Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5751 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. III, 22/02/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 22/02/2022), n.5751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 28474/2019 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliata in Roma, Via Attilio

Friggeri 55, presso lo studio dell’avvocato Russo Giuseppe Orazio,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Roma Capitale;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 5725/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 27/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

viste le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ALESSANDRO PEPE, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.R. convenne in giudizio il Comune di Roma, davanti al Giudice di pace della stessa città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei patiti a causa della caduta avvenuta in (OMISSIS) a causa della presenza di una buca non visibile esistente sul manto stradale.

Aggiunse, a sostegno della domanda, che a causa della caduta aveva riportato un trauma distorsivo alla caviglia destra e al polso sinistro.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Giudice di pace rigettò la domanda e condannò l’attrice al pagamento delle spese di lite.

La decisione fu impugnata dall’attrice soccombente e il Tribunale di Roma rigettò l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

2. Avverso la pronuncia di appello la S. propose revocazione davanti al medesimo Tribunale, che rigettò l’impugnazione e condannò la S. al pagamento delle ulteriori spese di lite.

3. Contro la sentenza del Tribunale pronunciata in sede di revocazione l’attrice soccombente ha proposto ricorso per cassazione e questa Corte, con ordinanza 27 febbraio 2019, n. 5725, ha rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del relativo giudizio e dell’ulteriore somma di Euro 1.000 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

In tale ordinanza questa Corte ha osservato, in relazione al primo motivo, che il giudice della revocazione aveva correttamente escluso che la sentenza pronunciata dal Tribunale in grado di appello fosse viziata da errori di percezione, trattandosi, invece, di una valutazione del merito delle prove assunte. Allo stesso modo, è stato ritenuto inammissibile il secondo motivo di ricorso, in quanto il suo contenuto non prospettava un errore revocatorio. In riferimento, invece, al terzo motivo – nel quale la ricorrente aveva lamentato violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. – l’ordinanza n. 5725 ha osservato trattarsi di una censura che atteneva al merito della controversia e non deduceva, quindi, un errore revocatorio.

Dal rigetto del ricorso la Corte di cassazione ha tratto ragioni per l’ulteriore condanna ai sensi del citato art. 96.

4. Contro l’ordinanza di questa Corte S.R. propone ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., con atto affidato a quattro motivi.

Roma Capitale non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni per iscritto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che l’ordinanza sarebbe inesistente, per non essere la stessa attribuibile alla Corte di Cassazione o per “essere stata estesa da persona che non rivestiva, sostanzialmente, se non anche formalmente, la qualifica o la funzione di consigliere di cassazione”.

Secondo la ricorrente, tale conclusione sarebbe obbligata sia per la veste grafica del provvedimento che per il suo contenuto, il quale proverebbe che la sua redazione non può considerarsi opera di un magistrato, per l’incomprensibilità e l’erroneità delle affermazioni ivi contenute.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha osservato che il terzo motivo di ricorso non conteneva motivi revocatori.

Sostiene la ricorrente che la sentenza del Giudice di pace che aveva accertato che ella era caduta in una buca era da ritenere, su questo punto, passata in giudicato, per cui la sussistenza di un’insidia stradale non poteva più essere messa in discussione. Il Comune non aveva contestato tale profilo ma il Tribunale – secondo la ricorrente – aveva “inventato” una serie di argomenti “utili per far vincere la causa al Comune”. La sentenza del Tribunale, quindi, era caratterizzata da “vistose bugie”, mentre quel giudice avrebbe dovuto decidere la causa facendo applicazione delle regole degli artt. 2043 e 2051 c.c., pervenendo ad una condanna del Comune di Roma il quale non aveva in alcun modo assolto l’onere della prova esistente a suo carico. La pronuncia della Corte di cassazione avrebbe confuso la violazione di legge con l’errore revocatorio, non considerando che la sentenza pronunciata dal Tribunale in sede di revocazione era stata impugnata con un normale ricorso per cassazione, denunciando cioè le prospettate violazioni di legge.

3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto sussistente una sorta di “confessione” da parte della S., la quale nel giudizio di merito avrebbe ammesso che nel momento della caduta ella era impegnata a guardare la strada, per cui non si era accorta della presenza della buca.

Ad avviso della ricorrente, le affermazioni della Corte di cassazione conterrebbero una serie di falsità, perché tutti i giudici, “dal primo all’ultimo, hanno supposto erroneamente l’inesistenza di un fatto decisivo la cui verità era positivamente stabilita in tutti i gradi del processo”. La ricorrente aveva affermato di non poter vedere la buca perché impegnata a parcheggiare la propria auto, per cui sarebbe evidente l’errore revocatorio.

4. I primi tre motivi, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, in quanto evidentemente connessi tra loro.

Essi sono tutti inammissibili.

