Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5730 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. II, 22/02/2022, (ud. 16/09/2021, dep. 22/02/2022), n.5730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28682/2016 proposto da:

N.A., N.M., rappresentati e difesi dall’avv.

GIUSEPPE COSIMATO, e nel di lui studio domiciliati in viale Giuseppe

Mazzini n. 5, in Frosinone;

– ricorrenti –

contro

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 44, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO GIANNUZZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO ZOLI.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2926/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/05/2016;

udita la relazione della causa consiglio del 16/09/2021 dal

Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. N.A. e N.M. propongono ricorso, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 2926/2016 della Corte di Appello di Roma che, confermando la sentenza n. 36/2008 del Tribunale di Frosinone, si è pronunciata sulla domanda di regolamento di confini dai medesimi proposta nei confronti del confinante T.M. accertando la conformità allo stato dei luoghi del confine tra il fondo di loro proprietà e quello del sig. T. e rigettando la loro domanda di condanna del convenuto al rilascio di un’area che essi sostenevano fosse stata occupata abusivamente.

2. La Corte di Appello ha ritenuto non provati i fatti costitutivi della domanda dei sig. N. e, per contro, ha ritenendo fondata l’eccezione di usucapione sollevata dal convenuto (pag. 3 sentenza, ultimo cpv.). Dalle indagini peritali svolte in primo grado (e, in particolare, dalla perizia suppletiva del CTU, peraltro confermativa di quella originaria, sia pure con le precisazioni richieste dal Tribunale) era emersa, secondo la Corte distrettuale, la sostanziale coincidenza tra il confine di fatto e quello risultante tanto dai titoli quanto dall’atto di frazionamento dei fondi (redatto dal geom. C.O. in epoca antecedente agli acquisti di entrambe le parti oggi in causa); l’irrisoria divergenza a discapito degli attori tra i confini di fatto e i titoli, dovuta all’approssimazione delle mappe catastali, sarebbe stata “di soli cm. 80 in luogo dei 70 m2 asseriti nell’atto introduttivo” (pag. 4 sentenza, secondo cpv.).

3. A sostenere il giudizio di sostanziale assenza di variazioni nel tempo della linea di confine tra i due fondi v’erano, inoltre, ad avviso della Corte di Appello, in assonanza col Tribunale, le dichiarazioni dei testimoni escussi su richiesta del convenuto, i quali avevano confermato l’esistenza, sul confine, di una grossa siepe affiancata da rete metallica e pali di legno; mentre, al contrario, quelli di parte attrice non avevano saputo riferire in maniera certa sui capitoli articolati in citazione e, segnatamente, su quello (n. 8) riguardante l’occupazione, da parte della dante causa del convenuto, di 70 m2 del fondo degli attori.

4. Infine, la Corte d’Appello, ha rilevato che persino dalle dichiarazioni rese dall’attrice N.A. in sede di interrogatorio formale era emersa l’assoluta incertezza sulla effettiva estensione della proprietà attorea.

5. L’intimato T.M. ha depositato controricorso.

3. La causa è stata chiamata all’adunanza camerale del 16 settembre 2021, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria.

6. Prima di procedere all’esame dei singoli motivi di ricorso, è necessario evidenziare che l’impugnata sentenza – pur giudicando “fondata la eccezione riconvenzionale” (cfr. pag. 3, ultimo cpv.) e pur facendo un erroneo riferimento all’art. 2697 c.c. (cfr. pag. 3, penultimo cpv), per addossare all’attore un onere probatorio che, in effetti, non grava sul medesimo (questa Corte insegna, infatti, che “incombe sia sull’attore che sul convenuto l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all’individuazione dell’esatta linea di confine, mentre il giudice, del tutto svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur, deve determinare il confine in relazione agli elementi che gli sembrano più attendibili, ricorrendo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario” cfr. Cass. 10062/18) – si fonda, tuttavia, su una ratio decidendi che non dipende dalle due suddette affermazioni.

7. La ratio decidendi della sentenza della Corte territoriale si risolve, infatti, nell’accertamento – basato sulle risultanze emergenti delle indagini peritali svolte nel giudizio di primo grado – della conformità tra il confine sussistente in loco e il confine risultante dal frazionamento iscritto in catasto. Tale ratio decidendi non è stata adeguatamente censurata nei motivi di ricorso.

8. Col primo motivo di ricorso – rubricato, senza riferimento ad alcuno dei numeri di cui all’art. 360 c.p.c., come “omesso esame di alcuni fatti decisivi della controversia: la valutazione della CTU, della eccezione di usucapione e mancata valutazione dei titoli di proprietà e dei frazionamenti” (pag. 4 ricorso) – i ricorrenti deducono che dalle controdeduzioni del loro CTP emergerebbe che i confini reali dei due fondi non coincidono con quelli delle mappe catastali; ciò che non sarebbe stato valutato dal giudice del gravame (pag. 4-5 ricorso). Asseriscono che le piante planimetriche allegate ai contratti di compravendita immobiliare integrano la volontà dei contraenti (pag. 5 ricorso). Criticano, inoltre, il ritenuto appiattimento della Corte di Appello sulle conclusioni del CTU, denunciando l’assenza di una valutazione autonoma da parte del collegio capitolino (pag. 6). Affermano, riportando alcune massime, che il giudice del gravame non avrebbe “tenuto in considerazione l’insegnamento di questa Suprema Corte in tema di individuazione della proprietà” (pag. 7, righi 3-4 del ricorso). Censurano la pronuncia gravata laddove afferma la fondatezza dell’eccezione di usucapione sollevata dal convenuto, senza che ne fossero accertati i presupposti (pag. 8 del ricorso) sostenendo, inoltre, di aver inviato al convenuto delle raccomandate asseritamente interruttive del decorso del termine ventennale ad usucapionem (pag. 9 del ricorso).

