Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5733 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. I, 22/02/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 22/02/2022), n.5733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso rg. 9886/2020 proposto da:

A.B., con domicilio eletto in Napoli, piazza Cavour

139, presso l’avv. Luigi Migliaccio;

avverso la sentenza nr. 3852 della Corte di appello di Milano,

depositata il 23/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14 /12/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

Considerato che:

Con ricorso D.Lgs. n. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 A.B., cittadina nigeriana, ha adito il Tribunale di Milano, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

La ricorrente aveva riferito di aver abbandonato il proprio Paese in quanto sorpresa in intimità con una donna che l’ospitava ed era per questo stata allontanata dal proprio padre unitamente alla figlia che aveva avuto da una precedente relazione con un uomo e denunciata alla polizia; di essere successivamente fuggita con un amica in Libia da dove era proseguita per l’Italia; di dividere l’appartamento con un connazionale e di lavorare attualmente come collaboratrice domestica percependo una retribuzione mensile di circa Euro 500,00.

Il Tribunale ha respinto il ricorso ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

Il primo Giudice, all’esito del giudizio, ha ritenuto di condividere la valutazione della Commissione territoriale, che in relazione alle ragioni dell’espatrio, non aveva considerato credibili le dichiarazioni rese dalla ricorrente in quanto troppo vaghe, contraddittorie e prive di un qualsivoglia nesso causale con i presupposti della Convenzione di Ginevra.

L’appello proposto da A.B. è stato rigettato dalla Corte di appello di Milano, a spese compensate, con sentenza nr. 3852/2019 non ravvisando nel racconto dell’appellante alcuna delle ragioni che giustificano la concessione delle forme di protezione invocate.

Avverso la predetta sentenza A.B. propone ricorso, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Il Procuratore ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) e g), artt. 3, 5 e art. 6, comma 2, art. 8, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto la Corte di appello non credibili le dichiarazioni della ricorrente in punto orientamento sessuale malgrado l’atteggiamento collaborativo mantenuto dalla richiedente durante la fase giudiziale di primo e secondo grado.

Con un secondo motivo si duole dell’omesso esame di fatti decisivi per il riconoscimento della protezione sussidiaria relativi alla condizione in Nigeria di appartenenza al genere femminile e per la dedotta condizione di donna sola in Nigeria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il terzo motivo si duole della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), per avere la Corte di appello escluso la dedotta minaccia alla vita civile sulla base di una istruttoria inidonea a sostenere il decisum.

Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria per non avere la Corte dato rilievo alle dichiarazione della ricorrente laddove aveva riferito di lavorare come collaboratrice domestica non in regola ed alla documentazione versata in atti attestante l’integrazione sociale e lavorativa della A. in Italia.

Il primo motivo è infondato.

La Corte di appello, con congrua motivazione, ha ritenuto che non sussistesse relativamente all’orientamento sessuale il requisito della credibilità soggettiva della richiedente asilo alla luce dell’estrema genericità e contraddittorietà della narrazione.

Certamente, in linea di principio, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Tuttavia l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925).

La valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

I primi due commi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, impongono al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare” la domanda di protezione internazionale. In ordine alla documentazione la norma mitiga l’obbligo di produzione, coerentemente con il più incisivo obbligo dell’autorità decidente di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, indicando i documenti “comunque appena disponibili”.

Nel comma 2 viene specificato, tuttavia, che gli elementi rilevanti che il richiedente è tenuto a fornire devono riferirsi alla sua età, condizione sociale, anche dei congiunti, se rilevante ai fini del riconoscimento, identità, cittadinanza, paesi e luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio, nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale. Il comma 5, infine stabilisce che anche quando tali circostanze non siano suffragati da prove, la veridicità delle dichiarazioni deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

L’esame delle lettere c) ed e) sopra indicate evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente purché il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Le dichiarazioni intrinsecamente inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva contenuti nell’art. 3, non richiedono pertanto un approfondimento istruttorio officioso se la mancanza di veridicità non derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori sulla situazione oggettiva dalla quale scaturisce la situazione di rischio descritta.

La ricorrente sotto lo schermo delle denunciate violazioni legge, censura il giudizio di fatto espresso dalla Corte catanzarese sulla credibilità del racconto personale e sollecita la Corte di legittimità a una diretta rivalutazione delle risultanze istruttorie: il motivo deve quindi essere ritenuto inammissibile.

Analoga valutazione va espressa con riguardo al secondo motivo di censura.

La Corte infatti anche in ordine all’applicazione dei parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ha escluso, con motivazione adeguata ed esaminando compiutamente i fatti allegati la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del rifugio e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

E’, pertanto, non conducente rispetto al decisum la censura sull’omessa analisi della situazione delle donne in Nigeria, denunciata in ricorso come fatto decisivo il cui esame è stato omesso, poiché la ricerca di riscontri nelle fonti di conoscenza per il controllo della credibilità estrinseca va effettuato solo una volta che sia già stata accertata la credibilità intrinseca.

Il terzo motivo è fondato.

Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., n. 16812/18; n. 19150/16).

Nel caso concreto la Corte di appello ha ritenuto non provata l’integrazione del richiedente nel tessuto sociale del Paese ospitante senza dar conto dei documenti 4 e 5 allegati all’atto di appello ricorso che comproverebbero la predetta integrazione.

Documenti che assumono rilevanza decisiva alla luce della recentissima decisione adottata dalle Sezioni Unite (Cass. 24413/2021) le quali nel pronunciarsi sul tema della protezione umanitaria, alla stregua del testo del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anteriore alle modifiche recate dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, hanno affermato che “ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dalla Convenzione EDU” art. 8, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.

La pronuncia pertanto va cassata in accoglimento del terzo motivo rigettati i primi due e rinviata alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione in relazione al motivo accolto.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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