Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5768 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. III, 10/03/2010, (ud. 08/02/2010, dep. 10/03/2010), n.5768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23436/2005 proposto da:

REG CALABRIA, (OMISSIS), in persona del Presidente della Giunta

Regionale e l.r. pro tempore On.le L.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 8 6, presso lo studio

dell’avvocato CRISCUOLO FABRIZIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato NAIMO GIUSEPPE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 107 INT 16, presso lo studio dell’avvocato

DIONISI MARCO FABIO, rappresentato e difeso dall’avvocato TIANI

Francesco;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 456/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

Sezione Prima Civile, emessa il 23/05/2005, depositata il 24/05/2005;

R.G.N. 205/2002.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/02/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter processuale va così riassunto sulla base della decisione impugnata.

1.1. Con citazione notificata in data 28-4-1987 T.F. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catanzaro la Regione CALABRIA, per sentirla condannare al rilascio del locale scantinato sito in (OMISSIS), assumendo di averne concesso la disponibilità all’ente convenuto nell'(OMISSIS), all’atto del rilascio di un immobile locato nel medesimo stabile, per la custodia di materiali vari in attesa di sistemazione in altro locale, con l’impegno dello stesso ente di provvedere a liberare lo scantinato entro breve tempo. L’attore – precisato che la Regione non aveva mantenuto detto impegno – chiedeva anche il pagamento del canone di locazione dall'(OMISSIS), in ragione di L. 200.000 mensili per complessive L. 10.800.000 o altra somma ritenuta di giustizia e successivi canoni sino al rilascio.

Resisteva la Regione, deducendo che lo scantinato era stato concesso in comodato gratuito al fine di rendere più celere il rilascio dell’appartamento locato.

Avvenuto il rilascio dell’immobile in corso di causa ed esaurita l’istruttoria, con sentenza in data 6-11-2001, il Tribunale di Catanzaro condannava la Regione al pagamento di L. 11.340.000 a titolo di risarcimento del danno per il periodo successivo alla scadenza del contratto di comodato ritenuto sussistente inter partes.

1.2. La decisione, gravata da impugnazione in via principale dalla Regione Calabria e in via incidentale dal T., era confermata dalla Corte di appello di Catanzaro, la quale, con sentenza in data 23/24-5-2005, rigettava entrambi gli appelli con compensazione delle spese processuali.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Regione CALABRIA, svolgendo un unico motivo articolato sotto il triplice profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Ha resistito T.F., depositando controricorso. Alla sua morte, intervenuta nelle more dell’udienza di discussione, si sono costituiti gli eredi M.M., T.G.M., T.G. e T.D., ribadendone le argomentazioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., irragionevolezza e incongruenza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè per nullità del procedimento e della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

1.1. Le plurime censure riguardano il punto della decisione con cui la Corte di appello – respingendo il motivo di impugnazione che denunciava l’accoglimento di una domanda di risarcimento danni da prolungata occupazione dell’immobile in luogo di una domanda contrattuale di pagamento del canone, quale sarebbe stata quella originariamente proposta da parte attrice – ha rilevato che “in nessuna parte dell’atto di citazione l’attore ha chiesto la condanna di somme a titolo contrattuale”, ritenendo che “il pagamento (fosse) stato richiesto per l’uso prolungato rispetto al tempo originariamente previsto per la durata del comodato e alle richieste di restituzione e quindi a titolo di occupazione successiva alla scadenza del comodato”.

1.1.2. In contrario senso parte ricorrente deduce che siffatte conclusioni sono illogiche perchè in contrasto con la pretesa di pagamento dell’intero periodo d’uso e con la richiesta di pagamento di un canone mensile, per cui correttamente la Corte territoriale avrebbe dovuto individuare la domanda come relativa al pagamento di un corrispettivo di contratto oneroso.

2.1. Il motivo di ricorso – peraltro per buona parte fondato su dati extratestuali (quali i contenuti di richieste istruttorie o di deposizioni testimoniali, che avrebbero dovuto essere riportati integralmente in ricorso ovvero, anche, il tenore delle contestazioni che sarebbero state formulate sulla natura precaria del rapporto) non verificabili, come tali, in questa sede, se non addirittura contraddetti dalla decisione impugnata – non merita accoglimento.

Valga considerare che nella giurisprudenza di questa Corte, è consolidato il principio, secondo il quale in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal Giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il Giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. civ., Sez. lavoro, 24/07/2008, n. 20373).

Nel caso di specie si verte, per l’appunto, nell’ambito dell’interpretazione dei contenuti della domanda, posto che la Corte di appello ha esaminato la specifica censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., evidenziando che il petitum della domanda risarcitoria risultava individuato e qualificato dalle premesse fattuali enunciate in citazione, nelle quali (ad onta dell’improprio riferimento nelle conclusioni al pagamento di un canone) “lo stesso ( T. aveva) invece premesso di aver concesso in uso precario il locale scantinato e rilevato, di averne chiesto più volte il rilascio e, che stante il mancato rilascio, aveva diritto al pagamento di una certa somma per l’uso dello stesso” (pag. 5 della sentenza).

Si rammenta che spetta al giudice del merito il compito di definire le domande avanzate dalle parti identificando e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del provvedimento richiesto (petitum), nonchè il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivano le pretese dedotte in giudizio (causa petendi). E tale compito i giudici a quibus hanno assolto nel caso di specie con motivazione congrua e logica, segnatamente assegnando al termine “canone”, utilizzato nell’atto introduttivo del giudizio, il significato di parametro di riferimento per la quantificazione dell’indennità di occupazione, dovendosi commisurare tale indennizzo al valore locativo dell’immobile.

Nè contrasta con tale argomento la circostanza che l’indennità di occupazione sia stata riconosciuta per un periodo più limitato rispetto all’intero periodo d’uso, come preteso dal T., posto che (come si evince dalla motivazione svolta per il rigetto dell’appello incidentale) ciò è dipeso dal fatto che – in relazione all’uso pattuito, così come enunciato in citazione (necessità di reperimento nuovi locali per sistemare il materiale depositato nello scantinato) – è stato ritenuto che il comodato dovesse avere non già una durata di poche settimane o al massimo di un mese (come preteso dall’attore), ma di almeno un anno.

In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.700,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

 

 

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