Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5771 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 03/03/2021), n.5771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 3949 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

O.M.M. di C., P. & C. s.n.c., in persona del legale

rappresentante p.t., C.F., Co.Vi.,

P.L., P.R., rappresentati e difesi, giusta procura

speciale apposta in calce al ricorso, dall’avv. Patrizia Bernasconi

e dall’avv. Maurizio Bernasconi, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’avv.to Goffredo Gobbi, in Roma, Via Maria Cristina n. 8;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 133/17/13, depositata in data 8 ottobre

2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 novembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo

Donati Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 133/17/13, depositata in data 8 ottobre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di O.M.M. di C., P. & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante p.t., nonchè di C.F., Co.Vi., P.L., P.R., quali soci, avverso la sentenza n. 41/20/2012, della Commissione tributaria provinciale di Firenze che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società e dai soci avverso più avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, conv., con modf, in L. n. 427 del 1993, aveva contestato rispettivamente: 1) nei confronti della società, un maggiore reddito di impresa imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, sulla base di una riscontrata grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore per gli anni 2005-2007; 2) nei confronti dei singoli soci, il corrispondente maggiore reddito di partecipazione, ai fini Irpef;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) ai fini della tempestività dell’appello avverso la sentenza di primo grado notificata il 13 marzo 2012, l’Ufficio aveva dimostrato di avere consegnato l’appello al servizio postale in data 14 maggio 2012 (pervenuto al destinatario il 15 maggio); diversamente, la società contribuente non aveva depositato la copia notificata della sentenza appellata non consentendo la verifica della decorrenza del termine per l’impugnazione; 2) dalla documentazione prodotta dall’Ufficio, lo studio di settore utilizzato comprendeva non solo l’attività di costruzione di macchine ma anche quella propria della società contribuente di montaggio di parti già realizzate da altri; 3) quanto alla fase del contraddittorio endoprocedimentale svoltosi con la contribuente, l’Ufficio aveva fornito adeguata motivazione alle eccezioni sollevate dalla prima, talora accogliendole, come in relazione all’individuazione del modello di studio (OMISSIS) maggiormente rispondente alle esigenze del caso concreto, con riduzione dell’ammontare della pretesa impositiva; 4) l’Ufficio aveva svolto l’attività di accertamento non limitandosi al rilievo dello scostamento tra il reddito dichiarato e i parametri di riferimento ma integrando quelle indicazioni iniziali con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto nonchè con l’indicazione delle ragioni per le quali erano state disattese le contestazioni sollevate dalla contribuente;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente e i soci hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 51, in combinato disposto con l’art. 155 c.p.c., e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.p.c., comma 4, per avere la CTR ritenuto l’appello proposto dall’Agenzia tempestivo: 1) affermando, da un lato, la puntuale spedizione dell’appello in data 14 maggio 2012 e, dall’altro, il mancato deposito da parte della contribuente della copia notificata della sentenza con impossibilità di verifica della data di decorrenza del termine di impugnazione; 2) erroneamente applicando, per il calcolo del termine ultimo per proporre gravame” la proroga di diritto, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4, del termine dell’atto processuale scadente nella giornata di sabato ((OMISSIS)) al primo giorno seguente non festivo ((OMISSIS)), anche alle notifiche eseguite a mezzo servizio postale;

– il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato;

– in primo luogo, la censura non coglie il decisum, nella parte in cui si denuncia che il giudizio della CTR sulla tempestività del gravame sarebbe stato inficiato da errore logico, per avere quest’ultima affermato, da un lato, che l’Ufficio aveva dimostrato di avere consegnato l’atto di appello per la spedizione, a mezzo servizio postale, in data (OMISSIS), e, dall’altro, che, di contro, la contribuente non aveva depositato la copia notificata della sentenza appellata, non consentendo la verifica della decorrenza del termine per l’impugnazione; invero – come si evince dallo stesso ricorso (pag. 14)

– essendo incontestata la data ((OMISSIS)) di notifica della sentenza di primo grado, è chiaro che il riferimento (contenuto nella sentenza impugnata al mancato deposito da parte della contribuente della copia notificata della sentenza appellata, si deve intendere rilevante, stante la appurata tempestività della notifica del gravame, ai fini della eventuale verifica di una diversa data di decorrenza del termine per l’impugnazione;

– quanto, invece, alla denunciata inapplicabilità, per il calcolo del termine ultimo per proporre gravame, della proroga di diritto, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4, del termine dell’atto processuale scadente nella giornata di sabato ((OMISSIS)) al primo giorno seguente non festivo ((OMISSIS)), anche alle notifiche eseguite a mezzo servizio postale, va osservato che, ai sensi dell’art. 155 c.c., comma 5, – aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, con i limiti di applicabilità previsti dal citato art. 2, comma 4, – “La proroga prevista dal comma 4, si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato”;

