene nel rigo RH7 “redditi di partecipazione in società esercenti attività di impresa Euro 28.622,00”. Successivamente al rigo RH12 si indica “perdite d’impresa di esercizi precedenti Euro 28.622,00”. Il riferimento alla società Radiatori Adda s.n.c. si rinviene nell’indicazione del codice fiscale della società nella dichiarazione del socio (04250410158).

Tali documenti sono stati già prodotti dal contribuente in data 13-1-2011 dinanzi alla Commissione provinciale.

Pertanto, dal 2003 in poi, quindi ricomprendendo anche il 2005, e fino al raggiungimento della soglia del reddito “agevolato”, i redditi “effettivi” dei soci, indicati tutti nel quadro RH, sono stati “azzerati” dalle perdite “virtuali” sorte dalla agevolazione per l’acquisto da parte della società del bene strumentale. I soci, dunque, pagavano un minore importo di imposte, in quanto la società aveva investito in beni strumentali.

1.7.Non risulta che tali fatti siano stati mai contestati dalla Agenzia delle entrate, mentre deve valutarsi se l’agevolazione in capo alla società ai sensi della L. n. 383 del 2001, art. 4, che dispiega i suoi effetti anche in favore dei soci, possa avere rilievo in caso di accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

1.8. Non v’è dubbio che, anche in presenza di accertamento sintetico, nella specie fondato su vari elementi, sia a titolo di possesso di beni (abitazione principale, abitazione secondaria, autovetture ed altro), sia a titolo di incrementi patrimoniali (acquisto di quote di s.n.c., acquisto di auto Audi, acquisto di terreno ed altro), debba tenersi conto anche della “perdita virtuale” generatasi a seguito della agevolazione fiscale di cui alla legge Tremonti bis (L. n. 383 del 2001, art. 4) di cui ha usufruito la società per l’acquisto del capannone.

1.9.Del resto, deve tenersi conto anche del fatto che per l’anno 2006 l’Agenzia delle entrate, nel computo dei redditi del contribuente, sempre con l’utilizzo del metodo sintetico, ha riconosciuto al F. la “perdita virtuale”, proveniente sempre dall’acquisto societario del 2002. Peraltro, anche le circolari della Agenzia delle entrate, ovviamente non utilizzabile come parametro normativo, che può essere considerato ai fini della censura del vizio di violazione di legge, depongono in tal senso.

1.10. La Circolare dell’agenzia delle entrate n. 49/E del 9 agosto 2007, proprio in tema di accertamento sintetico, ha previsto (paragrafo 4.3.: esame degli elementi forniti dal contribuente) che “gli uffici dovranno tenere presente ogni argomentazione ed elemento di valutazione forniti dal contribuente, al fine di pervenire a determinazioni reddituali pienamente convincenti, in particolare, quando la determinazione sintetica del reddito complessivo netto si fonda unicamente sul contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva… Gli Uffici dovranno esaminare la documentazione prodotta dal contribuente, valutandone la probatorietà in relazione al possesso ed effettivo utilizzo nello specifico periodo d’imposta, nell’ambito del biennio oggetto di controllo, di: redditi esenti…”. Inoltre, si prevede, nel medesimo paragrafo 4.3. che “gli Uffici dovranno …. vagliare eventuali diverse giustificazioni, anche riferibili ai componenti il nucleo familiare, dello stesso tenore documentale, che pur non essendo espressamente considerate nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 sono tuttavia suscettibili di apprezzamento, quali ad esempio: … utilizzo di effettivi redditi conseguiti a fronte di importi fiscali convenzionali (ad esempio, i redditi agrari tassati non in base al reddito effettivamente prodotto, bensì alle rendite catastali aggiornate)”.

1.11. La Circ. AdE 27 ottobre 2009, n. 44/E, con riferimento alla applicazione del D.L. n. 79 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009 (Tremonti ter), relativa alla “detassazione degli investimenti in macchinari”, al paragrafo 4 (fruizione dell’agevolazione), prevede che “l’agevolazione è fruita apportando una variazione in diminuzione della base imponibile del reddito di impresa del periodo di imposta di effettuazione degli investimenti agevolabili, secondo i criteri sopra richiamati”. Si aggiunge che “la detassazione opera indipendentemente dal risultato di esercizio ottenuto (utile o perdita)”. Si precisa, inoltre, che la detassazione “potrà quindi essere dedotta dal reddito complessivo se derivante dall’esercizio di imprese commerciali di cui all’art. 66 (imprese minori); sarà invece computata in diminuzione dai relativi redditi conseguiti nel periodo d’imposta e, per la differenza, nei successivi, ma non oltre il quinto, se derivante dall’esercizio di imprese commerciali in contabilità ordinaria”.

Tale agevolazione “consiste nell’esclusione dal reddito di impresa di un importo determinato in funzione degli investimenti, ottenuta mediante una variazione in diminuzione del reddito imponibile. Ai fini fiscali, l’effetto che ne deriva si sostanzia in una riduzione d’imposta che, coerentemente con quanto previsto nelle precedenti analoghe disposizioni agevolative, non assume autonomo rilievo per la determinazione del reddito stesso”.

1.12.Pertanto, poichè il contribuente, nella sua dichiarazione dei redditi dell’anno 2005, non ha dichiarato un reddito pari a zero, al netto del beneficio della Tremonti bis, ma l’importo di Euro 28.622,00, quale “perdita di impresa di esercizi precedenti”, tale importo non poteva essere “azzerato” in sede di accertamento sintetico. Agli importi accertati in modo sintetico dove essere dedotto quello di Euro 28.622,00.