8.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché non specifica a quale dei vizi elencati nell’art. 360 c.p.c., si riferiscano le plurime doglianze ivi svolte. Va qui ricordato, infatti, l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito” (Cass. 11603/2018).

8.2. Può comunque aggiungersi, a fini nomofilattici, che nessuna delle doglianze promiscuamente sviluppate nel primo motivo di ricorso può essere giudicata meritevole di accoglimento.

8.3. La doglianza relativa alla mancata considerazione, da parte della Corte distrettuale, della consulenza di parte, trascura l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità alla cui stregua “la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente” (Cass. 2063/10, Cass. 9483/21).

8.4. La doglianza relativa all’appiattimento della Corte distrettuale sulle conclusioni del CTU trascura l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità alla cui stregua “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario nel cui ambito non è inquadrabile la censura concernente deficienze argomentative della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendo, piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti” (Cass. 18391/17).

8.5. La doglianza relativa all’asserita violazione, da parte della Corte distrettuale, del principio che i mappali catastali allegati ai contratti di compravendita integrano la volontà dei contraenti si infrange contro il rilievo che la corte territoriale si è basata proprio sui titoli e sul frazionamento, che hanno formato oggetto dell’esame del CTU (pag. 4, rigo 7, della sentenza), anche se dal relativo esame ha tratto esiti diversi da quelli auspicati dai ricorrenti;

8.6. La doglianza relativa all’omesso esame delle lettere raccomandate con cui gli attori avrebbero interrotto l’usucapione da parte del convenuto e’:

8.6.1. in primo luogo, inammissibile per carenza di interesse, perché – come accennato nei paragrafi 4 e 5 che precedono – il riferimento dell’impugnata sentenza all’usucapione (pur espressamente enunciato a pag. 3, ultimo cpv., della sentenza) è in effetti estraneo all’effettiva ratio decidendi, la quale si basa sulla conformità tra confine in loco e confine catastale;

8.6.2. in secondo luogo, inammissibile per difetto di specificità, non risultando dal ricorso per cassazione in quale sede processuale di merito dette raccomandate sarebbero state prodotte e quale fosse il loro preciso contenuto;

8.6.3. in terzo luogo, fondata su un presupposto giuridico errato, perché, in materia di diritti reali, le missive non hanno alcun effetto interruttivo dell’usucapione, atteso che il possesso ad usucapionem ben può essere esercitato contro la volontà del mittente-proprietario (cfr. Cass. n. 15199/2011; Cass. n. 14917/2001; Cass. n. 2831/1968).

9. Col secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per “mancata valutazione delle prove testimoniali nella loro globalità” (pag. 10 del ricorso). Affermano i ricorrenti che, in violazione del principio della globalità della valutazione delle testimonianze, la corte d’Appello non avrebbe preso in considerazione quella resa dal geom. V. ed avrebbe, al contrario, dato pieno “pieno valore alle testimonianze rese dai testi di parte convenuta nonostante le loro dichiarazioni siano poco precise e parecchio confuse” (pag. 10, righi 17-18 del ricorso).

9.1 Il secondo motivo è inammissibile poiché si risolve in una doglianza di merito circa la valutazione delle prove testimoniali effettuata dalla Corte di Appello. Può altresì aggiungersi, per quanto specificamente riguarda la specifica doglianza relativa alla mancata valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese dal geom. V., che, anche se si potesse riqualificare tale doglianza come denuncia di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, la stessa non si sottrarrebbe ad un giudizio di inammissibilità per difetto di specificità, giacché nel ricorso non viene illustrato il contenuto delle dichiarazioni di tale teste.

10. Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., affermando che “dagli atti del processo emerge chiaramente che il T.M. non ha mai dimostrato né provato la maturazione dell’usucapione” (pag. 11 del ricorso, righi 20-23).

10.1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per due ragioni.

10.1.1. In primo luogo, il motivo è inammissibile per carenza di interesse, per le medesime ragioni già enunciate nel precedente paragrafo 8.6.1. con riferimento alla doglianza riportata nel precedente paragrafo 8.6.

10.1.2. In secondo luogo, esso si risolve in una doglianza di puro merito. Va qui ricordato l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità alla cui stregua “la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti risulta del tutto apodittico” (Cass. n. 6519/2019).

11. Col quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), i ricorrenti deducono la falsa applicazione degli artt. 950,1538 c.c., lamentando “la mancata considerazione degli atti di acquisto e la discrepanza tra mera tolleranza e sconfinamento arbitrario” (pag. 12, righi 5-6 dal fondo, del ricorso), visto altresì “l’affidamento esclusivo sulla CTU che, tuttavia, non è riuscita a ricostruire la verità storica del procedimento” (pag. 13, righi 1-2 del ricorso). Affermano i ricorrenti che la controversia avrebbe potuto essere “agevolmente risolta nei precedenti giudizi solo se il giudicante avesse applicato l’art. 950 c.c., comma 2, ovvero solo se avesse tenuto in considerazione le mappe catastali” (pag. 12 righi 1-3 dal fondo, del ricorso). Deducono, inoltre, che “ciò che il giudice del gravame definisce una mera tolleranza, in realtà costituisce un abuso dell’odierno resistente” (pag. 13 righi 4-5).

11.1. Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile, risolvendosi in una censura di merito che non può che incorrere nella stessa sanzione di inammissibilità che colpisce il terzo motivo.

12. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in ragione dell’inammissibilità di tutti i motivi in cui esso si articola.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

14. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso in favore della controparte delle spese che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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