Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5782 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 03/03/2021), n.5782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.L.F., elettivamente domiciliato in Roma, via dei Monti

Parioli n. 48, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Marini che lo

rappresenta e difende unitamente all’Avv. Loris Tosi per procura a

margine del controricorso con ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

gli Uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 79/19/12 della Commissione

tributaria regionale del Veneto-Venezia-Mestre, depositata in data 8

ottobre 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 dicembre 2020 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate, Ufficio di Vicenza, emise avvisi di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, con i quali rideterminò, ai fini dell’IRPEF degli anni 2003 e 2004, i redditi di D.L.F..

I ricorsi proposti dal contribuente avverso gli atti impositivi vennero, previa riunione, accolti dall’adita Commissione tributaria provinciale e quella decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, venne parzialmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale del Veneto (d’ora in poi, per brevità C.T.R.) la quale determinò l’imponibile, per l’anno 2003, in Euro 23.474,00 e per l’anno 2004, in Euro 53.196,00 (come da contraddittorio del 7.5.2009).

Il Giudice di appello – ribadita la legittimità degli atti impositivi e rilevato che, dal verbale di contraddittorio, tenutosi il 7.5 2009, il contribuente aveva documentato di avere, negli anni oggetto di accertamento, posto in essere movimentazioni finanziarie considerevoli nonchè prelevamenti, mentre nulla aveva esposto in ordine ai due immobili, a disposizione dei coniugi in Sardegna- ha ritenuto congrua la proposta di riduzione dei valori accertati come effettuata in quella sede dall’Amministrazione e ha, conseguenzialmente, rideterminato in quella misura i redditi imponibili.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso, affidato a sei motivi, il contribuente.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 113 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, laddove la C.T.R. aveva ritenuto che quanto proposto dall’Agenzia delle entrate in sede di contraddittorio costituisca “un’equa rideterminazione del reddito imponibile in base alla normativa contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4” senza spiegare l’iter logico giuridico adottato per la determinazione di tale importo.

2. Con il secondo motivo vengono riproposte le doglianze di cui al primo mezzo di impugnazione, sotto l’egida dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

3. Con il terzo motivo si deduce, questa volta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del procedimento tributario, non essendo ivi possibile ricorrere a valutazioni equitative.

4. I motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono inammissibile il secondo, infondati il primo e il terzo.

4.1. In ordine al primo e al terzo motivo è sufficiente rilevare, come emerge, dal testo della sentenza impugnata, che la C.T.R. non ha deciso secondo equità, secondo i parametri di cui all’art. 113 c.p.c. ma ha fondato la sua decisione su elementi di fatto e considerazioni in diritto che, seppur in forma stringata, esplicitano l’iter che ha condotto il Giudice di appello alla decisione.

Questa Corte è, infatti, ferma nel ritenere che “In tema di contenzioso tributario, la valutazione del giudice tributario, in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la cd. equità sostitutiva che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. In relazione ad essa non è quindi ipotizzabile la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2 e rientrando detto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della carenza o inadeguatezza della corrispondente motivazione. (Cass.6 – 5, Ordinanza n. 25707 del 21/12/2015; 7354 del 23/03/2018; 16960 del 25/06/2019).

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che il Giudice tributario non ha deciso la controversia secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, quanto, piuttosto, ha rideterminato l’imponibile (nella misura del 15A) di quello accertato sinteticamente), sulla base degli elementi probatori ritenuti idonei, ancorandolo agli importi proposti dall’Amministrazione in sede di accertamento con adesione (conclusosi con esito negativo).

4.2 Il secondo motivo è inammissibile perchè non viene individuato un “fatto” nella sua accezione fenomenica-naturalistica ma la stessa questione (omessa esplicitazione del percorso motivazionale) di cui al primo motivo.

5. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, laddove la Commissione tributaria regionale non prende atto che le presunzioni utilizzate con l’accertamento sintetico hanno natura di presunzioni semplici e non legali.

6. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione del D.M. 10 settembre 1992, art. 38 cit. nonchè art. 4, comma 2, laddove la C.T.R., nonostante l’acclarata presenza di redditi e rendite finanziarie già tassate alla fonte, di notevoli smobilizzi patrimoniali e di cospicui prelevamenti, per importi complessivi ben superiori al reddito sinteticamente accertato dall’Amministrazione finanziaria, aveva ritenuto di non annullare integralmente gli atti impositivi impugnati.

7. Infine, con il sesto motivo, si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame, da parte della C.T.R. del fatto, decisivo e controverso della vicenda, costituito dall’avvenuta dimostrazione da parte del contribuente che l’intero maggiore reddito, determinato o determinabile sinteticamente, era costituito da redditi soggetti a ritenuta alla fonte e da smobilizzi patrimoniali. (è articolato più come un’omessa pronuncia sulle eccezioni.

8. I motivi, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente.

8.1 Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Resta salva, in ogni caso, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).

8.2. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1909/2007) è granitica nel ritenere che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”. E, in via generale, che l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione semplice genera, peraltro, l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà. (Cass. n. 5991/2006, richiamata, di recente, da Cass. n. 2015/2014). Infine, costituisce principio altrettanto consolidato quello per cui ” la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass., sent. n. 16912/2016; sent. n. 17793/2017, idn. 27811/18).

8.3. In punto di onere della prova, poi, è, ormai pacifico l’orientamento, introdotto da Cass.n. 8995/2014 e n. 22944/2015, secondo cui “la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. E’ peraltro appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente)”. Si è, anche di recente, ulteriormente specificato che “nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa. (v. Cass. n. 21700 del 08/10/2020).

8.4 Così illustrato il quadro normativa di riferimento, come interpretato da questa Corte, alla luce dei principi sopra illustrati, è infondato il quarto motivo in quanto la C.T.R. nello statuire la legittimità degli avvisi di accertamento impugnati e nel valutare, ritenendola, peraltro, in parte idonea a superare la presunzione data dal possesso dei beni indice, la prova contraria fornita dal contribuente, si è correttamente mossa nel solco interpretativo tracciato dal Giudice di legittimità.

8.5. Sono, invece, fondati il quinto e il sesto. La C.T.R., invero, nella rideterminazione del reddito imponibile, non ha correttamente applicato i principi espressi da questa Corte (e sopra illustrati) in ordine al tipo di prova che il contribuente deve fornire al fine di vincere la presunzione data dal possesso dei beni indice ovvero dalle spese per il loro mantenimento ed ha, sul punto, effettuato un accertamento in fatto che non tiene specificamente in conto tutti gli elementi fattuali forniti dal contribuente e che, ove esaminati, avrebbero potuto condurre a una diversa decisione;

9 Ne consegue, in accoglimento del quinto e del sesto motivo, infondati il primo, il terzo e il quarto, inammissibile il secondo, la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

PQM

Accoglie il quinto e il sesto motivo di ricorso.

Cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto – sez. Venezia-Mestre, in diversa composizione, cui demanda di provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

 

 

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