Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5752 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2021, (ud. 18/12/2019, dep. 03/03/2021), n.5752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso 2478-2015 proposto da:

MESER SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORTONA 4, presso

lo studio dell’avvocato STEFANO LATELLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANDREA AMATUCCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI NAPOLI, in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 6186/2014 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 20/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’ADRIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dalla cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, dalla Agenzia delle Entrate, con il quale era determinata una maggiore pretesa fiscale ai fini Iva, oltre sanzioni ed interessi nei confronti di Meser srl pei l’anno 2007.

A seguito del ricorso presentato dalla società Meser srl la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli respingeva il ricorso, ritenendo che la dichiarazione iva relativa all’anno 2007 era stata omessa in quanto priva dei dati in alcuni riquadri.

A seguito di appello, proposto dalla società Meser, la Commissione Tributaria Regionale della Campania confermava la decisone di primo grado dovendosi ritenere omessa la dichiarazione iva.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un unico motivo così sintetizzabile:

1) Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8/bis, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

2) Violazione dell’art. 36o c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, e alla L. n. 212 del 2000, art. 10.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate oltre i termini di legge al solo fine di partecipare all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo articolato motivo la società ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione di legge, che non sia stato riconosciuto il credito iva, nonostante la dichiarazione iva relativa all’anno di imposta 2007, fosse stata trasmessa il 28 2 2008, e che nel modello unico, trasmesso il 26 9 2008, relativo ad ires, iva ed irap per l’anno 2007 erano stati compilati i quadri va e vl, non potendo avere rilevanza la circostanza che non fossero stati compilati i quadri ve vf vh vg, contenenti comunque dati riportati nella comunicazione annuale dati iva già trasmessa il 28 2 2008.

Aggiungeva che tale omissione era stata peraltro sanata con la trasmissione della dichiarazione integrativa del 28.9.2009 D.P.R. 22 luglio 1998, ex art. 8 bis.

La sentenza della commissione tributaria della Campania ha fondato la sua decisione favorevole all’Agenzia su una ragione principale e cioè la mancata compilazione di alcuni riquadri.

Invero nel caso non ha preso in alcun modo in esame se sussistesse il credito iva, sanzionando solo la violazione formale della mancata compilazione di alcuni riquadri.

Per unà migliore intelligenza della causa, ai fini della soluzione della lite, va sottolineato che, essendo l’iva imposta comunitaria, deve necessariamente darsi prevalenza alle più recenti pronunce della Corte di Giustizia. Tale Corte ha sempre rimarcato la necessità di distinguere tra violazioni formali e violazioni sostanziali. A titolo semplificativo si evidenzia che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza C-590/13 (Idexx Laboratories Italia Srl contro Agenzia delle Entrate) ha affrontano in modo ampio e generale il tema dei requisiti del diritto alla detrazione IVA ed ha distinto tra requisiti sostanziali e requisiti formali. Come si vede in via di principio la sentenza impugnata si pone in contrasto anche con la decisione sul caso Ecotrade, nella parte in cui ha affermato che “La sesta Dir. del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 18, paragrafo 1, lett. d), e art. 22, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla Dir. del Consiglio 16 dicembre 1991, n. 91/680/CEE, devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni dettano requisiti formali del diritto a detrazione la cui mancata osservanza, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, non può determinare la perdita del diritto medesimo”. Secondo la giurisprudenza della Corte Europea quindi il diritto spettante ai soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori, con l’IVA assolta per i beni da essi acquistati e per i servizi da essi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA attuato dalla normativa dell’Unione; costituendo parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni, proprio per garantire la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche.

Deve, quindi, ritenersi fondato il motivo del ricorso, col quale la contribuente si duole dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata che la mancata compilazione di alcuni quadri, pur in presenza di una dichiarazione iva annuale, inibisca l’esercizio del diritto di detrazione dell’iva, concernente anni di imposta precedenti, da inquadrare nella violazione di legge.

La questione è stata affrontata e decisi dalle sezioni unite (con sentenza 8 settembre 2016, n. 17757) che hanno fissato il principio secondo il quale “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (conf., Cass., ord. 25 gennaio 2017, n. 1627).

Il contribuente, pertanto, poteva avvalersi del credito iva maturato, anche nell’ipotesi di minore impatto, di non aver compilato alcuni riquadri nel modello ai fini ires iva irap, in presenza della dichiarazione annuale finale e della dichiarazione integrativa purchè siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione come nel caso in esame. In sintesi l’Amministrazione non può pretendere somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza.

Del resto tale giurisprudenza si pone nel solco della Giurisprudenza dell’Unione Europea secondo la quale occorre che il contribuente documenti la sussistenza dei soli requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui alla sesta Dir., art. 17, e “si mettono in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificiosi e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizione sul valore aggiunto”. La questione, pertanto, si sposta su un piano esclusivamente di natura probatoria, nel senso che il contribuente ha diritto di recuperare il credito iva sia pure mediante l’istituto della compensazione, ove sussista la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali. Pertanto, il collegio intende dare continuità all’indirizzo costante da ultimo affermato dalla ordinanza numero 31433 del 2018,secondo cui “Nell’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria recuperi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 nel 1972, art. 54 bis, un credito esposto nella dichiarazione oggetto di liquidazione maturato in un annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, il contribuente può dimostrare mediante la posizione di idonea documentazione effettiva esistenza del credito non dichiarato ed in tal modo viene posto nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato (salvo sanzioni ed interessi) qualora avesse presentato correttamente la dichiarazione, atteso che, da un lato il suo diritto nasce dalla legge e non dalla dichiarazione e da un altro, in sede contenziosa ci si può sempre opporre alla maggiore pretesa fiscale allegando errori di fatto o di diritto commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sulla obbligazione tributaria. Nel caso, è lo stesso giudice di appello a pagina due della sentenza a dare atto che era stata presentata la dichiarazione integrativa con la compilazione di tali riquadri, completa dei dati necessari, ben tre anni prima della emissione della cartella e nella stessa sentenza il giudice (pag. 3) dà anche atto che l’agenzia non aveva contestato l’esistenza del credito Iva nelle fasi di merito ma riteneva che l’unica strada percorribile era quella del rimborso.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo, rimanendo così assorbito il secondo motivo, la sentenza va cassata. Visto che, comunque in base a quanto detto sopra, il credito del contribuente sussisteva, il che escludeva in radice l’esistenza della pretesa sottesa a tale cartella e non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso originario proposto dal contribuente per opporsi alla cartella che intendeva recuperare l’iva portata in compensazione, va deciso nel merito, con l’accoglimento per il profilo dinanzi indicato. Tenuto conto che la giurisprudenza applicata si è formata dopo la fase di merito, le spese del primo e secondo grado vanno compensate con condanna della controricorrente al pagamento delle spese processuali del grado di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rimanendo assorbiti gli altri, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente.

Compensa le spese processuali delle fasi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del grado di legittimità liquidate in Euro 6000,00 oltre oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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