Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5763 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 03/03/2021), n.5763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10842/14 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

Wilsider s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e

difesa, giusta mandato in margine al ricorso, dall’Avv. Gianluca

Laudenzi e dall’avv. Fulvio Francucci, con i quali è elettivamente

domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis, n. 101;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44/03/13 della Commissione tributaria

regionale dell’Umbria, depositata in data 07/03/2013, non

notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella

camera di consiglio del 22 ottobre 2020.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La controversia trae origine da alcuni avvisi di accertamento emessi nei confronti della società Wilsider s.r.l., per l’anno d’imposta 2005 e 2006, a mezzo del quale l’Ufficio aveva proceduto al recupero a tassazione di somme a titolo di Ires, Irap ed Iva; tra l’altro l’Agenzia delle entrate recuperava, per illegittima deduzione di costi non inerenti all’attività di impresa, la somma di Euro 54.791,20, per l’anno 2005, e di Euro 54.778,00 per l’anno 2006, quali compensi corrisposti agli amministratori (Euro 216.791,20) superiori a quanto deliberato dall’assemblea del 21 giugno 2003 (che li aveva fissati in Euro 162.000,00).

La società Wilsider s.r.l. ricorreva avverso gli avvisi di accertamento chiedendone l’annullamento; la Commissione tributaria provinciale adita, riuniti i ricorsi, li rigettava con sentenza n. 98/2/10.

La società Wilsider s.r.l. proponeva appello avverso tale sentenza che veniva riformata dalla Commissione regionale dell’Umbria, con accoglimento dell’appello della società.

In particolare, la Commissione regionale ha motivato la propria decisione ritenendo che i compensi corrisposti fossero deducibili nonostante la mancanza della delibera preventiva e ciò in quanto: a) la società era composta da una ristretta base anche familiare per i cui i soci avevano la consapevolezza della misura dei compensi elargiti agli amministratori; b) l’aumento del compensi emergeva comunque dal bilancio di esercizio relativo all’anno 2004 (anno oggetto di accertamento dell’Ufficio in sime all’anno 20026), dalla nota integrativa, ed era stato confermato nella delibera assembleare successiva del (OMISSIS); c) l’operazione era avvenuta in buona fede e che in ogni caso il recupero a tassazione avrebbe cerato nella sostanza una doppia tassazione.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per Cassazione avverso la sentenza della CTR affidandosi ad un unico motivo di doglianza.

La società contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge, segnatamente del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, (t.u.i.r.) e degli artt. 2364 e 2389 c.c., in quanto la Commissione tributaria regionale, statuendo nei termini riferiti innanzi, avrebbe violato le norme regolatrici vigenti, per le quali la previa delibera assembleare di determinazione del compenso degli amministratori è indispensabile ai fini fiscali per la deducibilità del relativo costo. La ricorrente sostiene che la determinazione dei compensi assunta soltanto con delibera assembleare successiva al bilancio di esercizio 2005 e 2006, sarebbe da ritenersi invalida come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 21933 del 29/08/2008 con conseguente indeducibilità del costo per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all’art. 109 t.u.i.r..

Il motivo è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte.

Sono pacifici i fatti della controversia essendo incontestato che negli anni 2005 e 2006, oggetto di accertamento, la società aveva corrisposto agli amministratori in carica compensi superiori a quelli stabiliti con delibera dei soci del (OMISSIS) e che, solo con il verbale di assemblea redatto in data (OMISSIS), i soci avevano deliberato l’aumento del compenso del consiglio di amministrazione, previa nota integrativa del bilancio attestante l’aumento del compenso; è pacifico, altresì, che la società aveva portato in deduzione i relativi costi dal reddito d’impresa per le annualità 2005 e 2006 e che su tale deduzione si è appuntato la ripresa a tassazione di cui all’avviso di accertamento che ha originato la presente controversia.

Da tempo la giurisprudenza di questa Corte, proprio in considerazione dei principi espressi dalle sezioni Unite con la sentenza n. 21933 del 2008, è pervenuta ad affermare, con orientamento fino ad oggi condiviso e mai mutato, che in tema di reddito d’impresa, non è deducibile la spesa sostenuta da una società di capitali per i compensi agli amministratori ove invalidamente deliberata, secondo la disciplina applicabile, in sede di approvazione del bilancio, difettando in tal caso i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell’ammontare del costo di cui all’art. 109 (già 75) t.u.i.r. (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 21953 del 28/10/2015, Rv. 63692501).

In base ai principi affermati dalle sezioni unite e seguiti dalla giurisprudenza successiva, per la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389 c.c., comma 1, (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003) “qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630 c.c., comma 2, abrogato dal D.Lgs. n. 61 del 2002, art. 1); la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 c.c., nn. 1 e 3); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393 c.c., comma 2). Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 cit., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori” (cfr., Sez. U, Sentenza n. 21933 del 29/08/2008 Rv. 604262-01; id., Sez. 5, Sentenza n. 17673 del 19/07/2013, Rv. 627505-01; Sez. 5, Sentenza n. 20265 del 04/09/2013, Rv. 628116-01).

