Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5769 del 09/03/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 09/03/2018, (ud. 06/02/2018, dep.09/03/2018),  n. 5769

Fatto

p. 1. Il Comune di Pegognaga (MN) propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 1270/67/16 del 22 febbraio 2016 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo il diniego da esso opposto alle istanze con le quali il Caseificio Croce coop.a r.l., il Caseificio Frizza coop. a r.l. e la Latteria Vò Grande coop. a r.l. avevano chiesto il rimborso dell’Ici 2003/2005 versata su immobili strumentali all’esercizio dell’attività agricola.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che l’Ici non fosse dovuta, trattandosi di immobili “rurali” D.L. n. 557 del 1993, ex art. 9, comma 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994, in quanto effettivamente strumentali all’attività agricola esercitata dai singoli associati conferenti (secondo principi desunti da Cass. n. 10355/15).

Le tre cooperative intimate hanno depositato controricorso, al quale hanno poi dichiarato (1^ febbraio 2018) di rinunciare.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il Comune deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione o falsa applicazione del D.L. n. 557 del 1993 cit., art. 9, comma 3 bis. Per avere la commissione tributaria regionale affermato, nella specie, l’esenzione Ici in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità di gran lunga prevalente, e fondato su quanto già stabilito da Cass. SSUU 18565/09. Sicchè l’esenzione poteva essere riconosciuta, indipendentemente dall’accertamento in concreto della strumentalità agricola, soltanto agli immobili iscritti in categoria catastale di ruralità (A6 o D10); mentre gli immobili in questione risultavano tutti iscritti in categorie diverse (D1 e D8).

Con il secondo motivo di ricorso il Comune lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale comunque errato nell’affermare, in concreto, il carattere strumentale degli immobili delle cooperative (lavorazione dei prodotti caseari conferiti dai soci), nonostante che nessuna prova fosse stata, a tal fine, da queste ultime dedotta in giudizio.

p. 2.2 E’ fondato, con effetto assorbente della seconda censura, il primo motivo di ricorso.

La commissione tributaria regionale si è erroneamente discostata da quanto stabilito da Cass. SSUU n. 18565/09 cit., secondo cui (in motiv.): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”. A tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (tra cui, Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14), più recentemente confermate – nel senso della ininfluenza dello svolgimento o meno, nel fabbricato, di attività diretta alla manipolazione o alla trasformazione di prodotti agricoli, rilevando unicamente il suo classamento – tra le altre, da Cass. n. 16737/15 e da Cass. n. 7930/16.

Va altresì osservato come quanto stabilito dalle SSUU nella sentenza cit. si sia fatto carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione sia del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis conv. in L. n. 133 del 1994, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, conv. in L. n. 222 del 2007; sia del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis conv. in L. n. 14 del 2009.

Con la conseguenza che nemmeno in base a questa normativa – salva l’ipotesi di mancato accatastamento – è dato al giudice tributario di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.

La soluzione così affermata non trova smentita nell’ulteriore jus superveniens costituito: – dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, che, all’art. 7, comma 2 bis, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il termine del 30 settembre 2011, poi prorogato) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante la presenza nell’immobile dei requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9, convertito in L. n. 133 del 1994, e modificato dal D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 42 bis, convertito con modificazioni in L. 29 novembre 2007, n. 222, “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”; – dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214 che ha quindi previsto, all’art. 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011, producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo”; – dal decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 26 luglio 2012, che ha stabilito, all’art. 1, che “Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralita, si applicano le disposizioni richiamate al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133. Art. 2 Presentazione delle domande per il riconoscimento del requisito di rurali “; – dal d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in L. 28 ottobre 2013, n. 124, all’art. 2, comma 5 ter, che ha stabilito che “ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 3, comma 14 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.

p. 2.3 Ora, consegue da tutto ciò l’infondatezza delle istanze di rimborso, posto che: a. come è incontroverso in causa, gli immobili delle cooperative resistenti risultavano accatastati, negli anni di riferimento, in categorie diverse da quelle di ruralità: A6 o D10 (segnatamente, D1 quelli delle Coop.Croce e Latteria Vò Grande; D1 e D8 quelli della Coop.Frizza); b. la procedura amministrativa autocertificata di classificazione di ruralità D10 esperita dalle cooperative nel 2011, ai sensi della citata normativa sopravvenuta (D.L. n. 70 del 2011), non poteva comunque influire, stante il limite quinquennale di retroattività, sulle annualità Ici dedotte in giudizio.

Su tali presupposti, nessuna rilevanza poteva essere attribuita all’accertamento in concreto del carattere di strumentalità degli immobili all’esercizio dell’attività agricola dei soci conferenti (fatto oggetto del secondo motivo di ricorso).

p. 3. Con il terzo motivo di ricorso il Comune deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e art. 92 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale accollato ad esso appellato le spese di lite (tra l’altro liquidate in importo esorbitante), nonostante la sussistenza dei presupposti della loro compensazione, proprio in forza di un non costante indirizzo interpretativo di legittimità.

Anche questo motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del ricorso e dalla conseguente cassazione della sentenza impugnata, con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c..

In considerazione dell’esito finale della lite, si reputa dirimente la circostanza che la questione giuridica abbia trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali non sempre lineari e, per giunta, in parte sopravvenuti in corso di causa; con conseguente compensazione delle spese processuali tanto dei gradi di merito quanto del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge i ricorsi introduttivi delle società contribuenti;

compensa le spese dei giudizi di merito e legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 6 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2018

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