Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5773 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 5773 Anno 2014
Presidente:
Relatore:

Pendenza —
Comportamento in
buona fede

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3727/08) proposto da:
RUSCELLI BEATRICE e RUSCELLI ROSSELLA, rappresentate e difese, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to David Ermini del foro di Firenze ed elettivamente
domiciliate presso lo studio dell’Avv.to Prof. Michele Tamponi in Roma, via A. Friggeri n. 106;

– ricorrenti contro
PIEMME SCAVI s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avv.to Marco Panozzi del foro di Arezzo e dall’Avv.to Agostino Gessini del foro di Roma, in
virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, via F. Cesi n. 44;

– contro ricorrente e ricorrente incidentale –

itt

W/3

Data pubblicazione: 12/03/2014

Nonché sul ricorso incidentale (R.G. n. 7074(08) proposto dalla PIEMME SCAVI s.r.l.
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1199 depositata il 12 settembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 novembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo
Sgroi, che ha concluso per la riunione dei ricorsi ed il rigetto di entrambi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 20 maggio 1999 Antinesca GARUGLIERI, Beatrice e Rossella
RUSCELLI evocavano, dinanzi al Tribunale di Arezzo, la PIEMME SCAVI s.r.l. esponendo di
essere comproprietarie di terreno ubicato in Cavriglia e di avere in data 3.1.1997 stipulato con la
società convenuta contratto preliminare di vendita di detto fondo, pattuito il prezzo di £.
400.000.000, e concordata l’assunzione da parte della medesima promissaria acquirente
dell’obbligo di presentare a sua cura e spese i progetti di lottizzazione, compresi quelli esecutivi
relativi alle costruzioni ivi da realizzare, stabilendo espressamente che ove il Comune non avesse
rilasciato l’autorizzazione ad effettuare le opere, il contratto sarebbe stato ritenuto
‘automaticamente annullato’; aggiungevano che redatto il progetto di lottizzazione dalla società
convenuta, lo stesso non veniva approvato per contrasto con le norme tecniche di attuazione,

udito l’Avv.to David Ermini, per parte ricorrente;

secondo le quali la volumetria da destinare a residenze turistiche non poteva essere superiore al
30% della volumetria prevista; sostenevano che detto progetto non era stato predisposto dalla
società con la dovuta perizia e diligenza, per cui si configurava un comportamento inadempiente
della convenuta agli obblighi assunti, che fondava la loro richiesta di pronuncia di risoluzione del
contratto con condanna della PIEMME Scavi al risarcimento dei danni, quantificati in £.
400.000.000.

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(v+

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta, la quale eccepiva
preliminarmente l’improponibilità della domanda di risoluzione, non ricorrendo l’ipotesi di mancato
avveramento della condizione, essendo possibile la presentazione di nuova istanza, corredata di
un nuovo piano di lottizzazione, nel merito, contestava l’inadempimento, essendosi adoperata per

800.000.000, il giudice adito, respinte le prove testimoniali articolate dalla PIEMME SCAVI,
dichiarava risolto il preliminare in questione, rigettando le domande risarcitorie proposte da
entrambe le parti.
In virtù di rituale appello interposto dalle RUSCELLI (essendo nelle more deceduta la
GARUGLIERI), con il quale lamentavano errata applicazione dell’art. 1359 c.c., nonché mancata
applicazione dell’art. 1358 c.c., la Corte di appello di Firenze, nella resistenza della società
appellata, che eccepiva la carenza di legittimazione attiva delle appellanti relativamente alla
posizione della Garuglieri, proposto appello incidentale quanto alla formulata domanda
riconvenzionale, respingeva sia l’appello principale sia quello incidentale e per l’effetto
confermava la decisione di primo grado.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale — premesso che dagli atti risultava
provato che le RUSCELLI erano le uniche eredi della madre Antinesca Garuglieri – evidenziava
che pur condividendo la censura delle appellanti secondo cui il giudice di prime cure avrebbe fatto
erronea applicazione dell’art. 1359 c.c. sia perché nella specie la condizione risolutiva non era
mancata, ma si era in effetti verificata, sia perché la società appellata non era portatrice di un
interesse al mancato verificarsi dell’evento dedotto in condizione in contrasto con quello della
controparte, un più corretto inquadramento della controversia nell’ambito della previsione di cui
all’art. 1358 c.c., non comportava il mutamento delle conclusioni cui era pervenuta la sentenza di
primo grado.

