Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5715 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 5715 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 435-2007 proposto da:
A.L.E.R. – AZIENDA LOMBARDA EDILIZIA RESIDENZIALE
MILANO (C.F. 01349670156), già I.A.C.P., in persona
del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata

2013
2001

ín ROMA, VIA

r717TRIco

l’avvocato MANZI

LUIGI,

CONFALONIERI

5,

Data pubblicazione: 12/03/2014

presso

che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GRECO GUIDO, ZANFROGNINI
MARILISA, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente-

contro

1

INIZIATIVE LOMBARDE S.R.L. (c.f./p.i. 09887110154),
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PREVESA 11,

presso

l’avvocato

SIGILLO’

ANTONIO, chC là

rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLOMM

– controrícorrente

avverso la sentenza n. 2739/2005 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/11/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato MANZI FEDERICA,
con delega, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato SIGILLO’
A. che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso

SERGIO, giusta procura in calce al controricorso;

per il rigetto del ricorso.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Lo IACP di Milano, che nel 1965 aveva concluso con Costruzioni Prefabbricati
Romagnoli s.p.a. una convenzione generale per la costruzione di 5000 alloggi di
edilizia economica e popolare, cui avevano fatto seguito, sino al 1970, distinti
contratti d’appalto stipulati per l’esecuzione di ciascun lotto di lavori, nel dicembre del
1984 convenne in giudizio la società, ai sensi dell’art. 1669 c.c., per sentirla

condannare al rimborso delle spese sostenute ed al risarcimento dei danni subiti per
i gravi vizi costruttivi manifestatisi in una parte degli stabili successivamente al
collaudo; vizi che, a dire dell’Istituto, erano stati definitivamente accertati solo
all’esito del procedimento di ATP da esso promosso nell’aprile del 1980 e
conclusosi, col deposito integrale della relazione del tecnico nominato, nel 1984.
L’impresa appaltatrice, costituitasi in giudizio, eccepì preliminarmente la decadenza
dello IACP dalla garanzia e la prescrizione dell’azione, della quale contestò la
fondatezza anche nel merito.
L’adito Tribunale di Milano, con una prima sentenza non definitiva, ritenuto che il
termine decennale di garanzia dovesse farsi decorrere dal compimento dell’opera in
senso materiale, e quindi dal certificato di ultimazione dei lavori, affermò che la
garanzia in discorso era ancora operante solo per i fabbricati oggetto del contratto
stipulato nel ’68 e dell’atto aggiuntivo del 1970, e che l’impresa convenuta era tenuta
a rispondere dei danni subiti dall’Istituto a causa dei vizi e difetti in essi riscontrati,
rispetto ai quali la denuncia doveva ritenersi tempestiva, atteso che la loro gravità e
la loro imputabilità all’appaltatrice erano state compiutamente accertate solo a
seguito dell’espletamento dell’ATP.
Il tribunale dispose quindi, con separata ordinanza, una ctu per la quantificazione dei
danni e, con sentenza definitiva dell’8.7.2002 , condannò la convenuta (nel frattempo
trasformatasi in Iniziative Lombarde s.r.I.) a pagare all’A.L.E.R. (nel frattempo
succeduto allo IACP), a titolo risarcitorio, la somma di € 779.857,76.
Le sentenze furono appellate in via principale da Iniziative Lombarde ed in via

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incidentale dall’A. L. E. R.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 26.11.2005, accolse l’appello
principale e rigettò quello incidentale ed, in riforma delle decisioni impugnate,
dichiarata l’A.L.E.R. decaduta dalla garanzia, respinse integralmente la domanda
risarcitoria.
La corte territoriale segnalò in premessa che non risultavano inseriti fra gli atti né il

