Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5769 del 07/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/03/2017, (ud. 05/12/2016, dep.07/03/2017),  n. 5769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11539/2015 R.G. proposto da:

G.M., c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

al Piazzale delle Belle Arti, n. 8, presso lo studio dell’avvocato

Antonino Pellicanò che la rappresenta e difende in virtù di

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto dei 7/19.11.2014 della corte d’appello di

Catanzaro, assunto nel procedimento iscritto al n. 164/2013 R.E.R.;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5

dicembre 2016 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Antonino Pellicanò per la ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, alla corte d’appello di Catanzaro depositato il 20.12.2012 G.M. si doleva per l’eccessiva durata, pari a dieci anni e ventitrè giorni, di un’espropriazione presso terzi da ella intrapresa dinanzi al g.e. del tribunale di Reggio Calabria con atto di pignoramento notificato in data 2/3.5.2002, espropriazione poi sospesa ai sensi dell’art. 624 c.p.c., a seguito della proposizione di opposizione ex art. 615 c.p.c., comma 2, da parte dell’I.N.P.S., debitore esecutato, e definita, a seguito del rigetto dell’opposizione con sentenza n. 1866/2011 della corte di appello di Reggio Calabria, con ordinanza di assegnazione del 25.5.2012.

Chiedeva che si ingiungesse al Ministero della Giustizia di corrisponderle un equo indennizzo, da determinarsi secondo i parametri di legge, a ristoro dei danni tutti subiti oltre interessi e spese.

Con decreto in data 5.3.2013 la corte d’appello di Catanzaro, in persona del giudice designato, rigettava il ricorso.

Evidenziava che “non poteva essere considerato il periodo in cui il processo esecutivo era rimasto sospeso” (così decreto impugnato, pag. 1).

Avverso tale decreto G.M. proponeva opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter.

Resisteva il Ministero.

Con decreto dei 7/19.11.2014 la corte d’appello di Catanzaro rigettava l’opposizione e compensava le spese di lite.

Esplicitava – la corte – che della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater, è da riferire a qualsivoglia ipotesi di sospensione e non già soltanto a quelle di cui agli artt. 295 e 296 c.p.c.; che in relazione ai procedimenti di cognizione eventualmente destinati ad innestarsi nel corso del processo di esecuzione ben poteva proporsi autonoma domanda di equa riparazione.

Avverso tale decreto ha esperito ricorso sulla scorta di due motivi G.M.; ha chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese – da attribuirsi al difensore antistatario – dei giudizi di merito e di legittimità.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia la violazione ed errata interpretazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater; il difetto assoluto di motivazione.

Deduce che la sospensione di cui della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater, va riferita in via esclusiva alla sospensione ex artt. 295 e 296 c.p.c.; che una diversa interpretazione condurrebbe “ad escludere per via interpretativa l’intero processo esecutivo dall’ambito della legge” (così ricorso, pag. 7).

Deduce in particolare che il dictum della corte di merito contrasta con la ratio della “riforma” dell’equa riparazione, segnatamente con la espunzione, ex art. 4, della “possibilità di esperire la domanda in pendenza del procedimento” (così ricorso, pag. 7), sicchè “va proposta un’unica domanda di equa riparazione per l’unico giudizio di esecuzione comprensivo delle diverse fasi” (così ricorso, pag. 8).

Deduce dunque che la corte distrettuale avrebbe dovuto valutare “la durata complessiva del giudizio di esecuzione, ivi comprendendo anche il tempo in cui lo stesso è stato sospeso per la pendenza dell’opposizione all’esecuzione” (così ricorso, pag. 10).

Con il secondo motivo la ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001 , art. 4; il difetto assoluto della motivazione; l’illogicità e contraddittorietà manifeste.

Deduce che il processo esecutivo ha carattere unitario, sicchè l’assunto della corte territoriale circa la natura autonoma e distinta del giudizio di opposizione all’esecuzione è del tutto ingiustificata; che del pari è ingiustificato, in rapporto alla L. n. 89 del 2001, art. 4 e quindi all’impossibilità di frazionare il giudizio di equa riparazione, l’assunto della corte d’appello secondo cui vi sarebbe margine per la proposizione di un’autonoma domanda per il giudizio di opposizione all’esecuzione.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Se ne giustifica pertanto la disamina simultanea.

Ambedue i motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento nei limiti che seguono.

Evidentemente questa Corte non può che ribadire l’insegnamento secondo cui in tema di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater, nel prevedere che non si tiene conto ai fini del computo della durata “del tempo in cui il processo è sospeso”, include non solo l’ipotesi di sospensione ex art. 295 c.p.c., ma anche quella regolata dall’art. 624 c.p.c., attesa l’ampiezza della formula introdotta dal legislatore del 2012, restando comunque salva la possibilità per la parte, che ritenga di aver subito un pregiudizio dall’eccessiva durata del processo pregiudicante, di proporre un’autonoma domanda di equa riparazione specificamente riferita a quest’ultimo giudizio (cfr. Cass. 16.9.2015, n. 18197).

