Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5750 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. III, 22/02/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 22/02/2022), n.5750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 24601/2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pilo

Albertelli 1, (fax 0698933754 – tel. 0644233842), presso lo studio

dell’avvocatessa Lucia Camporeale, rappresentato e difeso da sé

stesso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate – riscossione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2553/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 30/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

viste le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dott.

STANISLAO DE MATTEIS, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.S. convenne in giudizio il Ministero della giustizia ed Equitalia Sardegna s.p.a., davanti al Tribunale di Cagliari, esponendo di aver ricevuto la notifica di due cartelle esattoriali per importi dovuti alla Cassa delle ammende, a titolo di spese di giustizia e accessori, emesse sulla base della documentazione trasmessa all’Agente della riscossione dall’Ufficio recupero crediti del Tribunale e della Corte d’appello di Palermo.

A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che quelle cartelle erano illegittime in quanto generiche e inidonee a comprendere quale fosse il sotteso titolo di addebito; aggiunse che, comunque, egli non era debitore di quelle somme, non essendogli stato notificato e non avendo contezza di alcun provvedimento di condanna da parte di quegli Uffici giudiziari oltre che, in ogni caso, per intervenuta prescrizione quinquennale; e rilevò che le richieste gli avevano arrecato un ingiusto danno patrimoniale e non, del quale domandava il risarcimento.

Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò l’opposizione e condannò l’opponente al pagamento delle spese di lite.

2. La pronuncia del Tribunale è stata impugnata dalla parte soccombente con ricorso per cassazione e questa Corte, con sentenza 30 gennaio 2019, n. 2553, ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente alle spese del relativo giudizio.

In tale sentenza la Corte, dopo aver chiarito di doversi occupare solo dei motivi contenenti ragione di opposizione agli atti esecutivi e non anche di quelli contenenti ragioni di opposizione all’esecuzione, ha premesso non essere in discussione l’affermazione del Tribunale secondo cui i titoli all’origine dei crediti dovevano ritenersi esistenti, in quanto risultanti dagli estratti, dichiarati conformi, dei provvedimenti emessi dalla medesima Corte di cassazione in sede penale. Ciò detto, la sentenza ha chiarito che il recupero delle spese di giustizia avviene col meccanismo previsto dall’art. 227-ter, comma 1, del Testo Unico sulle Spese di Giustizia, e che nel caso in esame il procedimento di riscossione era stato avviato successivamente alla convenzione con cui la quantificazione del credito e la formulazione del ruolo erano state affidate alla società Equitalia Giustizia. Avendo provveduto l’ufficio recupero crediti alla formazione del ruolo sotteso alla cartella esattoriale notificata, né la formazione del ruolo né la notifica della cartella dovevano essere preceduti dalla notifica dei provvedimenti giurisdizionali dai quali il credito traeva origine.

Richiamando la propria precedente giurisprudenza in argomento, la sentenza n. 2553 ha aggiunto che, nel caso di mancata notifica dell’atto giudiziale sotteso – cioè quando la cartella costituisce il primo atto con cui il contenuto dell’atto giudiziale viene portato a conoscenza del destinatario – occorre che tale cartella contenga gli elementi minimi per consentire all’obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi, quindi, nel merito. Trattandosi, poi, di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi, la Corte ha osservato che erano irrilevanti in quella sede “le questioni afferenti alla querela di falso degli estratti dei provvedimenti del giudice penale”, dato che l’iscrizione a ruolo avviene “sulla base del provvedimento giurisdizionale definitivo, e non dell’estratto”.

Quanto, infine, al sesto motivo di ricorso – nel quale si contestava la presunta non intelligibilità dei titoli esecutivi sottesi alle cartelle (asseritamente non motivate) – la sentenza n. 2553 ha rilevato che non emergeva alcuna delle lamentate violazioni di legge, “atteso che il Tribunale, con accertamento in fatto, ha ritenuto la possibilità di identificare i provvedimenti giurisdizionali cui erano riferite le cartelle attraverso i dati in esse presenti ovvero attraverso la loro motivazione per relazione, coincidente con la prova, data dai relativi estratti, della sussistenza dei provvedimenti giurisdizionali originanti i crediti”. La concreta esistenza, in altre parole, della utile conoscibilità dei provvedimenti sottesi da parte dell’opponente è stata ritenuta frutto di un accertamento in fatto non sindacabile nel giudizio di legittimità.

3. Contro la citata sentenza di questa Corte propone ricorso per revocazione S.S., ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., con atto affidato ad un unico complesso motivo.

Resiste il Ministero della giustizia con controricorso.

L’Agenzia delle entrate riscossione non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni per iscritto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione alle sentenze della Corte costituzionale n. 17 del 1986 e n. 36 del 1991, per carenza di pronuncia sui reali motivi di ricorso e per errore di fatto sussistente sotto vari profili.

Il ricorrente premette che le due cartelle impugnate erano relative l’una ad un credito del 2001 e l’altra ad un credito del 2006 e aggiunge di aver impugnato la sentenza del Tribunale di Cagliari col precedente ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Dopo aver trascritto una buona parte della motivazione della sentenza n. 2553 del 2019 di questa Corte, lo S. censura l’affermazione ivi contenuta secondo cui nella specie l’iscrizione a ruolo non prevedeva la notifica del provvedimento giudiziale sotteso, atteso che tale notifica è dovuta per ogni forma di riscossione, avendo valenza di “principio di ordine generale”. D’altra parte, la notifica della cartella – precetto può rendere noto ciò che da essa risulta, ma non quello che nel ruolo non è detto. La censura aggiunge che anche la formazione del ruolo sulla base di un titolo esecutivo di natura amministrativa o giurisdizionale “presuppone in capo all’intimato la conoscenza legale, tramite notifica, previa o contestuale del titolo sotteso”.

