Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5717 del 09/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 09/03/2018, (ud. 21/11/2017, dep.09/03/2018),  n. 5717

Fatto

1. Che la Corte d’Appello di Catania con la sentenza indicata in epigrafe rigettava l’appello proposto da M.U. nei confronti dell’INPS, quale successore INPDAP della AUSL n. (OMISSIS) di Siracusa, di D.F.A. e M.S. avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Siracusa.

2. Il Tribunale, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’INPS, aveva accolto le domande proposte da D.F.A. e M.S. figli ed eredi legittimi di D.F.C. morta, ab intestato, in rapporto di lavoro con l’ASL n. (OMISSIS) di Siracusa, volte all’accertamento del diritto ad ottenere pro quota l’indennità premio di fine servizio maturata dalla de cuius e i ratei di retribuzione maturati, condannando l’Azienda e I’INPDAP rimasto contumace in primo grado, esclusa tra loro solidarietà, al pagamento in favore dei ricorrenti delle prestazioni di rispettiva competenza. Accoglieva, altresì la domanda dell’ASL, e condannava il M. a restituire all’Azienda quanto indebitamente erogatogli.

3. Quanto alla indennità premio di fine servizio osservava la Corte d’Appello che operava una deroga ai principi generali della successione, con riserva legale di destinazione, solo rispetto agli appartenenti al nucleo familiare del dante causa, tra cui può essere ricompreso il coniuge separato in quanto titolare di assegno di mantenimento, circostanza non sussistente nel caso di specie.

4. Quanto al rateo residuo di retribuzione maturata dalla de cuius, analogamente la Corte d’Appello riteneva applicabili le disposizioni in materia di successione, atteso che la disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 prevedeva l’automatica cessazione di efficacia alla seconda tornata contrattuale (quadriennio 1998/2001) del previgente regime pubblicistico da cui l’appellante faceva discendere il proprio diritto.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre M.U., prospettando due motivi di ricorso.

6. Propone ricorso anche l’INPS quale successore ex lege dell’INPDAP, articolato in un motivo.

7. D.F.A. e M.S. e l’ASP di Siracusa successore ex lege della AUSL n. 8 di Siracusa sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso il M. deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 152 del 1968, art. 3, comma 2, lett. a) e della L. n. 903 del 1977, art. 11 in materia di indennità di fine servizio. Viene censurata la statuizione che non ha riconosciuto in favore del ricorrente la riserva di destinazione dell’indennità premio di fine servizio maturata dalla de cuius.

Espone il ricorrente – dopo avere richiamato il contenuto del citato art. 3 e la giurisprudenza in ordine alla parità delle condizioni per accedere alla riserva legale da parte sia del vedovo che della vedova, nonchè l’irrilevanza della natura dell’indennità in questione – che erroneamente la Corte d’Appello ha posto a fondamento della propria decisione la sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 1997, atteso che alla luce della stessa nonchè di alcune pronunce di legittimità, il diritto del coniuge del de cuius all’indennità premio di fine servizio è assoggettato solo alla non avvenuta separazione per colpa del coniuge superstite dichiarata con sentenza passata in giudicato.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia relativo all’indennità di servizio in forma indiretta.

Assume il ricorrente che la decisione della Corte d’Appello nel non tenere conto della previsione della L. n. 152 del 1968, art. 3, comma 2, lett. a), non è assistita da motivazione, comunque non adeguata.

2. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

3. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel regime vigente anteriormente alla entrata in vigore della L. 8 agosto 1995, n. 335 – il cui art. 2, comma 5, ha disposto che, per i lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996 alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 1 i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 cod. civ. in materia di trattamento di fine rapporto, e, cioè, costituiscono una porzione del compenso dovuto per il lavoro prestato che, nel caso di decesso del lavoratore, deve considerarsi già facente parte del suo patrimonio – la forma di devoluzione anomala dell’indennità premio di servizio, in deroga ai principi generali della successione “mortis causa”, solo ad alcuni soggetti, di cui alla L. n. 152 del 1968, art. 3 può trovare fondamento nella ritenuta funzione previdenziale del trattamento in questione, in considerazione del fatto che come destinatarie di questo vengono indicate persone integrate nel nucleo familiare del “de cuius”, dalla cui retribuzione esse ricevevano un sostentamento.

