Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5734 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. I, 22/02/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 22/02/2022), n.5734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10103/2020 proposto da:

B.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe

Iannicelli, giusta procura speciale allegata al ricorso per

cassazione.

– ricorrente –

contro

B.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Filomena

Fasano, giusta procura in calce al controricorso, e ai fini di

questo giudizio elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio

dell’Avv. Filomena Mossucca, alla via San Tommaso D’Aquino, n. 83.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di SALERNO, n. 255/2020,

pubblicata il 2 marzo 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/12/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 2 marzo 2020, la Corte d’appello di Salerno ha accolto l’appello di B.M. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del Tribunale di Salerno del 10 giugno 2019 e, per l’effetto, ha rigettato la domanda proposta da B.F. di rilascio per occupazione senza titolo dell’unità immobiliare sita a (OMISSIS).

2. I giudici di secondo grado, dopo avere qualificato il gravame proposto come appello ed averne affermato la tempestività, seppure erroneamente introdotto nella forma del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto per genericità dei motivi; nel merito, applicando il criterio della ragione più liquida, hanno evidenziato che B.M. era legittimato alla detenzione dell’immobile, tenuto conto della voltura del contratto di locazione a proprio nome prodotta in appello, giusta Det. Dirig. dello I.A.C.P. 19 giugno 2018, n. 327, rilasciata in copia all’interessato solo alla data del 18 giugno 2019 (produzione dichiarata ammissibile, perché la determina formale di voltura non era stata mai comunicata all’appellante e ritenutane l’utilizzabilità in concreto) e che la circostanza che l’Istituto non avesse adottato alcun provvedimento di revoca o decadenza dall’assegnazione nei confronti di B.F., non toglieva valenza al titolo che autorizzava il figlio M. all’occupazione dello stesso bene.

3. B.M. ricorre in Cassazione con atto affidato a tre motivi.

4. B.F. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 702 quater c.p.c., comma 1, dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’ammissibilità dell’impugnazione proposta con reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., non convertibile in appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo l’atto di impugnazione i connotati di un reclamo cautelare o di un atto per revocazione ex artt. 395 c.p.c. e segg.; non era invocabile il principio di conservazione degli atti e, in particolare, dei mezzi di impugnazione perché il reclamo non era idoneo astrattamente a integrare gli estremi dell’appello; il procedimento di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. e/o di revocazione non poteva essere equiparato ad un giudizio ordinario; la totale inesistenza di un atto di appello e del conseguente giudizio ordinario di secondo grado determinava il passaggio in giudicato dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c..

1.1 Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con l’iter argomentativo della Corte d’appello, laddove ha espressamente affermato che la denominazione dell’atto introduttivo come “reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.” non poneva dubbi sulla natura concreta dell’atto che era, comunque, l’appello e che, dunque, eventuali conseguenze potevano porsi soltanto ai fini della decorrenza e della durata del termine per appellare, conseguenze, peraltro, che sono state debitamente escluse dai giudici di secondo grado; inoltre, la Corte di merito, esaminando il contenuto dell’impugnazione, in sede di eccezione di inammissibilità per genericità dello stesso sollevata dall’appellato B.F., ha sostanzialmente evidenziato, ancora una volta con una ragione del decidere non censurata affatto dal ricorrente, che l’appello rispondeva ai criteri di specificità richiesti dall’art. 342 c.p.c. e che individuava con certezza le questioni e i punti contestati del provvedimento impugnato e le relative doglianze (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

1.2 I giudici di secondo grado hanno, dunque, affermato che la erronea denominazione dell’impugnazione proposto come reclamo, anziché come appello, non assumeva alcuna concreta rilevanza, perché era certa la natura dell’atto quale appello.

1.3 Ciò in modo conforme al principio statuito da questa Corte secondo cui “Quando la legge imponga l’introduzione del giudizio con citazione, anziché con ricorso, ed il rito ordinario, l’adozione del rito camerale non induce alcuna nullità, per il principio della conversione degli atti nulli che abbiano raggiunto il loro scopo, quando non ne sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti, relativamente al rispetto del contraddittorio, all’acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario; tale principio opera anche in relazione agli atti introduttivi del giudizio di secondo grado, a condizione che l’atto nullo possegga i requisiti di sostanza e forma del diverso atto processuale che avrebbe dovuto essere utilizzato” (Cass., 30 maggio 2013, n. 13639, citata anche dal controricorrente).

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 702 quater c.p.c., comma 2, in relazione all’utilizzazione del nuovo documento prodotto in secondo grado (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); il documento prodotto era tardivo e la controparte non ne aveva allegato l’indispensabilità ai fini della decisione e non aveva dimostrato di non avere potuto esibire il documento in primo grado per causa ad essa non imputabile; la determinazione giudiziale già esisteva prima del deposito del ricorso ex art. 702 bis c.p.c..