– al riguardo, come chiarito da questa Corte, con sentenza a sezioni unite del 1 febbraio 2012, n. 1418, ha chiarito che il termine (per la notifica, a mezzo posta, ai sensi della L. n. 890 del 1982) deve ritenersi compreso fra quelli “per il compimento degli atti processuali svolti fuori dall’udienza” di cui al citato art. 155, comma 5, con la conseguenza che, ove il “dies ad quem” del medesimo vada a scadere nella giornata di sabato, esso è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo; ne consegue che la CTR ha correttamente fatto applicazione di tale principio nel ritenere tempestivo l’appello spedito, a mezzo servizio postale, in data (OMISSIS) (stante la proroga di diritto dal (OMISSIS), cadente di sabato) avverso la sentenza di primo grado notificata il 13 marzo 2012.

– con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento basato sullo scostamento tra i redditi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore ancorchè: 1) chiusasi la fase endoprocedimentale, la contribuente non avesse avuto la possibilità di eccepire alcunchè circa l’applicazione del modello UD32U; 2) l’Ufficio avesse applicato uno studio di settore (UD32U) diverso da quello adottato inizialmente (TD32U); 3) lo studio di settore applicato e i cluster inclusi in esso non erano riferibili alla concreta attività di esclusivo assemblaggio meccanico svolta dalla società contribuente;

– con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ancorchè: 1) nella specie, non ricorresse il presupposto normativo della “grave incongruenza” tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore; 2) non fosse stato svolto correttamente il contraddittorio non avendo l’Ufficio tenuto conto delle eccezioni sollevate dalla contribuente circa l’inapplicabilità all’attività esercitata dalla società di alcuno studio di settore, l’effetto distorsivo dei compensi erogati ai soci, l’elevata incidenza del valore dei beni strumentali dell’azienda, la crisi in cui versava il settore della meccanica;

– i motivi secondo e terzo – da trattare congiuntamente per connessione e involgenti diversi profili di censura- sono complessivamente inammissibili;

– in primo luogo, il ricorrente col mezzo all’esame ha cumulato censure per violazioni di legge e per vizi motivazionali senza però distinguere tra di essi nell’illustrazione del motivo: in tal modo impedendo un sicuro esercizio nomofilattico; al riguardo va ricordato il principio reiteratamente affermato da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 21611 del 2013; v. anche Cass. 7009 del 2017) secondo cui “il motivo di impugnazione che (come nel caso qui vagliato) prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione”;

– inoltre, i contribuenti non hanno assolto, in punto di autosufficienza, all’onere di riportare in ricorso, nelle parti rilevanti, il contenuto degli atti difensivi dei gradi di merito, onde consentire a questa Corte di verificare gli esatti termini delle questioni e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza delle censure; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015);

– in ogni caso, quanto al dedotto vizio di violazione di legge, premesso che, nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che” al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (da ultimo, Cass. sez. 5, Sentenza n. 9484 del 12/04/2017); e che “La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019); nella specie, i motivi di ricorso, pur prospettando una violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, della L. n. 146 del 1998, art. 10, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, e artt. 2727 e 2729 c.c., in realtà tendono inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, ponendo in discussione l’accertamento in fatto compiuto dalla CTR circa l’avvenuto svolgimento da parte dell’Ufficio dell’attività che aveva condotto alla formazione dell’atto impositivo, non limitandosi al rilievo dello scostamento tra il reddito dichiarato e i parametri di riferimento ma integrando quelle indicazioni iniziali con la dimostrazione, a seguito dell’espletato contraddittorio, dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto nonchè con l’indicazione delle ragioni per le quali erano state disattese le contestazioni sollevate dalla contribuente; in particolare, la CTR, dopo avere premesso che dalla documentazione prodotta dall’Ufficio risultava la ricomprensione nel parametro utilizzato (TD32U) non soltanto dell’attività di costruzione delle macchine ma anche di quella svolta dalla società contribuente, di montaggio di parti realizzate da altri, ha sottolineato quanto riportato nell’avviso di accertamento in ordine alla fase del contraddittorio svoltosi con la contribuente, alle eccezioni da questa sollevate (pagg. 3 e 5 dell’avviso) e alle motivazioni fornite dall’Ufficio a quelle controdeduzioni, alcune delle quali erano state accolte, come era avvenuto in relazione all’individuazione del modello di studio UD32U,

“maggiormente rispondente al caso concreto”, con conseguente, peraltro, favorevole riduzione dell’ammontare della pretesa inizialmente formulata; al riguardo, va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018); peraltro, in tale quadro complessivo è stato, chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico-presuntivo” ed ancora che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. n. 26843/2014; Cass. n. 17787/ 2016);

– quanto al dedotto vizio del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, il motivo si profila inammissibile, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 4 giugno 2013) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma peraltro di profili involgenti accertamenti in fatto la rivalutazione dei quali è preclusa a questa Corte;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 7.800,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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