fascicolo dell’ATP, con la relazione svolta dal consulente in quella sede (sebbene il
tribunale ne avesse disposto l’acquisizione) né la ctu espletata nel corso del primo
grado del giudizio. Ritenne, tuttavia, che la mancanza di tali atti istruttori non le
precludesse di decidere, e, dopo aver respinto l’eccezione sollevata dall’A.L.E.R., di
inammissibilità dell’appello principale per difetto di specificità dei motivi, affermò:
che andava condiviso l’assunto di Iniziative Lombarde, secondo cui la committente
non aveva dato prova della tempestività della denuncia dei vizi; che infatti le lettere
ed i telegrammi inviati dallo IACP all’appaltatrice fra il 1973 ed il 1978 per segnalare i
difetti man mano riscontrati ma, soprattutto, il circostanziato contenuto del ricorso per
ATP presentato nel 1980, lasciavano presumere che l’Istituto fosse a conoscenza
non soltanto dell’esistenza dei vizi, ma anche della loro entità e delle loro cause, ben
prima di promuovere il procedimento; che dunque doveva escludersi che l’ente
committente avesse acquisito un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della
gravità dei difetti dell’opera e della loro imputabilità all’imperfetta esecuzione
dell’appaltatrice solo a seguito dell’espletamento dell’ATP; che era invece infondato
l’appello incidentale, con il quale l’ente aveva dedotto che la data dalla quale doveva
farsi decorrere il termine decennale di garanzia era quella di compimento del
collaudo, atteso che anche in tema di appalti pubblici il dies a quo va individuato in
quello di ultimazione dei lavori necessari per l’ottenimento dell’opera nel suo
complesso e nei suoi elementi fondamentali, a prescindere dalla sua consegna ed
accettazione da parte del committente e che, nella specie, gli interventi di rifacimento
dei manti di copertura e gli interventi correttivi, la cui necessità era emersa in sede di
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collaudo e che erano stati eseguiti dall’impresa dopo l’emissione del certificato di
ultimazione dei lavori, erano di tipo meramente correttivo.
La sentenza è stata impugnata dall’A.L.E.R. con ricorso per cassazione affidato a
quattro motivi, cui Iniziative Lombarde ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1)In ordine logico, deve essere innanzitutto esaminato il secondo motivo di ricorso,
con il quale l’A.L.E.R., denunciando violazione degli artt. 112, 342, 698 c.p.c. e vizio
di motivazione, lamenta il rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello
proposto da Iniziative Lombarde contro la sentenza di primo grado. A conforto del
motivo il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di
merito, l’appello difettava di specificità, in quanto nell’atto l’impresa appaltatrice si era
limitata a riproporre le eccezioni di decadenza e prescrizione in base alle medesime
ragioni illustrate nel giudizio di primo grado e disattese dal tribunale, senza
censurare la sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato che soltanto
l’ATP aveva consentito di apprezzare compiutamente la complessità e l’estensione
dei vizi nonché la loro riferibilità ed imputabilità alla costruttrice. Rileva, sotto altro
profilo, che la corte territoriale, nell’escludere la rilevanza dell’ATP, ha violato il
principio dispositivo, in quanto ha implicitamente censurato l’operato del giudice di
primo grado – che aveva disposto l’acquisizione della relazione, includendola fra il
materiale probatorio- nonostante l’impresa appaltatrice non avesse proposto un
motivo d’appello volto a contestare l’ ammissibilità e la rilevanza del procedimento
preventivo od il provvedimento di acquisizione.
Il motivo è infondato.
1.a)Partendo dall’ultima censura illustrata nel motivo, relativa ad un tema riproposto,
per altri aspetti, anche nel primo e nel terzo motivo, il ricorrente sembra ritenere che
l’ordinanza di ammissione della prova abbia una propria intrinseca natura decisoria e
sia quindi di per sé suscettibile di impugnazione.
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Ebbene, non v’è dubbio che tale natura rivesta il provvedimento con il quale il
giudice stabilisce se il mezzo di prova (costituenda) – di cui una delle parti abbia
chiesto l’espletamento – sia o meno ammissibile alla stregua della disciplina
processuale vigente: in tal caso, infatti, il giudice decide dell’applicabilità di
determinate disposizioni normative che regolano i tempi ed i modi di deduzione ed
acquisizione della prova. Ne consegue che la parte soccombente, che abbia visto

respingere le eccezioni volte a far valere ragioni di rito ostative all’ammissione del
mezzo, é tenuta a impugnare con uno specifico motivo (ove intenda ottenerne la
riforma) l’assunta statuizione di rigetto.
Diverso compito, invece, è quello che spetta al giudicante allorché la questione
dell’ammissibilità della prova si presenti unicamente sotto il profilo della sua astratta
rilevanza per la soluzione della controversia (ovvero della sua idoneità alla raccolta
di elementi utili all’accertamento dei fatti che sono in contestazione): in tal caso egli
si limita, infatti, a compiere una valutazione che, al pari di quella concernente la
concreta rilevanza probatoria (l’effettiva utilità ai fini della decisione) delle circostanze
emerse attraverso l’espletamento del mezzo istruttorio ammesso, attiene
squisitamente al merito ed è pertanto rimessa al suo apprezzamento discrezionale.
E’ d’altro canto evidente che, una volta che la prova sia stata espletata, il giudizio di
merito in ordine alla sua astratta ammissibilità resta assorbito da quello relativo alla
sua effettiva rilevanza per la decisione.
E’ dunque sufficiente che la parte soccombente impugni la sentenza lamentando
l’errata valutazione del materiale probatorio da parte del primo giudice perché il
giudice d’appello, perciò stesso investito dell’integrale riesame del merito della
controversia, possa (ed anzi debba) compiere un nuovo apprezzamento
discrezionale della complessiva rilevanza degli elementi istruttori acquisiti, all’esito
del quale l’accertata decisività di uno di essi ben può condurre alla conclusione della
sostanziale inutilità (dell’irrilevanza, anche in via astratta) del diverso mezzo ritenuto
ammissibile e decisivo dal giudice a quo.