2.1 Il motivo è infondato, perché fondato sul tenore normativo dell’art. 345 c.p.c., che non si applica al presente giudizio, che è stato introdotto con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 22 novembre 2018 (cfr. pag. 1 del ricorso per cassazione).

Ed infatti, dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nella parte in cui prevedeva il divieto di produrre nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenesse indispensabili ai fini della decisione della causa, è stato modificato dal D.L. n. 83 del 2013, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012.

2.2 Peraltro, mette conto rilevare che la prova nuova indispensabile, in tanto è ammissibile in appello, in quanto serva per dimostrare un fatto che era stato allegato in primo grado e che era rimasto indimostrato, ciò nel rispetto statuito da questa Corte secondo cui, nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (Cass., Sez. U., 4 maggio 2017, n. 10790).

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione alla valenza del provvedimento di revoca o decadenza dell’assegnazione dell’alloggio in favore di B.F., nonché della voltura del contratto di locazione in favore di B.M. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5); sul punto la motivazione era contraddittoria e affetta da manifesta illogicità; la dichiarazione di revoca o di decadenza dell’assegnazione era necessaria ed erano false le circostanze dell’abbandono dell’appartamento e dell’irreperibilità del comparente.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 La Corte d’appello ha affermato che la legittimazione di B.M. alla detenzione dell’immobile discendeva dalla voltura del contratto di locazione a proprio nome e che la circostanza che l’Istituto non avesse adottato alcun formale provvedimento di revoca o decadenza di assegnazione nei confronti di B.F., che dunque continuava allo stato ad essere il formale assegnatario del medesimo immobile, non toglieva alcuna valenza al titolo che autorizzava il figlio M. all’occupazione dello stesso bene.

I giudici hanno, quindi, evidenziato che B.M. era legittimato alla detenzione, in virtù della Det. Dirig. dello I.A.C.P. 19 giugno 2018, n. 327, con la quale era stata disposta la voltura del contratto di locazione da B.F. (padre), e B.M. (figlio), peraltro successiva al provvedimento di assegnazione dell’immobile disposto in favore di B.F.. Con ciò, correttamente, mettendo su piani distinti da un lato la domanda proposta da B.F. di accertamento della detenzione senza titolo da parte del figlio, B.M., e dall’altro l’assegnazione dell’alloggio popolare.

Ed infatti, nel caso in esame, B.M. si è opposto ad un provvedimento di rilascio emesso non già nell’ambito di una controversia sul diritto di lui o del padre all’assegnazione dell’alloggio ed espressivo del diniego dell’amministrazione, ma in esecuzione di un provvedimento di voltura del contratto di locazione, con il quale l’immobile, di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari, è stato assegnato in locazione semplice a terzi, verosimilmente emesso in attesa dell’attesa dell’adozione del successivo provvedimento di assegnazione, ma in quanto utilmente collocato nell’apposita graduatoria, in atto efficace, riguardante l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.

La giustificazione addotta dall’opponente, della mancata revoca o decadenza della precedenza assegnazione si svolge su altro piano e con diverso interlocutore (l’IACP) e che da un lato non modifica l’ambito puramente privatistico della fattispecie e dall’altro si contrappone al potere coattivo che la legge attribuisce all’Ente proprietario.

Tale giustificazione, dunque, deve trovare il suo ambito di cognizione all’interno del procedimento amministrativo di assegnazione dell’immobile e che vedrà l’applicazione dei criteri previsti dalla legge sia in tema di revoca o decadenza da precedente assegnazione, sia in tema di nuova assegnazione.

Invece, la sola postulazione di tale argomentazione (mancanza di revoca o decadenza dall’assegnazione) in chiave difensiva ed oppositiva per paralizzare la legittimazione alla detenzione in virtù del contratto di locazione, non costituisce elemento decisivo ai fini del rigetto della domanda di accertamento della detenzione senza titolo proposta da B.F..

3.3 Ciò peraltro, in conformità, con il principio espresso da questa Corte, che, anche se risalente va tuttora condiviso, che “In caso di morte dell’assegnatario di un alloggio economico e popolare a norma del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, art. 25, lett. a), e successive modifiche, il coniuge, i discendenti entro il terzo grado e gli ascendenti (designati congiuntamente e non in ordine successivo) hanno eguale diritto alla cessione in proprietà dell’alloggio, indipendentemente dalla deliberazione dell’ente proprietario di volturare il contratto di locazione, in corso con l’assegnatario, al nome di alcuni soltanto dei soggetti suindicati, sempreché ricorrano le condizioni della loro convivenza con lo assegnatario al momento della morte, della mancanza di autonomia economica nei riguardi dell’assegnatario medesimo, e della attualità del godimento dell’alloggio” (Cass., 13 luglio 1979, n. 4074).

4. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA