Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5749 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. III, 22/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 22/02/2022), n.5749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7401/2019 proposto da:

M.L., rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe

Boccato, Maria Antonia Boccato, e Nicola Di Pierro, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma Via

Tagliamento 55;

– ricorrente –

contro

Ministero Difesa, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2251/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2021 dal Cons. Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.L., durante il servizio militare di guardia presso il complesso (OMISSIS), cadde da una piattaforma a seguito del crollo del parapetto, precipitando a terra da un’altezza di circa 4 metri;

a seguito dei postumi residuati alle lesioni riportate nel sinistro e ai numerosi ricoveri ospedalieri, il M. agì per il risarcimento dei danni nei confronti del Ministero della Difesa, della ULSS n. (OMISSIS), della ULSS n. (OMISSIS), di R.G. e di V.F.; nel giudizio furono chiamate anche le Gestioni liquidatorie delle ULSS e la Regione Veneto;

il Tribunale di Venezia accertò che i danni erano ascrivibili a concorrente responsabilità del Ministero, dell’ULSS (OMISSIS), dell’ULSS (OMISSIS) e di R.G.; e condannò i predetti, nonché la Regione (quale successore ex lege delle soppresse ULSS), al risarcimento dei danni nell’importo di oltre 615.000,00 Euro; accertò nella misura di 1/3 la responsabilità ascritta al Ministero e nei residui 2/3 quella delle altre parti;

nelle more del giudizio di appello – promosso, in via principale dalla Regione e, in via incidentale, dal Ministero e dal M. – intervenne una transazione tra il danneggiato, la Regione Veneto, le due ULSS e le relative Gestioni liquidatorie, il R. e il V.;

la Corte di Appello di Venezia, dichiarata cessata la materia del contendere fra le parti che avevano transatto la controversia, confermò la responsabilità del Ministero nella misura di 1/3 (essendo passata in giudicato la relativa statuizione del Tribunale) e riconobbe al M. un ulteriore importo a titolo di invalidità temporanea;

provvedendo sul ricorso del M., questa Corte pronunciò sentenza n. 21059/2016 che accolse “p.q.r. il ricorso”, cassando “in relazione l’impugnata sentenza” e rinviando alla Corte territoriale anche per le spese di lite;

riassunto il giudizio dal M., la Corte di Appello di Venezia ha pronunciato sentenza n. 2251/2018 con cui, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il Ministero della Difesa “al pagamento (…) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale (…) della somma di Euro 93.655,00, detratto quanto già percepito dal M. al medesimo titolo da parte del Ministero della Difesa”; inoltre, “compensate per 1/3 le spese di lite e tenuto conto della definizione transattiva della lite intervenuta tra M. e tutti gli altri obbligati”, ha condannato il Ministero “al pagamento in favore di M.A. delle residue spese di lite nella misura di 1/5”, che ha provveduto a liquidare (per intero) per ciascun grado;

ha proposto ricorso per cassazione il M., affidandosi a tre motivi; ha resistito, con controricorso, il Ministero della Difesa;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.;

il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia “vizio di omessa pronuncia – nullità della sentenza – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 4”: premesso che “tutte le questioni (e le relative domande), ulteriori rispetto a quella attinente all’applicazione delle Tabelle Milanesi e al riconoscimento del danno esistenziale, poste all’attenzione della Cassazione nel corso del giudizio conclusosi con la sentenza di accoglimento e rinvio n. 21059/2018, erano state dichiarate dalla stessa assorbite”, il ricorrente censura la Corte territoriale in quanto, “sul falso ed erroneo presupposto che tali domande fossero state invece rigettate -incorrendo nel vizio di omessa pronuncia – ha omesso ogni statuizione in ordine alle stesse, così negando al (…) M. una pronuncia di accoglimento ovvero, in ipotesi, di motivato rigetto”; nella esposizione relativa al fatto e allo svolgimento del processo, il ricorrente ha osservato, al riguardo, che nella parte motiva della sentenza di cassazione e nel relativo dispositivo erano stata adottate le formule della fondatezza “p.g.r.” e dell’accoglimento “p.q.r.”, (che il ricorrente legge, rispettivamente, “per giuste ragioni” e “per queste ragioni”), dichiarandosi inoltre “assorbita ogni ulteriore e diversa questione”; che, “a fronte dei dicta della sentenza di rinvio, tutti e quattro i motivi di cassazione erano stati peraltro espressamente riproposti in sede di riassunzione”; che la Corte di rinvio aveva però “equivocato sul significato delle due abbreviazioni (…), fraintendendole e attribuendo così alle stesse un significato radicalmente diverso”, nel senso che la Corte di Cassazione avrebbe accolto il ricorso solo “per quanto di ragione” e soltanto nei termini indicati in motivazione;