Quanto, poi, all’ulteriore parte della motivazione nella quale è stato affrontato il problema della presenza, nella cartella, degli elementi minimi per individuare la pretesa impositiva, ill ricorrente dichiara che tali elementi oggettivamente non sussistevano. La sentenza da revocare, osserva il ricorrente, avrebbe perciò affermato il falso là dove ha affermato che dalle cartelle risultavano i titoli per i quali il pagamento era stato chiesto, anche perché il richiamo alla c.d. motivazione per relazione faceva riferimento agli estratti prodotti dalla P.A. “irritualmente e illegittimamente”. In conclusione, lo Rara osserva che la sentenza impugnata costituirebbe “una vera e propria eresia in fatto e in diritto”; per cui egli, oltre a chiederne la revocazione, dichiara anche, nel corpo del ricorso odierno, di voler proporre querela di falso, ai sensi dell’art. 221 c.p.c., in relazione alle affermazioni false che la sentenza n. 2553 asseritamente conterrebbe (alle pp. 1-2, 3, 10-11 e 12).

2. Rileva la Corte, innanzitutto, che il ricorso è redatto con una tecnica tale da rendere non sempre e non integralmente comprensibile il contenuto delle censure, soprattutto per quanto riguarda la distinzione tra i profili di fatto e quelli di diritto.

2.1. Ciò premesso, le doglianze oggetto della richiesta di revocazione possono essere ricondotte, nella sostanza, a due: 1) la sentenza avrebbe errato là dove sostiene che l’iscrizione a ruolo non prevedeva la necessaria previa notifica del provvedimento sotteso (cioè dei provvedimenti della Cassazione penale che stabilivano l’obbligo di recupero delle spese di giustizia, v. sentenza a p. 7); 2) la sentenza avrebbe errato là dove ha affermato che il contenuto dei provvedimenti sottesi si deduceva in modo sufficientemente chiaro dalle cartelle notificate (sesto motivo di ricorso, esaminato alle pp. 10-12 della sentenza impugnata).

Queste essendo, in sintesi, le effettive censure che emergono dal ricorso, la Corte osserva che la revocazione è pacificamente inammissibile.

La censura sopra indicata al n. 1) e’, infatti, volta ad individuare nel provvedimento impugnato un (eventuale e ipotetico) errore di diritto e non un errore percettivo; senza contare che questo profilo è stato oggetto di un ampio accertamento da parte della sentenza impugnata. Ne consegue che si tratta di una censura che non pone un errore revocatorio e che comunque è preclusa dalla circostanza che il fatto ha costituito “un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi” (art. 395 c.p.c., n. 4).

Allo stesso modo, la censura indicata al n. 2) è stata parimenti oggetto della decisione da revocare. La sentenza impugnata, infatti, dopo aver affermato che il sesto motivo di ricorso era stato formulato con vizi di autosufficienza, ha aggiunto (alle pp. 11-12) che la cartella è tenuta a garantire “non la compiuta conoscenza del contenuto del titolo del credito, bensì la sua identificabilità finalizzata alla possibilità di difendersi nel merito”; ed ha chiarito che la “concreta sussistenza della discussa utile conoscibilità è oggetto di un effettuato accertamento in fatto”, come tale insindacabile se non nei limiti in cui è ammessa la censura di vizio di motivazione. Il che viene a significare che l’accertamento sulla utile conoscibilità è stato ritenuto un accertamento di merito già compiuto dal Tribunale, non sindacabile in sede di legittimità e, a maggior ragione, del tutto inidoneo a configurare un vizio di revocazione.

2.2. Osserva la Corte, infine, che è palesemente da rigettare l’ulteriore profilo del ricorso per revocazione (p. 13) nel quale si propone querela di falso avverso la sentenza n. 2553 del 2019.

Occorre ricordare che la giurisprudenza costante di questa Corte, alla quale l’odierna pronuncia intende dare continuità, è nel senso che la querela di falso, avendo lo scopo di privare il documento dell’efficacia probatoria qualificata che gli è attribuita dalla legge, può investire anche una sentenza purché attenga a ciò di cui la sentenza stessa fa fede quale atto pubblico, cioè alla provenienza del documento dall’organo che l’ha sottoscritta, alla conformità al vero di quanto risulta dalla veste estrinseca del documento (data, sottoscrizione, composizione del collegio giudicante, ecc.) e di ciò che il giudicante attesta essere avvenuto in sua presenza. Tale strumento non è invece utilizzabile nell’ambito del giudizio di impugnazione avverso la sentenza della quale si deduce la falsità (v. le sentenze 5 febbraio 2013, n. 2637, e 12 ottobre 2017, n. 24007 del 2017).

Nel caso in esame è evidente che la richiesta, avente ad oggetto proprio la sentenza oggetto di impugnazione, si fonda su presunti errori contenuti nella medesima, per cui la querela di falso è chiaramente uno strumento inutilizzabile.

3. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA