Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 578 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. trib., 12/01/2017, (ud. 01/12/2016, dep.12/01/2017),  n. 578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15574/2010 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 24,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SCAVUZZO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LUCIANA ROSTELLI, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato ANGELA RAIMONDO, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA GERIT SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 89/2009 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 24/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato RAIMONDO che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

B.F. propone sei motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 89/21/09 del 22 aprile 2009 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento notificatagli dal concessionario per la riscossione del Comune di Roma a titolo di imposta di pubblicità 1998 e relative sanzioni.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto: – la validità della rappresentanza processuale del Comune in capo al dirigente del servizio pubblicità ed affissioni; – la regolarità della notificazione tanto della cartella quanto dei prodromici avvisi di accertamento, già impugnati dal contribuente.

Resiste con controricorso il Comune di Roma, mentre nessuna attività difensiva è stata in questa sede svolta da Equitalia Gerit spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1.1 Con il primo motivo di ricorso il Berardi lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50; D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 11 e 75 c.p.c.; per avere la commissione tributaria regionale affermato la legittimazione processuale del funzionario del servizio pubbliche affissioni, nonostante che la rappresentanza del Comune spettasse in via esclusiva al Sindaco, ovvero al dirigente del servizio tributi.

p. 1.2 La censura è infondata.

Fermo restando che il Sindaco ha sempre la potestà rappresentativa dell’ente comunale, tale potestà può legittimamente individuarsi – se previsto dallo statuto o dal regolamento da quest’ultimo richiamato – anche in persona del dirigente del settore di competenza.

Già le SSUU (sent. n. 12868/05) di questa corte hanno avuto modo di stabilire che: “nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune – ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico – amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il Sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell’art. 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (…)”.

Per quanto concerne, in particolare, il contenzioso davanti alle commissioni tributarie, rileva altresì quanto disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 3 – come sostituito dal D.L. n. 44 del 2005, convertito c.m. in L. n. 88 del 2005, ed espressamente dichiarato applicabile anche ai giudizi in corso – secondo cui l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche tramite il dirigente dell’ufficio-tributi ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio.

Non varrebbe obiettare che il Comune di Roma è stato qui rappresentato, nei gradi di merito, non dal dirigente del servizio tributi ma da quello del servizio pubblicità e affissioni.

Va infatti richiamato quanto più volte stabilito, in proposito, da questa corte di legittimità secondo cui, a seguito della riforma del Tit. 5 della Cost. e del regime delle autonomie degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, i regolamenti comunali possono legittimamente prevedere che, nel contenzioso avanti alle commissioni tributarie, a rappresentare in giudizio l’ente sia un dirigente del servizio di competenza, ancorchè diverso da quello dell’ufficio-tributi; e ciò senza necessità di specifica delibera autorizzativa della giunta comunale.

Questo orientamento è stato specificamente riferito anche alla ritenuta validità della rappresentanza processuale da parte del responsabile del servizio pubblicità ed affissioni del Comune di Roma (Cass. nn. 14637/07; 6807/09; 10832/12), posto che: “lo Statuto del Comune di Roma (appr. con Delib. Conc. 17 luglio 2000, n. 122, mod. Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), prevede, all’art. 24, comma 1, che il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente; quindi, all’art. 34, comma 4, stabilisce che “I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigerè. Sulla base di quest’ultima norma statutaria, il regolamento attuativo (appr. Delib. G.M. 25 febbraio 2000, n. 130), nel dettare la disciplina interna del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie, dispone, all’art. 3, che i dirigenti hanno il potere di decisione autonoma sulla scelta di resistere, intervenire e agire nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, valutando tutti gli aspetti della controversia in fatto e in diritto, e il potere di rappresentanza diretta del Comune sottoscrivendo gli atti processuali”. Così concludendosi che: “tale potere di rappresentanza processuale dei dirigenti deve intendersi, dunque, assolutamente pacifico riguardo ai giudizi davanti alle commissioni tributarie” (Cass. 10832/12 cit.).

Si tratta di indirizzo che è stato anche più recentemente riaffermato da Cass. 8319/14.

p. 2.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 56 e 57; per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che le eccezioni avversarie erano state dal Comune dedotte per la prima volta in appello, con conseguente violazione delle preclusioni.

