Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5776 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 03/03/2021), n.5776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30081/2014 R.G. proposto da:

M.E., rappresentata e difesa dagli avv. Franco Fedozzi e

Fabio Catini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo,

sito in Roma, via Collatina, 234;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 2906/01/14, depositata l’8 maggio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 novembre

2020 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– M.E. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata l’8 maggio 2014, che, in accoglimento dell’appello erariale, ha respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui erano stati determinati, per l’anno 2007, gli imponibili e le imposte della Westel s.r.l., liquidate le imposte e irrogate le relative sanzioni, notificatole quale amministratore della società all’epoca dei fatti e autrice delle violazioni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che tale atto impositivo muoveva dalla constatazione dell’omessa presentazione della dichiarazione da parte della Westel s.r.l., del ruolo di cartiera di tale società e dalla qualità all’epoca rivestita dalla ricorrente di amministratore unico della società e detentrice di una quota pari al 98% del capitale sociale;

– il giudice di appello ha accolto l’appello erariale evidenziando che nel caso in esame non trovava applicazione il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie, trattandosi di società fittizia artificiosamente costituita nell’ambito di una frode carosello, che la ricorrente era diretta beneficiaria delle violazioni contestate, avuto riguardo alla ristretta base sociale e all’entità della quota di partecipazione al capitale detenuta, e che l’Ufficio non era tenuto a notificare il processo verbale di constatazione da cui aveva preso spunto l’atto impugnato anche alla ricorrente medesima in quanto quest’ultima, al momento della redazione, non rivestiva più la carica di rappresentante legale della società;

– il ricorso è affidato a sei motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine all’eccezione, formulata con le controdeduzioni in appello, di giudicato interno formatosi sul capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato inefficace la notifica dell’atto impositivo, in quanto effettuata a soggetto diverso dal legale rappresentante della società;

– con il secondo motivo la ricorrente prospetta analoga censura con riferimento all’eccezione di novità dei fatti allegati dall’Amministrazione finanziaria a sostegno della pretesa erariale esercitata con l’atto impositivo, nella parte in cui con le controdeduzioni in primo grado, prima, e con l’appello interposto, poi, aveva invocato, in via subordinata, un nuovo titolo di responsabilità della ricorrente, in luogo di quello posto richiamato nell’atto impositivo (violazione di norme tributarie di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 11), rappresentato dalla violazione di norme tributarie di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, in relazione al quale ha allegato (alcuni de)i relativi fatti costitutivi, quali la presunta distribuzione di utili occulti della Westel s.r.l. in favore della ricorrente medesima, in quanto socia nella misura del 98%, integrando, in tal modo, la motivazione dell’atto medesimo;

– evidenzia, in proposito, che aveva eccepito la novità del tema di indagine introdotto e che aveva riproposto l’eccezione in appello, a seguito dell’assorbimento della stessa in primo grado;

– i due motivi sono inammissibili per la medesima ragione;

– il mancato esame da parte del giudice di eccezioni avente carattere puramente processuale – quali, nel caso in esame, rispettivamente, di giudicato interno e di novità dei fatti dedotti con l’atto di appello – non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (cfr. Cass. 12 gennaio 2016, n. 321; Cass. 28 marzo 2014, n. 7406);

– con il terzo motivo la contribuente si duole della violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, per aver la sentenza impugnata dichiarato la legittimità dell’atto impugnato sulla base di ragioni dedotte dall’Amministrazione finanziaria solo in sede di costituzione nel giudizio di primo grado;

– sottolinea, sul punto, che solo in tale sede l’Ufficio ha allegato il titolo in base al quale era invocata la responsabilità della contribuente;

– il motivo è inammissibile;

– la società contribuente omette di riprodurre, quanto meno per le parti salienti, il contenuto dell’atto di appello, necessario, in assenza di utili indicazioni ricavabili dalla sentenza, al fine di verificare che la questione sottoposta con il motivo di impugnazione non sia “nuova” e di valutarne la rilevanza e la fondatezza senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr. Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781; in tal senso, successivamente, Cass. 20 agosto 2015, n. 17049);

– in tal modo non ha assolto all’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e ha, dunque, violato il principio di specificità ivi contemplato, non offrendo gli elementi indispensabili per consentire di effettuare un giudizio positivo in ordine all’ammissibilità e alla fondatezza della questione prospettata;

– con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., per aver il giudice di appello accertato la sua responsabilità senza alcun elemento di prova della riferibilità a lei dell’attività fraudolenta della Westel s.r.l., con travisamento delle emergenze processuali;

– il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di appello che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– con il quinto motivo si critica la sentenza impugnata per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 1 e della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24, per aver escluso la necessità della notifica del processo verbale di constatazione, da cui aveva preso spunto l’atto impugnato, anche nei confronti di essa contribuente e, più in generale, per non averle assicurato il diritto al contraddittorio nel corso del procedimento amministrativo;

– il motivo è infondato;

– nei casi di verifiche effettuate nei confronti di una società di capitali la consegna del processo verbale di constatazione è effettuata nelle mani della persona che, in quel momento, rappresenta l’ente ovvero ad altri soggetti legittimati, per cui correttamente a tale attività è rimasta estranea la contribuente, in quanto, all’epoca dei fatti, non rivestiva una siffatta qualità;

– inoltre, trattandosi di sanzioni irrogate per violazioni incidenti sulla determinazione dell’imposta, il relativo procedimento è regolato dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 1 e, dunque, senza le formalità di anticipata contestazione e conseguente contraddittorio anticipato (cfr. Cass. 22 luglio 2020, n. 15581; Cass., ord., 15 luglio 2015, n. 14848);

– con l’ultimo motivo di ricorso la contribuente censura la decisione di appello per violazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, conv., con modif., nella L. 24 novembre 2003, n. 326, per aver affermato la sua responsabilità benchè l’autore della violazione fosse stata esclusivamente la Westel s.r.l. e nessun elemento militasse a sostegno del fatto che essa contribuente fosse stata beneficiaria delle violazioni contestate alla società;

– il motivo è infondato;

– giova osservare che in materia di sanzioni amministrative tributarie il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, conv., con modif., nella L. n. 326 del 2003, in deroga al principio generale della responsabilità personale dell’autore responsabilità personale dell’autore, nonchè in deroga al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 11, (che prevede la responsabilità solidale delle società nel cui interesse ha agito la persona fisica autrice della violazione), ha stabilito che “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”;

– l’applicazione di tale disposizione, dal carattere eccezione, presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poichè solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria non colpisca l’autore materiale della violazione, ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore (cfr. Cass., ord., 9 maggio 2019, n. 12234; Cass. 7 novembre 2018, n. 28331);

– in applicazione di tale principio è stato affermato che l’art. 7 intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima”, ma non nel caso in cui la persona fisica sia “esclusivo beneficiario delle violazioni contestate”, in quanto in tale caso non sussiste detta differenza, atteso che quest’ultimo è, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica (cfr., altresì, Cass., ord., 18 aprile 2019, n. 10975; Cass. 8 marzo 2017, n. 5924; Cass. 28 agosto 2013, n. 19716);

– pertanto, la Commissione regionale, nell’affermare la responsabilità della ricorrente in quanto “ha beneficiato direttamente dei proventi illeciti prodotti con l’evasione fiscale della società”, in quanto autrice materiale delle violazioni contestate, quale amministratrice unica della società, e titolare di una partecipazione quasi totalitaria al capitale sociale (pari al 98%), ha fatto corretta applicazione dei richiamai principi di diritto;

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 22.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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