Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5752 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. III, 22/02/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 22/02/2022), n.5752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 31553/2019 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via Tito Quinzio

Penno 21, presso lo studio dell’avvocatessa Carla De Simone, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocatessa Rita Tabacco;

– ricorrente –

contro

INPS – Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Cesare Beccaria 29, presso lo studio dell’avvocatessa

Maria Assumma, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Giuseppe Cipriani;

– controricorrente –

e contro

Allianz s.p.a.;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 7073/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

revocazione, con rigetto nel merito del ricorso;

udita l’avvocatessa Rita Tabacco;

udito l’avvocato Giuseppe Cipriani.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.L. convenne in giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei subiti in conseguenza della sua caduta avvenuta nella sede di (OMISSIS), a suo dire a causa della presenza di una grata sdrucciolevole in ferro, non correttamente posizionata al suolo.

A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che a seguito della caduta ella era stata trasportata presso l’Ospedale (OMISSIS), dove le era stata diagnosticata la frattura di un malleolo, e che lo stato dei luoghi era stato accertato alcuni giorni dopo dagli agenti della Polizia municipale, recatisi sul posto a seguito della denuncia sporta da suo marito, I.F..

Si costituì in giudizio l’INPS, chiedendo il rigetto della domanda.

Dietro richiesta della parte convenuta fu chiamata in causa la società di assicurazione Allianz, la quale pure chiese il rigetto della domanda.

Espletata prova per testi, il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

2. La pronuncia fu impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Roma, dopo aver disposto una c.t.u. medico-legale sulla persona della danneggiata, rigettò l’appello e condannò l’appellante alla rifusione delle spese del giudizio di secondo grado.

3. Contro la sentenza d’appello la G. ha proposto ricorso per cassazione, che questa Corte ha rigettato con ordinanza 12 marzo 2019, n. 7073, condannando la ricorrente alle spese del relativo giudizio.

In tale ordinanza la Corte, dopo aver premesso che il ricorso era basato “su un unico motivo” nel quale era stata denunciata la violazione dell’art. 115 c.p.c., ha rilevato che la censura era infondata, perché non rispondeva a verità che l’INPS non avesse contestato la narrazione dei fatti compiuta dall’attrice in primo grado. L’ente convenuto, infatti, “aveva contestato proprio che l’esistenza della grata fosse da correlarsi eziologicamente alla caduta in cui era incorsa l’attrice”, come chiaramente emergeva dalla comparsa di risposta depositata nel giudizio di primo grado. Su tale profilo, del resto, si era pronunciata la sentenza di primo grado; e sulla questione dell’efficienza causale della grata rispetto alla caduta la ricorrente non aveva, a suo tempo, proposto appello, dato che il primo motivo di gravame aveva ad oggetto questioni del tutto diverse.

4. Contro la citata ordinanza di rigetto di questa Corte propone ricorso per revocazione G.L., ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., con atto affidato a due motivi nei quali evidenzia due differenti errori di fatto nei quali sarebbe caduta l’ordinanza suindicata.

Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), rilevando che l’ordinanza conterrebbe un evidente errore di fatto nella parte in cui afferma che la ricorrente aveva presentato ricorso fondato su un unico motivo. Vero sarebbe, invece, che il ricorso conteneva due motivi, il secondo dei quali lamentava la violazione dell’art. 2051 c.c., per presunta errata applicazione delle regole sulla responsabilità del custode.

La ricorrente premette che, in ordine logico, il secondo motivo avrebbe dovuto essere esaminato per primo, per cui nel ricorso odierno ella ne antepone la trattazione, riproducendone integralmente il contenuto. Osserva che l’INPS non aveva mai contestato il fatto storico della sua caduta nella struttura di (OMISSIS) e rileva che la Corte d’appello avrebbe dovuto, partendo da tale premessa, ritenere che l’INPS non avesse dimostrato l’esistenza del caso fortuito, con conseguente necessità di disporre la cassazione della pronuncia impugnata con il primo ricorso. L’ente convenuto, infatti, avrebbe dovuto provare che la caduta si era determinata per un fatto estraneo alla sua sfera di controllo, tanto che la giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa nel senso che l’art. 2051 cit., individua un caso di responsabilità oggettiva; mentre la parte danneggiata è tenuta a dimostrare solo il fatto storico ed il nesso di causalità.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), sotto un diverso profilo.

Premette la ricorrente, nuovamente, che l’INPS non aveva contestato il fatto storico della caduta. La Corte di cassazione, esaminando il primo motivo di ricorso – erroneamente definito come l’unico – ha affermato che la ricorrente non aveva proposto un motivo di appello relativo alla violazione dell’art. 115 c.p.c.; questa circostanza sarebbe smentita dalla lettura integrale dell’atto di appello nel quale risultava, in vari punti che il motivo in esame indica, come la contestazione sul nesso di causa fosse stata puntualmente fatta. Ragione per cui, prosegue la G., questa Corte dovrebbe revocare l’impugnata ordinanza ed esaminare il primo motivo di ricorso in allora presentato, che viene integralmente trascritto nel ricorso odierno. Ribadisce la ricorrente, quindi, che la dinamica del sinistro dimostrava senza dubbio che ella era caduta a causa del cattivo posizionamento della grata metallica, circostanza non contestata dall’INPS e dimostrata dall’espletata istruttoria; tra l’altro, sarebbe errata anche la considerazione del Tribunale che nella sentenza di primo grado ha messo in dubbio la credibilità della deposizione testimoniale del coniuge (separato) I., mentre la sua presenza sul luogo del sinistro era da considerare pacifica (e non contestata).

