Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5721 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 03/03/2021), n.5721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29382-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

STELLA VIGLIOTTI;

– ricorrente –

contro

INPS, – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

PATRIZIA CIACCI, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di FOGGIA, depositato il 05/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Foggia in sede di procedimento ex art. 445 bis c.p.c. con decreto Rg n. 7201/2016 aveva omologato in capo a M.A. il requisito sanitario negativo relativamente all’assegno di invalidità civile ed aveva condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 1.000,00 ritenendo ricorrere nella fattispecie una ipotesi di colpa grave di cui all’art. 96 c.pc., anche disponendo le spese a carico di entrambe le parti in solido, con diritto di rivalsa dell’Inps per l’intero.

Avverso tale ultime statuizione proponeva ricorso il M. affidato ad un unico motivo.

L’Inps, pur a seguito di rituale notifica, non disponeva difese, solo depositando procura alle liti.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con unico motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e degli artt. 91 e 96 c.p.c., per aver, il Tribunale, ritenuto di applicare il disposto dell’art. 96 c.p.c. pur in presenza della dichiarazione del ricorrente resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. ai fini dell’esenzione dalle spese di lite.

Rileva il ricorrente di aver sottoscritto la dichiarazione contenuta nell’atto introduttivo dell’ATPO e che dunque l’art. 96 c.p.c. era applicabile, in presenza di siffatta dichiarazione, solo su istanza dell’altra parte, non presente nel caso di specie.

Il ricorso è fondato, dovendosi dare seguito all’orientamento già espresso da questa Corte con gli arresti n. 24526 del 2015 e n. 5616 del 2018 e, più nello specifico, con le pronunce di questa sezione nn. 18129 e 28633 del 2018; il principio affermato è quello secondo cui la condanna al risarcimento per lite temeraria prevista dall’art. 96 c.p.c., comma 1, presuppone sempre l’istanza di parte, anche nel caso richiamato dall’art. 152 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. n. 5616 del 2018 e n. 24526 del 2015 cit.).

E’ stato infatti chiarito che l’art. 152 disp. att. c.p.c. – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269 del 2003, conv. nella L. 24 novembre 2003, n. 326 – fa salva la possibilità di applicare l’art. 96 c.p.c., comma 1, nella ricorrenza delle relative condizioni, tra le quali – a differenza di quanto previsto per la condanna disciplinata dal comma 3, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12 – l’istanza dell’altra parte, che deve altresì assolvere all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato (Cass., sez. un., Ord. n. 7583 del 2004; sez. un., Ord., n. 1140 del 2007). Pertanto il Tribunale, nella parte in cui ha ritenuto di poter procedere alla condanna della ricorrente alle spese, richiamando l’art. 96 c.p.c., comma 1, a prescindere dalla “specifica” istanza di parte, non ha fatto corretta applicazione della norma processuale e “ha confuso i suoi presupposti e la sua funzione con quelli degli artt. 91 e 92 c.p.c.” (così, in motiv., Cass., sez. IV, n. 18129 del 2018).

Sulla base delle svolte argomentazioni, anche confermate da Cass. n. 27460/2020, il ricorso va accolto; l’impugnato provvedimento va cassato in parte qua, con decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Vanno, dunque, dichiarate non dovute, in presenza dei presupposti per l’esonero, da parte di M.A., le spese del procedimento per ATP e le spese della CTU vanno poste interamente a carico dell’INPS; le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnato provvedimento nella parte relativa alla statuizione sulle spese e, decidendo nel merito, dichiara M.A. non tenuto alle spese del procedimento di ATP e pone le spese di CTU a carico dell’INPS;

condanna l’INPS alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, con attribuzione all’avvocato antistatario.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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