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Deve escludersi, pertanto, per un verso, che Iniziative Lombarde fosse tenuta a
proporre uno specifico motivo d’appello per ottenere la riforma del provvedimento,
meramente ordinatorio, con il quale il tribunale aveva disposto l’acquisizione
dell’ATP e, per l’altro, che, in assenza di tale motivo, fosse precluso alla corte
territoriale, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., di affermare l’irrilevanza ai fini della
decisione del predetto accertamento senza averne prima esaminato le risultanze.

1.b)Priva di pregio é anche l’ulteriore ragione di doglianza illustrata nel motivo, con la
quale A.L.E.R. ripropone l’eccezione di inammissibilità, per difetto del requisito della
specificità, dell’appello interposto da Iniziative Lombarde contro la sentenza di primo
grado.
La corte territoriale ha respinto l’eccezione non solo rilevando, in via generale, che
l’appellante aveva specificamente indicato le ragioni della ritenuta erroneità della
sentenza non definitiva, ma richiamando in buona parte il contenuto dell’atto di
citazione in appello. A tal proposito il giudice d’appello ha fra l’altro precisato: che
Iniziative Lombarde aveva ribadito che i vizi lamentati nel ricorso per ATP ed
accertati dal ctu erano stati già tutti denunciati dallo IACP con lettere, ordini di
servizio o telegrammi antecedenti di oltre un anno alla presentazione del ricorso;
aveva poi sostenuto che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza
impugnata, l’Istituto non aveva provato che la scoperta dei vizi era intervenuta in un
momento successivo rispetto agli atti di denuncia; aveva inoltre dedotto che, anche a
voler seguire la tesi del primo giudice, si trattava comunque di vizi emersi quando
era già trascorso il periodo di prescrizione decennale dell’azione, senza che mai
l’Istituto le avesse inviato atti interruttivi.
A fronte della logica ed esauriente motivazione posta a fondamento del rigetto
dell’eccezione, il ricorrente si é limitato a sostenere che le sopra riportate censure
non investivano l’affermazione del tribunale secondo cui solo l’ATP aveva consentito
di apprezzare la complessità e l’estensione dei vizi, ma non si è curato di illustrare le
ragioni del proprio assunto, ovvero di chiarire perché il dedurre che i vizi accertati
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erano stati già tutti denunciati prima della presentazione del ricorso non equivaleva a
negare che la loro completa emersione fosse avvenuta solo a seguito
dell’espletamento del mezzo di istruzione preventiva: può ben dirsi, in conclusione,
che per tale parte il ricorso è, esso sì, privo del requisito della specificità.
2) Con il primo motivo di ricorso A.L.E.R., denunciando violazione degli artt. 168, 347
e 36 disp. att. c.p.c., nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta

che la corte d’appello abbia escluso la rilevanza della consulenza espletata in sede
di ATP senza averla esaminata. Osserva che, poiché le risultanze dell’ATP erano
state ritenute fondamentali dal primo giudice per respingere le eccezioni di
decadenza e di prescrizione sollevate da Iniziative Lombarde, la corte non poteva
riformare la decisione prima di averne preso conoscenza. Assume che la mancata
acquisizione dell’elaborato si è tradotta in un vizio procedurale – di per sé sufficiente
a determinare l’annullamento della sentenza – che, peraltro, nel caso di specie
risulterebbe aggravato dal contrasto esistente fra le parti in ordine all’accertamento
dei fatti di causa. Deduce, inoltre, che la corte di merito, dopo aver affermato
l’irrilevanza dell’ATP, ha tratto il suo convincimento proprio dal ricorso ex art. 696
c.p.c., in tal modo contraddittoriamente ammettendo, a fronte della ritenuta
irrilevanza dell’intero procedimento di istruzione preventiva, la rilevanza della
domanda che lo ha introdotto ed erroneamente separando il giudizio sulla rilevanza
di tale domanda da quello sulla sua ammissibilità.
3) Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata,
l’ALER torna a lamentare l’omessa valutazione da parte della corte territoriale delle
risultanze dell’ATP, che aveva consentito di chiarire la gravità e l’estensione dei vizi
riscontrati negli immobili e ne aveva accertato le cause, riconducibili al fenomeno
dei c.d. ponti termici. Sostiene che, una volta che l’accertamento era stato acquisito
agli atti e posto dal primo giudice a fondamento della decisione, sarebbe spettato
alla controparte di demolirne la valenza probatoria, ovvero di dimostrare che i vizi ed
i difetti descritti dal consulente erano emersi in precedenza ed erano già stati
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denunciati ed assume che la corte territoriale, omettendo di acquisire l’ATP, ha
trascurato i decisivi elementi di giudizi o da essa ricavabili.
Anche questi motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere
congiuntamente esaminati, devono essere respinti.
2.a) Infondata, in primo luogo, è la tesi dell’A.L.E.R. secondo cui la mancata
acquisizione dell’ATP in sede d’appello integrerebbe un vizio procedurale di per sé