3. Osserva il Collegio, innanzitutto, che il ricorso per revocazione deve essere accolto per quanto riguarda la c.d. fase rescindente.

L’ordinanza n. 7073 del 2019, infatti, è caduta in due evidenti errori di fatto, segnalati nei motivi di ricorso odierno: il primo è costituito dall’affermazione secondo cui il ricorso per cassazione era supportato da un unico motivo, mentre i motivi erano due; il secondo è costituito dall’affermazione per cui la ricorrente non aveva contestato, in sede di appello, la violazione dell’art. 115 c.p.c., asseritamente compiuta dal giudice di primo grado, mentre è pacifico che tale contestazione vi fu, per cui l’ordinanza di questa Corte è viziata da un errore percettivo anche in relazione a tale ulteriore aspetto.

Il primo passaggio della sentenza odierna, quindi, consiste nella revocazione dell’ordinanza impugnata, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., provvedimento al quale fa seguito, secondo la previsione dell’art. 402 c.p.c., l’obbligo di decidere “il merito della causa”; il che significa, in relazione al giudizio di cassazione, l’obbligo di procedere ad un nuovo esame dell’originario ricorso per cassazione proposto dall’odierna ricorrente, cioè quello avverso la sentenza 11 febbraio 2017, n. 922, della Corte d’appello di Roma.

4. Tanto premesso, e revocata quindi l’ordinanza impugnata, si apre il giudizio rescissorio, nel quale bisogna esaminare i due motivi di ricorso a suo tempo proposti.

Rileva il Collegio che la Corte d’appello è pervenuta al rigetto della domanda proposta dalla G. sulla base di due argomenti fondamentali.

Il primo è costituito dall’affermazione secondo cui la deposizione del teste I., coniuge separato della G., non poteva essere considerata attendibile. A questa conclusione la sentenza è pervenuta, condividendo la valutazione già compiuta dal Tribunale, in quanto ha posto in dubbio l’effettiva presenza del teste sul luogo e nel momento della caduta. La Corte d’appello ha ribadito, infatti, che nella verbalizzazione dell’accaduto davanti alla Polizia municipale non si faceva menzione della presenza del teste suddetto, che era stato indicato per la prima volta soltanto in sede giudiziaria.

Il secondo argomento posto dalla sentenza d’appello, logicamente concatenato al primo, consiste nell’affermazione secondo la quale, una volta ritenuta non credibile la deposizione dello I., le “restanti prove addotte” risultavano irrilevanti, posto che la pattuglia della Polizia municipale era giunta ad esaminare i luoghi sette giorni dopo l’accaduto, accertando “semplicemente la presenza della grata con rialzo di due centimetri priva di tappeto antisdrucciolo, dando così solo conto dello stato dei luoghi”. Per cui – tale è la conclusione della sentenza d’appello – il nesso eziologico tra la cosa in custodia e la caduta era rimasto “sfornito di sufficiente supporto probatorio”.

5. Appare evidente, alla luce di questa motivazione, che i motivi dell’originario ricorso per cassazione sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

La costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, è nel senso che la norma dell’art. 2051 c.c., nel porre a carico del custode l’onere della prova del caso fortuito, pone tuttavia a carico del danneggiato quello della prova del nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (v., tra le altre, le ordinanze 11 maggio 2017, n. 11526, 22 dicembre 2017, n. 30775, e 30 ottobre 2018, n. 27724).

La sentenza impugnata, come si è detto, ha ritenuto non dimostrato il nesso di causalità tra il posizionamento della grata in ferro e la caduta della G., fermandosi quindi al primo passaggio del processo logico richiesto dal citato art. 2051; in altri termini, una volta ritenuto non dimostrato che la caduta della danneggiata sia avvenuta per il cattivo posizionamento della grata, prova che era a carico della G., ogni ulteriore accertamento diventava superfluo, perché non è necessario verificare se il custode abbia o meno provato l’esistenza del caso fortuito.

Sotto questo profilo il ricorso odierno, che richiama quello precedente, cade in un evidente equivoco, perché confonde la mancata contestazione del fatto storico della caduta a quell’ora e in quel luogo con la mancata contestazione dell’esistenza del nesso di causalità tra la grata metallica e la caduta. L’INPS, in altri termini, non ha contestato il fatto storico, né evidentemente avrebbe potuto farlo, visto che la caduta pacificamente ci fu, in quel luogo e in quell’ora; ma ha contestato, con argomenti che la Corte di merito ha ritenuto fondati, che quella caduta sia stata dovuta al posizionamento della grata; il che è cosa completamente diversa.

Rileva questa Corte che tanto la valutazione di credibilità di un testimone quanto la decisione in ordine alla sussistenza o meno della prova del nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso sono valutazioni in punto di fatto che spettano al giudice di merito, rispetto al quale nessuna censura può essere compiuta in sede di legittimità. Per cui è evidente che le violazioni di legge prospettate nei due motivi di ricorso – oltre a risolversi, in sostanza, in un tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito sono destituite di fondamento, avendo la Corte d’appello di Roma deciso la causa facendo corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte.

6. In conclusione, l’ordinanza n. 7073 del 2019 di questa Corte è revocata.

Il ricorso originario, deciso ex novo in sede odierna, è rigettato.

Nonostante l’odierna ricorrente sia rimasta, in definitiva, soccombente, la Corte ritiene, in considerazione dell’accoglimento del ricorso per revocazione quanto alla fase rescindente, di dover compensare integralmente le spese dell’odierno e del precedente giudizio di cassazione.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte revoca l’ordinanza n. 7073 del 2019 di questa Corte e, decidendo l’originario ricorso, lo rigetta.

Compensa integralmente le spese del precedente e dell’odierno giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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