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il verificarsi dell’evento, spieg* riconvenzionale per il risarcimento dei danni, quantificati in £.

Aggiungeva che il comportamento tenuto dalla società appellata in pendenza della condizione,
assumendo le iniziative conformi alle previsioni contrattuali, predisponendo e presentando
progetti di lottizzazione finalizzati ad ottenere le autorizzazioni amministrative, concorrendo anche
un suo interesse in tal senso, cui era seguito un esito negativo delle procedure amministrative —

comportamento contrario a buona fede, ancorchè potesse ravvisarsi un addebito di scarsa
diligenza nella predisposizione di tale progetto, non descrivendo il preliminare un insediamento
avente caratteristiche specifiche ovvero l’obbligo di presentazione di un progetto ben definito da
parte della società in vista di tale realizzazione.
Concludeva che il venir meno dell’efficacia del contratto per il verificarsi dell’evento dedotto quale
condizione risolutiva comportava il rigetto delle speculari domande risarcitorie.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze hanno proposto ricorso le
RUSCELLI, articolando un unico motivo, al quale ha replicato la PIEMME SCAVI con
controricorso, presentato anche ricorso incidentale, affidato ad una sola censura, cui hanno
resistito con controricorso le ricorrenti principali.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione del ricorso principale e del
ricorso incidentale siccome proposti avverso la stessa sentenza.
Ciò posto, con l’unico motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione o falsa
applicazione dell’art. 1358 c.c. per avere la corte di merito, accertata la mancata diligenza
adoperata dalla resistente nella predisposizione del progetto (pag. 8 della decisione), ritenuto non
contrario a buona fede detto comportamento, con il paradosso che qualunque progetto avesse
presentato sarebbe stato comunque adempiente. Nella specie, peraltro, la correttezza imposta
all’altro contraente avrebbe dovuto essere ravvisata non solo nella regola dell’art. 1175 c.c., ma

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dando luogo al verificarsi della condizione risolutiva — non era valutabile alla stregua di un

anche e soprattutto in quella prevista dall’art. 1176, II comma, con riguardo alla natura dell’attività
esercitata dalla parte inadempiente. L’illustrazione del mezzo viene conclusa con la formulazione
del seguente quesito di diritto: “Si chiede se sia sanzionabile per inadempimento e tenuto al
risarcimento del danno, il contraente (qualificato) sotto condizione risolutiva della mancata

si era impegnato a presentare a propria cura e spese ed invece li rediga, per negligenza, in modo
non conforme alle norme urbanistiche.
Si chiede quindi se l’obbligo di buona fede di cui all’art. 1358 c.c. non debba essere interpretato
anche nel senso di imporre a carico dell’acquirente (qualificato) di assumere comportamenti
positivi (nel caso di specie nel quale il contraente è impresa edile ed il progettista ne è socio,
redigere progetti conformi alle norme urbanistiche) per far sì che la condizione non si avveri;
nonché se la buonafede di cui all’art. 1358 c.c. (anche alla luce delle norme di cui agli artt. 1175 e
1375 c.c.) ponga a carico dell’acquirente sotto condizione risolutiva, l’obbligo di adottare la dovuta
diligenza nell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico”.
Il motivo è fondato nei sensi appresso indicati.
La sentenza ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni — conseguente alla risoluzione del
preliminare di compravendita di un fondo, che secondo il contratto stipulato con la PIEMME
SCAVI era subordinato al rilascio di autorizzazione da parte del Comune a realizzare le opere
previste nel progetto di lottizzazione predisposto dalla stessa società convenuta – affermando che
il comportamento tenuto da quest’ultimo era conforme alle previsioni contrattuali e l’esito negativo
delle procedure amministrative, che aveva determinato il verificarsi della condizione risolutiva,
non era valutabile alla stregua di una condotta contraria a buona fede, ritenendo, per un verso,
che l’art. 1359 c.c. non fosse applicabile nel caso, come quello di specie, in quanto in detta ipotesi
non vi sarebbe un interesse della società convenuta contrario all’avveramento della condizione.
Per altro verso, non descrivendo il preliminare un insediamento avente specifiche caratteristiche,

