Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5764 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 03/03/2021), n.5764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2582/2014 R.G. proposto da:

T.S., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Orlando,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, via Fabio

Filzi n. 33;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 70/11/13 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia depositata il 23 aprile 2013 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2020

dal Consigliere Dott.ssa Laura Mancini.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 70/11/13 depositata il 23 aprile 2013 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respinse l’appello proposto da T.S. avverso la pronuncia n. 93/2/12, depositata il 15 maggio 2012, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Lodi aveva rigettato, previa riunione, i ricorsi proposti dalla contribuente avverso nove avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2004, 2005, 2006 e 2007, con i quali l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il reddito mediante accertamento sintetico a fini IRPEF, addizionale comunale e altri tributi.

2. I giudici d’appello, disattesa preliminarmente l’eccezione di inammissibilità del gravame formulata dall’Amministrazione finanziaria sul presupposto della mancata sottoscrizione dell’atto di impugnazione, confermarono la sentenza di prime cure ritenendo infondate le censure – riguardanti l’omessa sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte del Direttore provinciale, la mancata indicazione dei criteri seguiti per la scelta dei contribuenti da sottoporre ad accertamento, l’applicazione di una legge posteriore con riferimento alle diverse quote di reddito da considerare nei diversi anni, la mancata considerazione dei redditi dei componenti il nucleo familiare, la mancata considerazione della documentazione degli incrementi patrimoniali effettuati non aventi origine reddituale – riproposte dalla contribuente con formulazione identica a quella del primo grado.

3. Contro tale pronuncia T.S. propone ricorso affidato a sei motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “inesistenza dell’inammissibilità dell’appello” assumendo che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di secondo grado, il ricorso in appello “è stato debitamente sottoscritto dal difensore nominato Dott. S.S.”.

Con il secondo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3. Mancanza di motivazione sul punto”.

Con il terzo mezzo la contribuente deduce “illegittimità dell’avviso per mancata indicazione dei criteri seguiti per la scelta dei contribuenti da sottoporre ad accertamento – mancata allegazione di documenti essenziali violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, art. 7”.

Con il quarto motivo si denuncia “illegittimità dell’avviso per illogicità/omessa motivazione; nullità della sentenza per mancanza di pronuncia nel merito “.

Con il quinto si prospetta “contrarietà (duplice) a indicazioni ministeriali (mancata considerazione dei redditi del nucleo familiare); nullità della sentenza per mancanza di pronuncia nel merito”.

Con il sesto mezzo la ricorrente deduce “illegittimità dell’avviso in quanto infondato; nullità della sentenza per mancata pronuncia nel merito”.

2. Il primo motivo è inammissibile.

La doglianza, censurando la sentenza gravata per avere erroneamente rilevato la mancata sottoscrizione del ricorso in appello, non ne coglie la ratio decidendi, avendo, per contro, i giudici di secondo grado evidenziato che, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, pur in difetto della firma della parte ricorrente, la sottoscrizione del ricorso da parte del professionista delegato da ritenersi sufficiente.

Deve, pertanto, trovare applicazione il principio secondo il quale il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), (Cass. Sez. 3, 31/8/2015, n. 17330, in senso conforme, Cass. Sez. 1, ord. 24/9/2018, n. 22478; Cass. Sez. 6-3, 31/8/2020, n. 18092).

3. Neanche le restanti censure superano il vaglio di ammissibilità, posto che non risultano formulati alla stregua di una motivata critica delle ragioni poste a fondamento della decisione gravata, ma investono direttamente gli atti impositivi per cui si controverte, riproducendo i motivi svolti a sostegno del ricorso di primo grado, reiterati in appello e disattesi dalla Commissione tributaria regionale.

Secondo un principio ampiamente condiviso, con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata.

Questa Corte ha, infatti, precisato che “il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio(del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″ (in questi termini Cass. 3, 11/1/2005, n. 359, richiamata da Sez. 3, 31/8/2015, n. 17330, cit.; in senso conforme Cass. Sez. 1, Ord. 24/9/2018, n. 22478, cit.).

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità sono liquidate in dispositivo in ossequio al principio della soccombenza.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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