il motivo è inammissibile per difetto di specificità: premesso che questa Corte può (e deve) conoscere i propri precedenti e – quindi -anche la sentenza di cassazione e rinvio intervenuta nella presente controversia, deve tuttavia rilevarsi che il ricorrente si è limitato a trascrivere (a pag. 3 del ricorso) un breve passaggio della sentenza anzidetta, omettendo di prendere in esame le varie parti della motivazione al fine di argomentare sulla portata dell’assorbimento e sul fatto che lo stesso avesse escluso la definizione delle questioni non esaminate dalla Corte di rinvio; e ciò al fine di contrastare adeguatamente – come avrebbe dovuto – l’assunto della sentenza qui impugnata, che ha affermato che la Corte rescindente ha “dichiarato fondato il ricorso solo per quanto di ragione, e l’ha accolto solo nei termini che essa stessa ha indicato nella motivazione che ha fatto seguire” (pag. 13), aggiungendo che “i motivi secondo e terzo (relativi al mancato riconoscimento di talune voci di danno patrimoniale e alla misura del riparto della responsabilità del danno tra i convenuti) non sono tra quelli oggetto di esame né di cassazione, né possono essere ritenuti assorbiti…, sicché quei motivi non sono stati accolti, né sono assorbiti dalla pronuncia della Suprema Corte, ma sono stati respinti”, ossia “definiti con un rigetto implicito”;

il secondo motivo deduce “violazione di legge, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 – error in procedendo – motivazione omessa e/o contraddittoria e/o apparente. Liquidazione integrale del danno – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione di legge e/o falsa applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056 e 2059 c.c.”: il ricorrente lamenta che “la corte territoriale ha negato il danno esistenziale e quindi qualsiasi personalizzazione del danno stesso (…) nonostante la estrema peculiarità e penosità delle lesioni subite dal leso e la correlativa accertata esistenza di “pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita””, e ciò con specifico riferimento al “non poter svolgere la professione di cuoco. Realizzarsi nell’ambito lavorativo”, all'”attività ricreativa. Godere del tempo libero” e ai “capitoli di prova” dedotti al riguardo;

il motivo è inammissibile, in quanto, lungi dall’individuare un’omessa pronuncia o specifici errori di diritto in relazione alle norme indicate in rubrica, il ricorrente si limita a contestare il mancato riconoscimento di somme ulteriori a titolo di danno esistenziale sulla base di una diversa lettura dei fatti di causa e delle emergenze istruttorie, in tal modo sollecitando alla Corte un non consentito diverso apprezzamento di merito;

col terzo motivo (“regolazione e quantificazione delle spese di lite – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione della tariffa di cui al D.M. n. 55 del 2014 – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – violazione di legge, violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2909 c.c.”), il ricorrente censura la statuizione relativa alle spese di lite, assumendo che:

in relazione alle spese dei primi due gradi di giudizio, la pronuncia, “laddove fosse letta nel senso di ridurre ad 1/5 l’importo già a suo tempo posto a carico del Ministero della Difesa (con pronunce passate in giudicato sul punto in quanto mai oggetto di censura) sarebbe viziata da ultrapetizione”;

quanto alle spese del giudizio di cassazione e di quello di rinvio, “non è dato sapere (o capire): – quale sia lo scaglione che la corte territoriale avrebbe inteso applicare; – quale sia la corretta interpretazione della parte dispositiva”;

la liquidazione non rispetterebbe, inoltre, né i valori medi né quelli minimi dello scaglione di riferimento dell’importo di 280.964.00 Euro (costituente il totale delle voci del danno non patrimoniale riconosciuto) e, comunque, neppure dell’importo di 93.000,00 Euro concretamente liquidato.

il motivo merita accoglimento, previa sua riqualificazione (cfr. Cass. n. 4036/2014 e Cass. n. 25557/2017) in termini di nullità della statuizione per obiettiva incomprensibilità del dictum impugnato;

invero, il M. ha chiaramente espresso (a pag. 16 del ricorso) la difficoltà di “sapere (o capire)” quale sia la disciplina delle spese recata dalla sentenza e, in effetti, la sentenza presenta una insuperabile carenza motivazionale che non consente di individuare il criterio logico-giuridico posto a base della statuizione e i parametri in concreto seguiti per la determinazione dei compensi; il che determina l’impossibilità di effettuare il controllo della correttezza della decisione;

la sentenza va pertanto cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale perché provveda nuovamente sulle spese processuali;

la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, dichiarati inammissibili i primi due motivi, accoglie il terzo, cassa in relazione ad esso e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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