1.13.Sul punto la Commissione regionale è incorsa nel vizio di violazione di legge, in quanto ha affermato che “in considerazione però della legittimità dell’accertamento qualora lo scostamento tra il reddito dichiarato e quello accertabile sia di almeno 1/4, il riconoscimento di tale reddito di partecipazione non incide sulla liceità dell’atto impositivo”.

In tal modo, il giudice di appello si limita a giustificare la legittimità dell’accertamento sintetico che, nell’anno in contestazione, richiedeva quale elemento necessario per la sua applicazione lo scostamento di almeno 1/4 tra il reddito dichiarato e quello accertato. Nella specie, però, il motivo di contestazione non atteneva alla legittimità dell’utilizzo del metodo sintetico, ma dei risultati cui era pervenuto l’Ufficio, che avrebbe dovuto decurtare i redditi accertati dell’importo dei redditi “esenti”, nel caso in esame della “perdita virtuale” del socio, in collegamento con l’agevolazione fiscale riconosciuta alla società che aveva effettuato un investimento ai sensi della L. n. 383 del 2001, art. 4 (Tremonti bis).

2. Con il secondo motivo di impugnazione (rubricato a pagina 31 del ricorso per cassazione II motivo) il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione di norme (115, 116 c.p.c.), nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto di non procedere alla decurtazione della somma di Euro 50.000,00, relativo all’acquisto da parte del contribuente delle quote della sua società Radiatori Adda s.n.c. La Commissione regionale ha affermato che i documenti prodotti dal contribuente non erano sufficienti a dimostrare che la provvista per l’acquisto delle quote della società gli era stata fornita con un prestito di Euro 50.000,00 dalla società stessa, non essendo stati prodotti ulteriori documenti, pure indicati: lo stato patrimoniale al 31-12-2005, la scheda contabile della movimentazione in esame, la copia dell’estratto conto del F. da cui si potesse verificare la “percezione” di tale somma.

2.1.La violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, riportata a pagina 40 del ricorso per cassazione, sotto il profilo della motivazione omessa o apparente, non è fondata.

Invero, il giudice di appello ha congruamente motivato in ordine alla insufficienza dei documenti prodotti dal contribuente per dimostrare l’avvenuto prestito in suo favore da parte della Radiatori Adda s.n.c. della somma di Euro50.000,00 per consentirgli di acquistare quote della medesima società a seguito della uscita di altro socio.

2.2.Non è fondato neppure il vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c..

2.3.Invero, in realtà, il ricorrente, con una formale deduzione di violazione di legge, pretende una rivalutazione degli elementi istruttori già compiuta in modo corretto dal giudice di appello, ed in questa sede non consentita.

Per il ricorrente, infatti, nel giudizio di merito sarebbe stata fornita la prova del prestito di Euro 50.000,00 che gli avrebbe consentito di acquistare la quota di un socio uscente della Radiatori Adda s.n.c., per l’importo complessivo di Euro 203.016,00. L’Agenzia delle entrate ha imputato 1/5 di tale importo (Euro 40.603,00), all’anno 2005, mentre il contribuente avrebbe provato di avere utilizzato per tale investimento non redditi celati al Fisco, ma tale disponibilità ottenuta in prestito dalla medesima società. Vi è in atti un bonifico di Euro 50.000,00 della società con causale “a favore di F.G.”, in data 2010-2005. Un bonifico del medesimo importo è stato versato in favore dell’altro socio M., come risulterebbe anche dal libro giornale. Nello stato patrimoniale al 31-12-2006, poi, risulterebbe un credito verso soci della società per Euro 102.000,00.

2.4.La motivazione del giudice di appello, non aggredita con la censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche perchè trattasi di un giudizio con “doppia conforme” nel giudizio di merito, per lo meno su questo aspetto, essendo stato depositato l’atto di appello del contribuente in data 19-12-2012, quando era già applicabile l’art. 348-ter c.p.c. (per gli appelli depositati a decorrere dall’11-9-2012), è congruamente motivata.

I documenti prodotti nel giudizio di merito non dimostrano in alcun modo la percezione effettiva delle somme da parte del contribuente e, soprattutto, non dimostrano la riferibilità di tale somma (Euro 50.000) ad un asserito prestito della società.

La causale del bonifico è del tutto generica. Lo stato patrimoniale della società al 31-12-2006 dimostra solo l’esistenza di un credito verso soci per la somma di Euro 102.000, che non corrisponde alle somme elargite ai due soci, pari ad Euro 100.000,00. Nè vi è la prova della effettiva ricezione delle somme da parte del F., a titolo di mutuo ricevuto.

Lo stato patrimoniale al 31-12-2005 avrebbe consentito di verificare le modalità di appostazione del preteso prestito ai soci in tale annualità e l’esatto importo dello stesso.

2.5. Inoltre, per questa Corte la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass., sez. L., 19 giugno 2014, n. 13960).

Si è chiarito che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940).

Nè sussiste nella specie un “errore di percezione” da parte del giudice di appello. Invero, per questa Corte, in materia di ricorso per cassazione, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass., sez. L., 24 ottobre 2018, n. 27033).

2.6. L’art. 115 c.p.c. può essere dedotto come vizio di violazione di legge solo se il giudice ha posto a fondamento della sua decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (Cass., sez. 6-3, 23 ottobre 2018, n. 26769).

3.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo motivo del ricorso; rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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