Viene formulato – ex art. 366 bis c.p.c., qui applicabile ratione temporis il seguente quesito di diritto “se nel processo tributario la parte resistente possa articolare successivamente alla propria costituzione in giudizio in primo grado, avvenuta con comparsa assolutamente generica ed inconferente rispetto ai motivi di ricorso proposti dal contribuente, le proprie difese proponendo anche eccezioni non rilevabili d’ufficio, ovvero debbano tali attività ritenersi precluse ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 32, 56 e 57”.

p. 2.2 Questa censura deve ritenersi inammissibile; sia perchè assistita da un quesito di diritto del tutto generico ed astratto e, come tale, inidoneo a dare contezza degli esatti termini della fattispecie processuale di cui si lamenta il malgoverno da parte del giudice di merito; sia perchè carente del requisito generale di autosufficienza di cui all’art. 360 c.p.c., n. 6.

Con essa si dà per scontato che la costituzione in giudizio in primo grado del Comune di Roma sia avvenuta con una comparsa “assolutamente generica ed inconferente rispetto ai motivi di ricorso proposti dal contribuente”, senza però evidenziare gli elementi che dovrebbero rendere fondata ed oggettivamente condivisibile questa valutazione. Inoltre, non si chiarisce in alcun modo quale fosse il tenore delle eccezioni inammissibili perchè opposte dal Comune per la prima volta in appello.

Specificazione, quest’ultima, tanto più necessaria in considerazione del fatto che le eccezioni precluse in appello sono solo quelle non rilevabili anche d’ufficio; e, soprattutto, del fatto che ad essere precluse dal regime di novità in appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, sono soltanto le eccezioni in senso stretto, non anche le mere difese e le argomentazioni giuridiche di contrasto inidonee a determinare il mutamento del tema decisionale.

In definitiva, la difformità del quesito di diritto al modello legale (comportante ex lege l’inammissibilità del motivo: tra le molte, Cass., sez. un., 2658/08; Cass. nn. 19769/08; 24339/08; 7197/09; 22704/10; 25903/13), in una con la completa genericità della doglianza in rapporto alla specificità della vicenda processuale in esame, depongono senz’altro per l’inaccoglibilità del motivo.

p. 3.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 9 e 10 e D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 17 e 25; posto che il Comune non aveva allegato alla cartella i prodromici avvisi di accertamento e liquidazione e che, inoltre, la notifica tanto degli avvisi quanto della cartella era intervenuta oltre il termine legale di decadenza.

Viene formulato il seguente quesito di diritto: “se deve ritenersi legittima una cartella di pagamento notificata al contribuente priva di qualsiasi allegato relativo agli atti richiamati, non riproducendone neppure sinteticamente il contenuto come previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7”.

p. 3.2 Nemmeno questa doglianza può trovare accoglimento.

Per quanto concerne la mancata allegazione alla cartella degli avvisi di accertamento, basterà osservare come si trattasse di avvisi già debitamente notificati al contribuente; e dunque a questi integralmente e legalmente noti, al punto da essere stati fatti da lui oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale (come osservato dalla commissione tributaria regionale con affermazione qui non censurata). Si verte, pertanto, di situazione diversa da quella considerata dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, nella quale l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato presuppone che quest’ultimo non sia già noto al contribuente (tra le molte, Cass. 15327/14).

Da ciò consegue l’infondatezza altresì della parte di doglianza – peraltro non evincibile dal quesito di diritto su riportato – relativa all’asserita decadenza dall’attività di riscossione. Non meglio argomentata dal ricorrente se non con riguardo alla mancata esplicitazione, nella cartella, degli avvisi di accertamento posti a suo fondamento; per il che, vale però quanto appena considerato.

p. 4.1 Con il quarto motivo il B. lamenta carenza di legittimazione passiva per l’annualità di imposta in oggetto, posto che la cartella sarebbe stata emessa e notificata allorquando la sua ditta individuale più non esisteva, in quanto sostituita da una società di capitali (la Publy Creative srl).

p. 4.2 Non si tratta nemmeno, a ben vedere, di vera e propria censura della decisione di appello.

Quest’ultima non ha infatti statuito alcunchè sul punto, posto che la questione della carenza di legittimazione passiva nel rapporto tributario era stata dal B. sollevata avanti alla commissione tributaria provinciale; ma, a fronte del suo rigetto da parte del primo giudice, tale questione non era stata più riproposta in appello (come risulta dalla sentenza qui impugnata, che indica analiticamente i motivi di gravame proposti dal contribuente, in forza di una ricostruzione del processo che non ha trovato smentita alcuna nel ricorso in esame).