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approvazione da parte dell’amministrazione comunale di progetti di lottizzazione ed esecutivi che

non poteva ritenersi che sussistesse un obbligo della

PIEMME

SCAVI a richiedere

l’autorizzazione rispetto ad uno specifico progetto, non prevedendo il contratto un insediamento
avente determinate caratteristiche, cosicché non poteva considerarsi tale omissione contraria a

Tali statuizioni muovono dall’affermazione della carenza di un interesse della PIEMME SCAVI
contrario all’avveramento della condizione apodittica e non correlata ad un’esatta interpretazione
dell’art. 1358 c.c..

L’art. 1358 c.c. dispone che “colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione
sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della
condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte”. La
norma s’inserisce nell’ambito applicativo della clausola generale della buona fede, operante nel
diritto dei contratti sia in sede di trattative e di formazione del contratto medesimo (art 1337 c.c.),
sia in sede d’interpretazione (ad 1366 c.c.), sia in sede di esecuzione (art. 1375 c.c.). La fonte
dell’obbligo giuridico de quo, dunque, si trova appunto nel citato art. 1358 c.c., che lo stabilisce al
fine di “conservare integre le ragioni dell’altra parte” e dunque gli attribuisce un chiaro carattere
doveroso.
A proposito dell’art. 1358 c.c., questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza 19 settembre 2005
n. 18450, ha statuito che anche il contratto sottoposto a una condizione potestativa mista è
soggetto alla disciplina di tale articolo, dovendo la sussistenza dell’obbligo di comportarsi secondo
buona fede durante lo stato di pendenza della condizione essere riconosciuto anche per l’attività
di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista. Ha affermato al riguardo che il
principio di buona fede, intesa come requisito della condotta dei contraenti, costituisce criterio di
valutazione e limite anche del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà
dipende (in parte) l’avveramento della condizione. E il suo comportamento non può essere

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buona fede e fonte di responsabilità.

considerato privo di ogni carattere doveroso, sia perché altrimenti la condizione finirebbe per
risolversi nell’attribuzione a una parte di un potere meramente arbitrario in ordine alla
determinazione dell’efficacia del contratto, contrario al dettato dell’art. 1355 c.c., sia perché
aderendo a tale indirizzo si verrebbe ad introdurre nel precetto dell’art. 1358 c.c. una restrizione

della norma, limitandolo all’elemento casuale della condizione mista, cioè ad un elemento sul
quale la condotta della parte (la cui obbligazione è condizionata) ha ridotte possibilità d’incidenza,
mentre la posizione giuridica dell’altra parte resterebbe in concreto priva di ogni tutela. Invece è
proprio l’elemento potestativo quello in relazione al quale il dovere di comportarsi secondo buona
fede ha più ragion d’essere, perché è con riguardo a quell’elemento che la discrezionalità
contrattualmente attribuita alla parte deve essere esercitata nel quadro del principio cardine di
correttezza. E se è vero che l’omissione di un’attività in tanto può costituire fonte di responsabilità
in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, deve ritenersi che tale
obbligo, in casi come quello in esame, discenda direttamente dall’art. 1358 c.c., che lo impone
come requisito della condotta da tenere durante lo stato di pendenza della condizione: cosicché la
sussistenza di un obbligo siffatto va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento
potestativo di una condizione mista, quale effetto “ex lege” del contratto.
Pertanto il giudice del merito, nel giudicare in relazione a fattispecie quale quella in esame, deve
procedere a un penetrante esame della clausola recante la condizione e del comportamento delle
parti, nel contesto del negozio in cui la clausola è contenuta, al fine di verificare, alla stregua degli
elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard esigibile di buona fede le iniziative
poste in essere per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un progetto di lottizzazione,
ovvero se sussistessero circostanze che giustificassero, in conformità di detto standard, la
desistenza o la mancata adozione di dette iniziative.