Peraltro, in assenza di tali soggetti – a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione, come sottolineato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 243 del 1997, si riespande in tutta la sua portata la natura retributiva dell’indennità stessa, la cui devoluzione non può che essere soggetta alle normali regole successorie. E le sentenze della Corte Costituzionale n. 471 del 1989 e n. 319 del 1991, dichiarative della parziale illegittimità costituzionale della L. n. 152 del 1968, citato art. 3, comma 2 hanno ribadito che l’indennità premio di servizio può essere oggetto, qualora manchino le persone indicate nella norma, sia di successione testamentaria che legittima.

4. Pertanto, a seguito della riforma introdotta dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, il cui art. 2, comma 5, ha disposto che “per i lavoratori assunti dal 1^ gennaio 1996 alle dipendenze della Amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1 i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 c.c. in materia di trattamento di fine rapporto”, l’indennità in parola costituisce una porzione del compenso dovuto per il lavoro prestato che, nel caso di decesso del lavoratore deve considerarsi già facente parte del suo patrimonio e sottoposto alle ordinarie regole successorie.

Prima dell’entrata in vigore della legge di riforma la forma di devoluzione anomala dell’indennità, in deroga ai principi generali della successione mortis causa, solo ad alcuni soggetti, poteva trovare razionale fondamento e giustificazione nella richiamata funzione previdenziale del trattamento stesso, solo in considerazione del fatto che come destinatarie di questo siano indicate persone integrate nel nucleo familiare del de cuius, dalla retribuzione del quale esse ricevevano un sostentamento, venuto a cessare, in tutto o in parte, dopo la sua morte.

La decisione della Corte Costituzionale n. 243 del 18 luglio 1997 sottolinea che in assenza dei soggetti, a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione, perde qualunque rilevanza la suddetta concorrente funzione previdenziale, espandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva dell’indennità stessa, la cui devoluzione non può che essere soggetta alle normali regole successorie.

Nel caso di specie, non risulta – nè è stato dedotto dal ricorrente, che lo stesso fosse titolare di assegno di mantenimento a carico della de cuius, prospettandosi solo la mancanza di colpa nella separazione giudiziale non passata in giudicato, ma che comunque, ai fini per cui è causa, indica il venir meno della convivenza e di un unico nucleo familiare, e, in assenza di assegno a carico, la sussistenza di autonomia economica dei coniugi.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato, atteso che l’intervenuta separazione, senza assegno di mantenimento, esclude, come statuito dalla Corte d’Appello con congrua motivazione, di poter ricomprendere il ricorrente nel nucleo familiare della de cuius.

5. L’INPS deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 152 del 1968, art. 3 e del L. n. 903 del 1977, art. 19.

Assume che la norma in questione nonchè la sentenza Corte cost. n. 821 del 1988, pongono in evidenza come unica ragione per escludere la riserva in favore del coniuge è che lo stesso sia separato per propria colpa.

Rileva altresì che elementi a favore della propria deduzione si possono trarre dalla disciplina di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973 in tema di devoluzioni delle prestazioni ai superstiti.

Pertanto il diritto vantato andava riconosciuto al M. e per l’intero.

6. Il motivo non è fondato in ragione delle considerazioni già svolte nella trattazione del ricorso del M., atteso che come affermato da Corte cost. n. 243 del 1997, con specifico riguardo all’art. 3 citato: “va pertanto ribadito che la forma di devoluzione anomala dell’indennità – attribuita, in deroga ai principi generali della successione mortis causa, esclusivamente a favore di determinati soggetti – può trovare razionale fondamento e giustificazione nella richiamata concorrente funzione previdenziale del trattamento stesso, solo in considerazione del fatto che come destinatarie di questo siano indicate persone integrate nel nucleo familiare del de cuius, dalla retribuzione del quale esse ricevevano un sostentamento, venuto a cessare, in tutto o in parte, dopo la sua morte. Essendo altrimenti chiaro che, in assenza di tali soggetti – a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione – perde qualunque rilevanza la suddetta concorrente funzione previdenziale, espandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva dell’indennità stessa, la cui devoluzione non può che essere soggetta alle normali regole successorie”.

Tanto esclude, altresì, in ragione della peculiarità della disciplina in esame, che si possano trarre argomenti dalla disciplina di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973, che ha ad oggetto istituti diversi.

7. Entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

8. Le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2018

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