Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5752 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 10/03/2010), n.5752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MARINUCCI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AMMINISTRAZIONE DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro

pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 11 presso lo studio dell’Avvocato SALVINI LIVIA, che

la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato CIPOLLA GIUSEPPE

MARIA, giusta Procura Speciale alle liti autenticata nella firma dal

Dott. Alfredo PRETAROLI, Notaio in Chieti, in data 08 settembre 2009

al numero 78725 di repertorio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2003 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di L’AQUILA, depositata il 21/03/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato BRANDA GIANCARLA, per delega

Avvocato SALVINI LIVIA, che si riporta agli atti;

lette le conclusioni scritte dal P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, con le quali si chiede

l’accoglimento del ricorso.

Il Procuratore Generale Dott. Ennio Attilio SEPE, si riporta alle

conclusioni scritte.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La fondazione Cassa di Risparmio della provincia di Chieti impugnava in sede giurisdizionale l’avviso con cui l’Ufficio delle imposte di quel capoluogo accertava maggiori redditi IRPEG per l’anno 1993-1994, in dipendenza della violazione delle norme sulle agevolazioni tributarie previste per le fondazioni delle Casse di Risparmio.

L’adita C.T.P. di quella città accoglieva il ricorso commissione confermata in appello dalla pronuncia della C.T.R. dell’Abruzzo n. 3 del 2003.

In particolare, i giudici di appello ritenevano che la contribuente avesse fini di carattere sociale, come risultava anche dallo statuto, e che la gestione della partecipazione azionaria non comportava attività speculativa.

Con ricorso notificato il 20 marzo 2004, ed affidato ad un unico mezzo, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno chiesto la cassazione della decisione di appello.

L’intimata, con controricorso notificato il 28.4.2004, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione, ed ha depositato memoria.

Con istanza del 29.4.2009, il sostituto Procuratore generale Dott. Antonio Martone, ha chiesto l’accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il ricorso del Ministero è inammissibile, in quanto esso non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate.

Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

In ordine poi alla posizione dell’altra ricorrente, e cioè l’agenzia delle entrate, essa censura l’impugnata sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis, 1 e L. n. 218 del 1990, art. 2, D.Lgs. n. 356 del 1990, artt. 1, 11 e 12, L. n. 461 del 1998, art. 3, D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 e art. 2195 c.c., nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in quanto la CTR non ha considerato che nessuna prova era stata fornita dall’appellata circa la pretesa attività di carattere sociale in realtà espletata, aldilà della mera allegazione formale degli scopi indicati nello statuto, posto che la fondazione controllava la società conferitaria attraverso la nomina degli amministratori; la vigilanza sulla gestione; la negoziazione di titoli finanziari, anche se in misura minoritaria, sicchè si configurava un’attività prettamente commerciale nei suoi riguardi. Solo negli anni successivi a quello d’imposta la legislazione, precisamente la Legge Delega n. 461 del 1998, prevedeva che gli enti conferenti potessero beneficiare delle agevolazioni, a condizione che in effetti non svolgessero attività di tipo imprenditoriale.

Il motivo è fondato.

Invero gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della legge n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, a causa del particolare vincolo genetico che li univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 “bis” (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica), ai fini dell’esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili ne agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG. Infatti la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua “ratio” va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, “ex” art. 87, comma 1, lett. c), non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio. Ne deriva altresì la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 cod. civ., di avere svolto un’attività in concreto, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie, e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni (V. pure Cass. Sez. U, Sentenze n. 1576 del 22/01/2009, n. 27619 del 2006).

Dunque nel caso di specie l’impugnata sentenza, che ha ritenuto illegittimo l’accertamento sul presupposto di carenza di attività speculativa, ha fatto malgoverno del precitato, condiviso principio.

Ne discende che il ricorso proposto dal Ministero va dichiarato inammissibile; quello dell’agenzia va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 1, sicchè va disposto il rigetto del ricorso in opposizione della contribuente avverso l’avviso di accertamento, con esclusione però della sanzione, che va annullata.

A tal riguardo va rilevato che sin dal primo atto introduttivo del processo la fondazione aveva invocato comunque la non applicazione della sanzione relativa alla pretesa impositiva dell’ufficio, senza che i giudici di merito avessero delibato tale richiesta, ritenendo la questione assorbita.

Trattandosi di novella legislativa in materia sanzionatoria più favorevole, tuttavia il Collegio ritiene di delibarla, posto che il relativo trattamento sfavorevole è stato abrogato.

Vero è che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il principio del “favor rei”, introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, non può trovare applicazione generalizzata, diretta ed immediata per la disciplina di fattispecie che risalgano a periodo anteriore all’entrata in vigore del decreto n. 472 del 1997 (1^ aprile 1998). Ne deriva “a contrario”, che la nuova disciplina delle sanzioni amministrative contenuta negli artt. 2 e 7, del suindicato decreto non sarebbe applicabile alle violazioni commesse prima della sua entrata in vigore (V. Cass. Sentenze nn. 15296 del 10/06/2008, 26292 del 2005).

Tuttavia il Collegio ritiene di aderire alla tesi contraria, secondo cui il principio del “favor rei” introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, è, in virtù del successivo art. 25, comma 2, applicabile anche d’ufficio, ed in ogni stato e grado di giudizio, alle violazioni commesse anteriormente al 1^ aprile 1998, a condizione che vi sia un procedimento ancora in corso e che il provvedimento impugnato non sia definitivo, come nella fattispecie in esame (Cfr. anche Cass. Sentenze nn. 17069 del 22/07/2009, 12434 del 2007, 1055 del 2008).

Quanto alle spese di questo giudizio, come pure dei precedenti gradi, sussistono giusti motivi per compensarle per intero tra le parti, atteso che si tratta di questione che all’epoca era controversa anche in giurisprudenza, sino alla recente pronuncia delle Sezioni unite.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo avverso l’avviso di accertamento, ad eccezione della sanzione, che annulla, e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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