Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5740 del 22/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 22/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 22/02/2022), n.5740
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13303-2020 proposto da:
MIREA DI B.M.G. & C SNC, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
G. AVEZZANA, 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI,
rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO GUARALDI;
– ricorrente –
contro
IFIS NPL SPA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI, 38, presso lo studio
dell’avvocato FABIO ALBERICI, rappresentata e difesa dall’avvocato
LEONARDO BOTTAZZI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2404/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,
depositata il 29/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 19/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CRICENTI.
Fatto
RITENUTO
che:
1. – La società Mirea snc ha preso in leasing dalla società Neos Finance due autovetture con rispettivi e distinti contratti.
A causa del mancato pagamento di alcuni canoni, la società finanziatrice ha ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni scaduti e non pagati, dopo aver risolto il contratto. Il decreto ingiuntivo è stato ottenuto sia nei confronti della società concessionaria che dei due soci illimitatamente responsabili, ossia B.M.G. e C.G..
2. – Questi ultimi, unitamente alla società, hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo, che però è stato confermato dal giudice di primo grado con decisione che, sebbene oggetto di appello da parte della sola società Mirea SNC, è stata confermata dal giudice di secondo grado.
3. – Propone ricorso la Mirea SNC con sei motivi, di cui chiede il rigetto la società IFIS spa, nel frattempo intervenuta in giudizio quale cessionaria del credito della Neos Finance. V’e’ memoria della parte ricorrente.
Diritto
CONSIDERATO
che:
4. – Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 331 c.p.c..
Secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe nulla per violazione del contraddittorio: inizialmente il decreto ingiuntivo era stato ottenuto sia nei confronti della società che nei confronti dei soci illimitatamente responsabili: tutti e tre avevano proposto opposizione al decreto e tuttavia solo la Mirea snc ha proposto appello, con la conseguenza che, nel giudizio di secondo grado, i soci di quest’ultima, essendo litisconsorti necessari, avrebbero dovuto essere chiamati in causa.
Il motivo è infondato.
In realtà, Il rapporto di sussidiarietà che collega la responsabilità dei soci di società di persone rispetto alla responsabilità della società non esclude la natura solidale della relativa obbligazione, con la conseguenza, sul piano processuale, dell’esclusione del litisconsorzio necessario e della conseguente scindibilità delle cause (Cass. n. 19985/2013).
5. – Il secondo motivo fa valere violazione degli art. 1526 e 1384 c.c..
Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe basato la sua decisione obliterando la distinzione tra leasing traslativo e leasing finanziario e ritenendo questa distinzione superata dalla L. n. 124 del 2017.
Secondo la ricorrente, invece, la distinzione tra i due leasing deve essere tenuta ferma e, trattandosi nel suo caso di leasing traslativo, i canoni corrisposti non andavano restituiti ma portati in compensazione con il credito della concedente: eccezione che la ricorrente aveva fatto e che è stata rigettata sull’errato presupposto della ormai avvenuta unificazione dei due leasing.
Il motivo è inammissibile.
E’ vero che, come chiarito dalle sezioni Unite di questa Corte, “la disciplina di cui alla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138, si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente la L. Fall., art. 72 quater” (Cass. Sez,. Un. n. 2061/2021).
Tuttavia la ratio della decisione di appello è un’altra, e fa leva sul contratto di leasing, art. 8, che autorizza il concedente, in caso di risoluzione, a richiedere il pagamento dei canoni scaduti e di quelli ancora a scadere, riconoscendo all’utilizzatore il diritto ad avere l’equivalente della vendita del bene a tacitazione del suo di diritto connesso ai canoni già pagati.
6. – Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 112,115,133,163 c.p.c..
Secondo la ricorrente, il giudice di secondo grado non ha deciso sulla eccezione relativa alla mancanza di prova dell’ammontare del credito o comunque, pure avendo deciso, ha apoditticamente affermato che quel credito era basato sulla documentazione in atti senza indicare quale fosse.
Il motivo è infondato.
La Corte, infatti, ribadisce come già fatto dal giudice di primo grado, che il concedente ha chiesto soltanto il pagamento dei canoni scaduti e non già di quelli a scadere, con la conseguenza che la prova del quantum di quelli scaduti deriva da un semplice calcolo aritmetico e non v’era pertanto bisogno di esplicitarlo ulteriormente.
6. – Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c..
Ritiene il ricorrente di avere eccepito il difetto di prova da parte di IFIS SPA della sua legittimazione ad agire, ossia il difetto di prova dell’avvenuta cessione del credito che legittimava Banca Ifisi ad intervenire in giudizio.
Il motivo è infondato.
Infatti, secondo un principio di diritto affermato da questa Corte, “non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione.” (Cass. 24953/ 2020).
6. – Quinto e sesto motivo attengono alle spese e denunciano violazione degli artt. 112 e 92 c.p.c..
Ritiene la ricorrente che non vi è stata pronuncia sul suo motivo relativo alla condanna alle spese in primo grado, rivolto a contestare tale condanna in quanto basata su orientamenti giurisprudenziali oscillanti e comunque successivi alla proposizione della domanda, circostanza che è posta a fondamento altresì del sesto motivo per invocare la compensazione delle spese o meglio per ritenere come erronea la decisione di porle interamente a carico della parte soccombente.
I motivi sono infondati.
Infatti, il giudice di merito ha fatto applicazione della regola per cui le spese vanno poste a carico della parte soccombente, e solo per ciò non può essere conseguentemente sindacato il suo giudizio relativo alla mancata compensazione: ” in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione.” (Cass. n. 11329/2019).
Il ricorso va dunque rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 2000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022