Per la disciplina applicabile ratione temporum, va considerato che a seguito alla riforma del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entrata in vigore l’01/01/2004, non vi sono stati significativi mutamenti, essendo attualmente prevista dall’art. 2364 c.c., comma 1, n. 3, la competenza a deliberare dell’assemblea ove il compenso non sia stato stabilito nello “statuto”, e disponendo l’art. 2389 c.c., comma 1, che il compenso deve essere stabilito nell’atto costitutivo o “all’atto della nomina” deliberata dalla assemblea ordinaria dei soci ex art. 2383 c.c., comma 1, (ovvero “all’atto della nomina” del componente del consiglio di amministrazione o del componente del comitato esecutivo da parte dei soggetti estranei alla società, indicati nell’art. 2383 c.c., comma 1: a) soggetti titolari di strumenti finanziari di cui all’art. 2346 c.c., comma 6, e all’art. 2349 c.c., comma 2: nomina di un componente indipendente – art. 2351 c.c., comma 4; b) art. 2449 c.c.: nomina da parte di Stato od enti pubblici con partecipazioni azionarie in società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio).

I principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite, dalle quali questo Collegio non intende discostarsi in mancanza di elementi che inducano ad una nuova riflessione, perimetrano, dunque, l’ambito di applicazione degli artt. 2364 e 2389 c.c., così che, qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389 c.c., comma 1, non sia stabilita nell’atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, in considerazione della natura imperativa e inderogabile della previsione normativa.

Applicando tali principi al caso in esame, ove è stato corrisposto, per gli anni 2005 e 2006, un compenso agli amministratori maggiore rispetto a quello deliberato nel 2003, ratificato successivamente con delibera del 2007, non v’è dubbio che si configura una sostanziale violazione delle competenze attribuite alla assemblea generale dei soci e, dunque, una difformità rilevante dallo schema legale del procedimento di formazione della volontà dell’ente collettivo. La ratifica successiva è inidonea alla scopo, considerato “la delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti” e pertanto l’atto negoziale adottato in difformità è affetto da “nullità assoluta ed insanabile”, così, Sez. 1, Sentenza n. 10869 del 01/10/1999, Rv. 530393-01, richiamata da Sez. 5, Sentenza n. 21953 del 28/10/2015, Rv. 636925 – 01; id. Sez. 1, Sentenza n. 9901 del 24/04/2007; Sez. L, Sentenza n. 14963, del 07/07/2011, Rv. 617769-01, in tema di transazione).

Da tanto ne discende che, sotto il profilo civilistico, il compenso pagato senza una delibera preventiva che ne abbia approvato il diverso ammontare non può in alcun modo ricondursi alla volontà dell’assemblea il che, sotto il profilo tributario, si riverbera sulla indeducibilità del costo per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all’art. 109 t.u.i.r: la mancanza di una delibera specifica sui compensi comporta, sul piano civilistico, la nullità dell’atto di autodeterminazione del compenso da parte degli amministratori, sul piano fiscale, la non deducibilità del compenso.

Ed invero, l’art. 95 t.u.i.r., comma 5, a mente del quale: “I compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”, non richiama il generale principio di competenza, ma segue il criterio di cassa in base al quale i compensi erogati dalla società ai propri amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento, così garantendosi, la simmetria temporale tra deduzione in capo all’erogante e la tassazione del percettore. In tema di compensi degli amministratori, tali regole vanno però conciliate con i principi civilistici innanzi richiamati, secondo cui – si ripete- ai fini della corretta deducibilità fiscale del costo è necessario che la determinazione del compenso sia legata ad una delibera assembleare con data antecedente all’erogazione del compenso che ne determini l’ammontare. In mancanza, la causa dell’indeducibilità dei compensi “non può che rinvenirsi nella mancanza dei requisiti di certezza e determinabilità della spesa”, richiesti dall’art. 109 t.u.i.r., comma 1, (cfr., Sez. 5 del 28/10/2015 n. 21953, cit.), in quanto solo il rispetto della regola “civilistica” conferisce al costo quel carattere di certezza e obiettiva determinabilità cui la norma citata subordina la relativa deducibilità fiscale.

Tali conclusioni non sono superate dalle considerazioni del giudice di merito circa il comportamento dei soci amministratori improntato a buona fede e circa la necessità di evitare una doppia imposizione.

Quanto alla buona fede, il riferimento ad essa ed alla tutela dell’affidamento che ne deriverebbe, è fuorviante solo a volere considerare che le norme richiamate pongono, ai fini della deducibilità dei costi, una chiara sequenza procedimentale (che nella specie risulta violata) senza alcuna necessità di valutazione di comportamenti soggettivi e/o a situazioni di fatto che idonei a determinarlo.

Egualmente privo di rilevanza è il timore del rischio di una doppia imposizione considerato che, come pure evidenziato dalla ricorrente, la circostanza che la società, in mancanza di specifica delibera assembleare, non possa dedurre integralmente la spesa, non significa che lo stesso fatto è tassato due volte ma solamente che nella determinazione del reddito della società non possono essere dedotti costi che non sono certi e determinati.

La sentenza impugnata va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito (essendo le circostanze di fatto incontestate) la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della società contribuente e conferma della sentenza di primo grado. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei gradi di merito. Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, si pongono a carico della società contribuente e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della società contribuente.

Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito. Condanna la società contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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