4.1. Preliminarmente, il Collegio osserva che tali motivi sono redatti con una tecnica non rispettosa delle regole generali relative al ricorso per cassazione, dal momento che affastellano un insieme di considerazioni di fatto e di diritto, mescolando censure di violazione di legge con censure di merito e censure revocatorie, in modo tale da rendere difficile discernere le une dalle altre; il tutto al fine di sostenere, con una sorta di petizione di principio, che la domanda della S. era fondata e avrebbe dovuto perciò essere accolta.

4.2. Ciò premesso, si rileva che il primo motivo di ricorso non può neppure essere definito tale, posto che la ricorrente usa toni ed accenti del tutto inadatti ad un ricorso per cassazione. Affermare, infatti, che l’ordinanza qui impugnata non pare neppure essere stata scritta da un magistrato della Corte di Cassazione – tanto gravi e numerosi sarebbero gli errori in essa contenuti – significa porre argomentazioni che nulla hanno a che vedere con un ricorso per revocazione e che meriterebbero, piuttosto, di essere sanzionate in altra sede per la loro evidente e gratuita offensività.

4.3. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile.

Pur volendo tralasciare i toni palesemente offensivi che anche tale motivo presenta – là dove afferma che la sentenza del Tribunale (pronunciata in sede di revocazione) conterrebbe una serie di vistose bugie finalizzate all’unico scopo di far vincere la causa al Comune di Roma – resta il fatto che l’ordinanza oggi impugnata ha risposto alle censure presentate nel precedente ricorso per cassazione e ha ritenuto di escludere che la sentenza del Tribunale, pronunciata in sede di revocazione, contesse effettivamente vizi di violazione di legge.

Come correttamente ha osservato il Procuratore generale nelle sue conclusioni per iscritto, ribadite poi alla pubblica udienza, questo motivo è inammissibile da un lato perché contiene censure di merito, evidentemente estranee all’impugnazione per revocazione, e dall’altro perché l’ordinanza in esame ha rigettato il primo motivo di ricorso rilevando che esso si sostanziava nella richiesta di una nuova valutazione delle prove. Si legge nella motivazione dell’ordinanza n. 5725 del 2019, infatti, che “il giudice della revocazione ha correttamente escluso, nella sentenza in questa sede impugnata, che la ricostruzione effettuata dal giudice del gravame potesse ritenersi viziata da errori di percezione, trattandosi, viceversa, di valutazioni di merito sostenute da un impianto motivazionale congruo, logico e al di sopra della sufficienza costituzionale”. Ed è evidente che tornare a discutere oggi – come pretenderebbe la ricorrente – della possibile esistenza di un giudicato sul fatto storico dell’esistenza di un’insidia stradale costituisce censura del tutto estranea all’ambito della revocazione.

E’ appena il caso di ricordare, inoltre, che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che nel ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non sono deducibili censure diverse da quelle previste dall’art. 360 c.p.c., e, in particolare, non sono denunciabili ipotesi di revocazione ex art. 395 c.p.c., non rilevando in contrario la circostanza che la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione non possa essere a sua volta impugnata per revocazione (così la sentenza 19 marzo 2007, n. 6441, e l’ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28452).

4.4. Non migliore sorte spetta, poi, al terzo motivo di ricorso, nel quale la ricorrente torna a discutere della natura confessoria o meno delle dichiarazioni da lei rese in sede di merito.

Si tratta, come facilmente può comprendersi e come correttamente ha ribadito il Procuratore generale, di una censura nella quale, “sotto le mentite spoglie di un vizio revocatorio, si contesta la valutazione della Corte sull’esistenza di dichiarazioni confessorie da parte della S. in ordine alle condizioni della strada e alla visibilità dell’insidia”. Punto, anche questo, di puro merito, completamente estraneo al perimetro dell’impugnazione per revocazione.

5. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente sostiene l’ingiustizia della condanna inflitta dalla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 96 c.p.c., sul rilievo che gli stessi travisamenti che hanno condotto al rigetto della domanda – che era invece fondata – avrebbero determinato il rigetto del ricorso per cassazione e la conseguente condanna risarcitoria, che costituirebbe “un atto di ingiustizia ancora più grave”.

5.1. Il motivo è palesemente inammissibile.

E’ evidente, infatti, che decidere se la parte ricorrente meriti o meno di essere condannata al pagamento di una sanzione ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, rappresenta l’esplicazione di un potere tipico del giudice decidente, rispetto al quale non può sussistere alcun margine per invocare l’errore revocatorio. Anche volendo ammettere, infatti, in via del tutto ipotetica, che un errore vi sia stato, si tratterebbe di un vizio di violazione di legge e non di un errore percettivo.

6. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata Roma Capitale.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

 

 

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