Al contempo, giacchè la sospensione di cui nel caso di specie si tratta, ossia la sospensione ex art. 624 c.p.c., si correla alla proposizione dei rimedi di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c. (“se è proposta opposizione all’esecuzione a norma degli artt. 615 e 619, il giudice dell’esecuzione (…)”), non riveste valenza nel caso de quo, caso in cui l’I.N.P.S., debitore esecutato, ebbe a proporre, appunto, opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, l’insegnamento n. 15734 del 28.7.2016, con cui si è affermato che, ai fini dell’equa riparazione, la durata del processo di esecuzione include i tempi impiegati per definire i rimedi cognitivi o esecutivi.

Tal ultimo insegnamento, invero, si riferisce propriamente alla fase di reclamo avverso l’ordinanza che dichiara l’estinzione della procedura.

D’altro canto, si è soliti rimarcare, pur in dottrina, che le opposizioni esecutive, cioè i giudizi di ordinaria cognizione che, eccezion fatta per l’opposizione a precetto, si insinuano nel corso di un processo esecutivo già pendente, conservano, rispetto alla vicenda esecutiva cui ineriscono e che le occasiona, un’indubitabile “autonomia strutturale”.

Ebbene, in questo quadro per nulla possono esser recepite le affermazioni della ricorrente secondo cui il richiamo alla “sospensione”, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater, va “riferito esclusivamente all’istituto previsto dagli artt. 295 e 296 c.p.c., per il giudizio di cognizione” (così ricorso, pag. 6), secondo cui “il processo esecutivo è unitario, comprensivo della fase relativa all’opposizione all’esecuzione, e tale va considerato anche ai fini del giudizio di equa riparazione” (così ricorso, pag. 8) e secondo cui “la domanda di equa riparazione del processo di esecuzione non può non essere unica e, come tale, va estesa anche alla fase di opposizione all’esecuzione stessa, trattandosi di un unico giudizio” (così ricorso, pag. 10).

In siffatto quadro, tuttavia, se, per un verso, G.M. avrebbe dovuto distinguere la pretesa indennitaria relativa al processo di esecuzione, ben vero quale non incorporante nella “sua” durata il periodo di sospensione correlato alla pendenza dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 2 e la pretesa indennitaria relativa al(lo strutturalmente autonomo) processo di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 2, riflesso “esterno”, quest’ultimo, della sospensione ex art. 624 c.p.c., della medesima esecuzione, per altro verso, nulla ostava a che la stessa ricorrente azionasse, nel segno della previsione dell’art. 104 c.p.c., comma 1, in via di “cumulo oggettivo”, le due distinte pretese con lo stesso ricorso ex lege n. 89 del 2001.

In tal ultimi termini, alla luce dell’insegnamento a tenor del quale il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (cfr. Cass. 10.2.2010, n. 3012, ove si soggiunge che il giudice non può prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi), ben avrebbe dovuto la corte di merito vagliare se la domanda di equa riparazione esperita da G.M. avesse duplice, “binaria” valenza, siccome protesa a conseguire sia l’indennizzo per l’eventuale irragionevole durata del processo di esecuzione – da computare “al netto” del periodo di sospensione ex art. 624 c.p.c. – sia l’indennizzo – distinto ed autonomo – per l’irragionevole durata del(/o strutturalmente autonomo) processo di opposizione all’esecuzione.

Ovviamente all’ontologica diversità delle pretese indennitarie, ancorchè oggettivamente cumulabili, non può che far seguito la distinta determinazione e per il processo di esecuzione – “al netto” del periodo di sospensione ex art. 624 c.p.c. – e per il processo di opposizione all’esecuzione dei rispettivi periodi di ragionevole e di eventuale irragionevole durata.

Cosicchè, beninteso, per nulla attendibile si svela il postulato cui la ricorrente perviene e secondo il quale la corte distrettuale “avrebbe dovuto rilevare che l’intero giudizio era durato più di dieci anni, superando di 7 anni il termine ragionevole di 3 anni previsti” (così ricorso, pag. 10).

In ogni caso in parte qua agitur l’impugnato dictum, conformemente alla denuncia della ricorrente, è del tutto carente di motivazione o, quanto meno, risulta sorretto da motivazione meramente apparente (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672, secondo cui motivazione “apparente” ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito).

In accoglimento del ricorso il decreto dei 7/19.11.2014 della corte d’appello di Catanzaro va perciò cassato con rinvio alla medesima corte in diversa composizione.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende comunque, al di là del buon esito del ricorso, inapplicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto dei 7/19.11.2014 della corte d’appello di Catanzaro; rinvia alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2017

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