Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5726 del 09/03/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 09/03/2018, (ud. 08/06/2017, dep.09/03/2018),  n. 5726

Fatto

1. Con avviso di accertamento notificato il 23 dicembre 2005, emesso ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2000, l’Ufficio di Milano dell’Agenzia delle entrate rettificava, elevandolo da Lire 190.000.000 a Lire 312.100.000, il valore di vendita dell’azienda familiare di C.S., rideterminando, di conseguenza, l’imposta sostitutiva D.Lgs. n. 358 del 1997, ex art. 1, di cui il contribuente si era avvalso nella propria dichiarazione dei redditi.

2. Il ricorso proposto dal contribuente avverso l’atto impositivo veniva parzialmente accolto dalla C.T.P. di Milano, sul rilievo che la quota della plusvalenza da cessione d’azienda da attribuire al ricorrente dovesse essere limitata al 40%, spettando il residuo 60% ai familiari collaboratori.

3. La C.T.R. della Lombardia, adita dall’Ufficio, con sentenza del 25 gennaio 2010, confermava la decisione di primo grado.

4. Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

5. Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia “violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 1, comma 4, in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e all’art. 230 bis c.c.”. Censura la sentenza impugnata per avere la C.T.R., disattendendo l’appello proposto dall’Ufficio, ritenuto che l’imposta sostitutiva D.Lgs. n. 358 del 1997, ex art. 1, sul plusvalore dell’azienda familiare ceduta dal contribuente non fosse dovuta interamente dal titolare dell’impresa familiare bensì dai singoli partecipanti all’impresa familiare in proporzione alla loro quota.

2. La censura è fondata.

La C.T.R. dopo aver correttamente richiamato i principi enunciati da Cass. n. 21535 del 2007, secondo cui le plusvalenze derivanti dalla cessione di un’azienda gestita in regime di impresa familiare, così come i redditi derivati dall’esercizio della stessa, stante l’equiparazione delle, impresa familiare alla società di persone, vanno imputati ai singoli partecipanti a prescindere dalla loro effettiva percezione, ha omesso di considerare che, nella fattispecie, il titolare dell’azienda familiare si era avvalso, in deroga alla disciplina ordinaria, dell’imposta sostitutiva di cui al D.lgs. n. 358 del 1997, art. 1. Tale disposizione prevede: “Le plusvalenze realizzate mediante la cessione di azienda possedute per un periodo non inferiore a tre anni e determinate secondo i criteri previsti dall’art. 54 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, possono essere assoggettate ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con l’aliquota del 19 per cento E…) Qualora le plusvalenze di cui ai commi 1 e 3 siano realizzate dalle società di cui all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’imposta sostitutiva è dovuta dalle società stesse, che esercitano l’opzione nella dichiarazione dei redditi indicata nel comma 2, e provvedono alla liquidazione ed al versamento”.

Poichè il contribuente si è avvalso nella propria dichiarazione dei redditi dell’imposta sostitutiva prevista dalla norma derogatoria di cui al D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 1, incassando la plusvalenza derivante dalla vendita dell’azienda relativa all’impresa familiare, che per effetto della cessione è venuta definitivamente meno, la plusvalenza così realizzata deve essere imputata interamente al titolare dell’impresa familiare.

3. Resta assorbito il secondo motivo di ricorso, formulato in via subordinata, con il quale la ricorrente lamenta che il giudice d’appello abbia erroneamente applicato la normativa civilistica inerente la ripartizione della plusvalenza tra i familiari collaboratori, senza tenere conto del diverso criterio dettato dalla normativa tributaria.

4. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Stante la peculiarità della vicenda, le spese dell’intero giudizio sono compensate tra le parti.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2018

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