Ne deriva che la mera riaffermazione, in questa sede, del problema urta insuperabilmente con il giudicato interno già formatosi (sentenza di primo grado) sulla effettiva sussistenza della responsabilità tributaria del B. per l’annualità di imposta in oggetto. Non senza tralasciare di considerare, comunque, come del tutto inconferente sia contestare tale legittimazione passiva tributaria assumendo l’avvenuta estinzione della ditta individuale di pubblicità del B. alla data di emissione della cartella di pagamentò, piuttosto che a quella di effettivo espletamento della prestazione pubblicitaria oggetto di imposizione.

p. 5.1 Con il quinto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68; dal momento che, stante l’avvenuta impugnazione degli atti prodromici, l’iscrizione a ruolo poteva ritenersi consentita non per l’intero, ma soltanto in misura frazionata.

p. 5.2 Si tratta di doglianza infondata in forza del seguente principio di diritto, esattamente in termini: “in tema di imposta comunale sulla pubblicità, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 9, comma 5, non prevede, in pendenza del giudizio di primo grado contro l’avviso di accertamento, l’iscrizione a ruolo per frazioni della somma complessivamente pretesa dall’erario. Da ciò consegue che, anche quando il contribuente abbia impugnato in sede giudiziaria l’avviso di accertamento, resta consentito all’ente impositore di provvedere all’iscrizione a ruolo della pretesa tributaria per intero, attesa peraltro l’inapplicabilità del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, il quale prevede la riscossione frazionata del tributo solo per le somme determinate a seguito di una sentenza tributaria di merito” (Cass. n. 7785/08; così pure, ancorchè con riguardo ad un diverso tributo locale, però assoggettato al medesimo regime di riscossione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72, Cass. 28091/09).

p. 6.1 Con il sesto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 e L. n. 212 del 2000, art. 7; posto che la cartella in questione non recava una sottoscrizione, nè l’indicazione del responsabile del procedimento esattoriale.

p. 6.2 La doglianza è infondata sotto tutti i profili nei quali si articola.

Per quanto concerne la mancata sottoscrizione della cartella da parte del funzionario emittente, rileva – stante la specialità del rapporto tributario e delle regole che presiedono alla realizzazione della pretesa impositiva – la non totale coincidenza con le prescrizioni generali dettate per l’atto di precetto; di cui, pure, la cartella mutua la sostanza.

Ciò in ragione proprio della ricomprensione della cartella di pagamento nell’ambito di un processo di natura amministrativa dotato di una disciplina sua propria.

Questa conclusione si desume da quanto già stabilito da C.Cost., ord. 117/00, la quale ha avuto modo di affermare la manifesta infondatezza, “per palese erroneità del presupposto su cui essa si fonda, circa l’essenzialità della sottoscrizione autografa per ogni atto amministrativo, della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, denunziato in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost., nella parte in cui omette di indicare la sottoscrizione autografa tra gli elementi costitutivi della cartella di pagamento. Costituisce infatti diritto vivente, il principio secondo cui l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene”.

Il “diritto vivente” richiamato dalla Corte Costituzionale ha trovato, del resto, anche recenti ripetute conferme nel senso che, in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana. Ciò perchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui essa sia prevista dalla legge mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (da ultimo, Cass. 26053/15; 25773/14).

Nel caso di specie è pacifico che non si controvertesse di identificazione o attribuzione della cartella ad una determinata pretesa tributaria facente capo ad un determinato ufficio dell’amministrazione comunale, quanto soltanto di mancata identificazione della persona fisica del funzionario emittente. Sì che – sulla base dei principi poc’anzi evidenziati – correttamente è stata esclusa la dedotta causa di nullità.

Per quanto concerne la mancata indicazione del responsabile del procedimento, la statuizione della commissione tributaria regionale risulta parimenti corretta, in quanto conforme al disposto di cui al D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, conv. in L. n. 31 del 2008, secondo cui: “La cartella di pagamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse”.

Atteso che la cartella in oggetto è stata notificata ben prima del discrimìne temporale indicato nella norma, la mancata indicazione in essa del responsabile del procedimento non poteva integrare, diversamente da quanto voluto dal contribuente, causa di nullità; e ciò all’esito di un’applicazione del tutto piana del disposto normativo (in claris non fit interpretatio).

Quanto, poi, ai palesati dubbi di costituzionalità – segnatamente sotto il profilo dell’esclusione della invalidità della cartella di pagamento priva dell’indicazione in oggetto, ove emessa su ruoli consegnati prima della data indicata dalla legge soccorre quanto già osservato dal giudice delle leggi, anche nel rapporto con lo statuto del contribuente di cui alla L. n. 212 del 2000, con la sentenza di infondatezza n. 58 del 2009.

In definitiva, la decisione qui impugnata deve ritenersi del tutto corretta, oltre che conforme ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità (v. Cass. 13747/13; ord. 332/16; 8138/16).

PQM

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento a favore del Comune di Roma delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.000,00 per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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