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che questo non prevede e che, anzi, condurrebbe ad un sostanziale svuotamento del contenuto

Precede nella trattazione del ricorso incidentale la pregiudiziale eccezione di
inammissibilità dello stesso formulata dalle parti ricorrenti, sotto il profilo del difetto di specificità e
chiarezza del motivo di ricorso, in considerazione vuoi della mancata osservanza dell’art. 371,
comma 3, c.p.c. in relazione all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., vuoi, anche, per mancata

A norma dell’art. 366, comma 1 nn. 3 e 4, c.p.c. – disposizione applicabile, stante il richiamo
contenuto al comma 3 dell’art. 371 c.p.c., al ricorso incidentale (per Cassazione), deve
contenere, a pena di inammissibilità, da una parte, “l’esposizione sommaria dei fatti di causa”,
dall’altra, “i motivi per i quali si chiede la cassazione …” della sentenza impugnata.
Ai fini della sussistenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa è necessario che
nel contesto dell’atto d’impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perché il giudice di
legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la
sentenza impugnata, una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello
svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti (Cass. 17 aprile 2000 n.
4937).
É indispensabile, in altri termini, che dal contesto del ricorso — ossia, solo dalla lettura di tale atto
ed escluso l’esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata – sia
possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene
intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (Cass. 4

indicazione delle norme di diritto su cui si fonda.

giugno 1999 n. 5492).
Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una
premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, al
fine del soddisfacimento della prescrizione di cui all’art. 366, n. 3, c.p.c., che il ricorso, almeno
nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione
sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonché delle

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N1/4i

vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali
elementi possano essere riconosciuti soltanto dal contenuto del ricorso medesimo senza
necessità di attingere ad altre fonti (Cass. 22 maggio 1999 n. 4998; Cass. 21 maggio 1999 n.
4916; Cass. 25 marzo 1999 n. 2826, tra le tantissime).

sussistente. Dalla lettura del ricorso incidentale, infatti, è dato comprendere quali sono i fatti che
hanno dato luogo alla presente controversia e quali le difese svolte dalle parti a sostegno delle
rispettive, contrapposte, posizioni.
Contemporaneamente, quanto all’ulteriore requisito del ricorso per Cassazione – pur esso
sussistente nella specie – della indicazione delle norme per le quali è stata chiesta la cassazione
della sentenza ora impugnata, si osserva che il motivo, pur non riportando nella rubrica le
disposizioni, l’esposizione delle ragioni in funzione di sorreggere la dichiarata non condivisione di
quel principio, risponde ai requisiti previsti dall’art. 366 n. 4 c.p.c., avendo i caratteri della
sufficiente specificità, completezza e riferibilità alla decisione stessa.
E’, pertanto, palese l’ammissibilità del ricorso in esame.
Tanto chiarito, l’unica doglianza relativa a vizio motivazionale della PIEMME SCAVI — con la
quale insiste affinchè venga accolta la domanda riconvenzionale per non avere le RUSCELLI
prestato la loro collaborazione alla presentazione al Comune di adeguamenti per l’approvazione
del progetto, illogica l’argomentazione del giudice del gravame secondo il quale la domanda
risarcitoria formulata, speculare a quella delle appellanti, veniva meno per la perdita di efficacia
del contratto per il verificarsi dell’evento dedotto quale condizione risolutiva – essendo intesa a
censurare la statuizione della sentenza impugnata relativa al comportamento tenuto dalle parti
durante il periodo di pendenza della condizione, resta assorbita dall’accoglimento del ricorso
principale.

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Pacifico quanto precede, si osserva che nella specie il detto requisito è, seppure sinteticamente,

In conclusione, essendo la decisione dei giudici di secondo grado affetta dai vizi fin qui posti in
evidenza nel ricorso principale, assorbito quello incidentale, va cassata con rinvio della causa alla
Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che ne riesaminerà compiutamente il merito
nell’individuare la condotta delle parti nel periodo di pendenza della condizione assumendo a

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra
Sezione della Corte di appello di Firenze.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 19 novembre 2013.

premesse i principi sopra enunciati e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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