Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5768 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29436-2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 711/05/2018 della Commissione tributaria

regionale dell’ABRUZZO, depositata il 04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/12/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una iscrizione ipotecaria effettuata su beni immobili che il contribuente sosteneva essere stati conferiti in un fondo patrimoniale, la CTR con la sentenza impugnata, per quanto qui di interesse, rigettava l’appello dell’agente della riscossione sostenendo che “risulta accertato che il debito fiscale non è sorto per la soddisfazione dei beni della famiglia, il fondo costituito dal ricorrente non (è) aggredibile e la iscrizione ipotecaria non è legittima”.

Avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate – Riscossione con due motivi, cui non replica l’intimato.

La ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 170 c.c. e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77 (primo motivo) e per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 c.p.c. (secondo motivo).

Tale ultimo motivo, incentrato sulla nullità della sentenza per vizio assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, da esaminarsi preliminarmente per evidenti ragioni logico-giuridiche, è fondato e va accolto.

Invero, la motivazione posta a sostegno della decisione deve ritenersi gravemente carente e al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01), in quanto i giudici di merito si sono limitati ad indicare soltanto il risultato conclusivo del giudizio valutativo dei fatti dimostrati in giudizio, senza, tuttavia, evidenziare le premesse logiche ed il discorso argomentativo attraverso il quale è stato possibile pervenire a tali conclusioni. Nel formulare una statuizione meramente assertiva, in cui si risolve l’affermazione secondo cui “il debito fiscale non è sorto per la soddisfazione dei beni della famiglia”, i giudici di appello omettono di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. In definitiva quello in esame è un tipico esempio di abdicazione all’obbligo imposto al Giudice di rappresentare compiutamente gli elementi di fatto e le ragioni sui quali si è formato il proprio convincimento. Se, infatti, non appare dubbio che spetti in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni -, tale attività di giudizio deve, tuttavia, trovare supporto in argomenti la cui esternazione, nell’apparato motivazionale che sorregge il decisum, indispensabile ai fini del controllo giurisdizionale, deve rispondere ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, c.p.c. (anche dopo la riforma del 2012 e nei limiti individuati dalla già citata pronuncia di Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), non potendosi di contro risolvere in un’affermazione apodittica e immotivata sulle risultanze istruttorie (v. Cass. n. 21801 del 2019).

E’ noto peraltro che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che, come nel caso in esame, contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

Da quanto detto consegue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, l’assorbimento del primo e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla competente CTR perchè riesamini la vicenda fornendo adeguata e congrua motivazione e perchè provveda, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 3 marzo 2020

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