idoneo a determinare la nullità del procedimento di secondo grado.
Invero, come è stato più volte affermato da questa Corte, l’acquisizione del fascicolo
d’ufficio di primo grado è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice
dell’impugnazione e non costituisce condizione essenziale per la validità del giudizio
d’appello; ne consegue che l’omessa acquisizione non può essere dedotta come
motivo di ricorso per cassazione, a meno che non si prospetti specificamente, ai
sensi del n. 5 (e non già del n. 4) del I comma dell’art. 360, che dal fascicolo non
esaminato emergevano elementi idonei a condurre ad una diversa soluzione della
controversia (cfr., fra le ultime, Cass. nn. 16664/012, 688/010, 24437/07, 7237/06).
2.b) Le ulteriori ragioni di doglianza, da valutare esclusivamente sotto il profilo del
vizio di motivazione della sentenza impugnata, vanno invece dichiarate inammissibili
per difetto del requisito dell’autosufficienza.
L’A.L.E.R., infatti, ha totalmente omesso di riportare in ricorso le risultanze della
relazione di ATP dalle quali si dovrebbe ricavare che, contrariamente a quanto
ritenuto dalla corte territoriale, la reale entità e gravità dei vizi dapprima denunciati
con le lettere ed i telegrammi inviati dallo IACP all’appaltatrice fra il 1973 ed il 1978 e
poi analiticamente descritti nel ricorso presentato ai sensi dell’art. 696 c.p.c., era
emersa solo a seguito dell’espletamento del predetto mezzo istruttorio.
E’ appena il caso di richiamare, in proposito, il costante e consolidato insegnamento
di questa Corte secondo il quale il ricorrente che denunci un vizio di motivazione
della sentenza impugnata per l’omessa valutazione di risultanze probatorie non può
limitarsi a censure apodittiche di erroneità o incompletezza, o di mancato
9

approfondimento da parte del giudice del merito di determinati temi di indagine, ma è
tenuta a indicare le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di
logicità ed adeguatezza, riportando per esteso le pertinenti parti del mezzo istruttorio
che, ove tenute nel debito conto, avrebbero condotto ad una diversa soluzione della
controversia, al fine di consentire al giudice di legittimità, che non può sopperire alle
lacune delle parti con indagini integrative, il controllo in ordine alla loro decisività.

Va, da ultimo, ribadito — secondo quanto si è già precisato in sede di esame del
primo motivo – che non ricorre neppure il denunciato vizio di contraddittorietà della
motivazione, in quanto, nell’esercizio del suo potere di apprezzamento discrezionale
della prova, la corte territoriale ben poteva trarre proprio dal contenuto del ricorso per
ATP il convincimento che l’entità e le cause dei vizi dedotti in giudizio erano già noti
all’ente appaltante e così ribaltare il giudizio del primo giudice di ammissibilità e
rilevanza del mezzo istruttorio in questione.
4) Resta assorbito il quarto motivo di ricorso, con il quale l’ A.L.E.R. si duole del
rigetto dell’appello incidentale da esso proposto contro la sentenza non definitiva di
primo grado, con il quale aveva contestato che il termine decennale di operatività
della garanzia decorresse dalla data di emissione del certificato di ultimazione dei
lavori anziché da quella di definitivo collaudo delle opere.
Come riconosciuto dallo stesso ricorrente, la corte territoriale, una volta dichiarata la
decadenza dal diritto a far valere la garanzia, si è infatti inutilmente occupata della
questione, rilevante unicamente nel caso in cui i vizi emersi entro il decennio dal
collaudo avessero riguardato immobili non oggetto di accertamento tecnico
preventivo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, che liquida in € 25.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Roma, 12 dicembre 2014.
10

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