Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5714 del 09/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 09/03/2018, (ud. 16/11/2017, dep.09/03/2018),  n. 5714

Fatto

1. Con sentenza del 30 aprile 2010, la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto parzialmente l’appello proposto da C.D.V. ed ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane Spa per il periodo 1.8.2002 – 30.9.2002 per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche derivanti dall’attuazione di previsioni di accordi sindacali del 2001/2002, congiuntamente alla necessità del servizio in concomitanza di assenze per ferie durante il periodo estivo; per l’effetto ha altresì dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 1 agosto 2002 ed ancora in atto, ma ha rigettato la domanda risarcitoria della lavoratrice in quanto l’atto di costituzione in mora del 10 aprile 2006 era successivo al triennio decorrente “dalla cessazione di fatto del rapporto di lavoro (settembre 2002)”.

La Corte ha poi confermato la legittimità del termine apposto al precedente contratto intercorso tra le stesse parti per il periodo 13.12.2001 – 31.1.2002.

2. Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso con quattro motivi. Ha depositato controricorso la C., contenente ricorso incidentale condizionato avuto riguardo al rigetto dell’impugnativa di altro contratto a termine per il periodo 13.12.2001 – 31.1.2002 nonchè ricorso incidentale autonomo sul risarcimento del danno negato dalla Corte romana. All’impugnazione incidentale ha resistito la società con controricorso.

3. In prossimità dell’adunanza camerale del 21 aprile 2017 la difesa della lavoratrice ha depositato memoria in cui ha rappresentato la sopravvenienza della sentenza n. 2842 del 2016 di questa Corte che ha respinto il ricorso di Poste Italiane Spa avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 30 ottobre 2009 con cui, in parziale accoglimento dell’appello proposto da C.D.V., veniva dichiarata la nullità del termine apposto ad un terzo contratto intercorso tra le parti per il periodo 7.6.99 – 30.10.99, con decorrenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla predetta data e condanna della società al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni maturate dal 23.12.2002 nei limiti del triennio dalla cessazione di fatto dell’ultimo contratto di lavoro intercorso tra le parti.

Indi la causa è stata rimessa all’udienza pubblica, prima della quale la C. ha depositato nuova memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre verificare l’eventuale influenza sulla presente controversia del passaggio in giudicato della sentenza del 30 ottobre 2009 della Corte di Appello di Roma in seguito alla pronuncia di questa Corte n. 2842 del 2016 che l’ha confermata.

Come noto, a composizione di un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 226 del 2001, hanno stabilito che il principio generale rappresentato dalla normale rilevabilità d’ufficio delle eccezioni trovi applicazione anche in materia di eccezione di giudicato esterno.

Con la conseguenza che l’allegazione e la dimostrazione di un giudicato esterno “non solo non è soggetta a termini particolari, potendo essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito, ma prescinde da qualsiasi volontà della parte di avvalersene. Se il giudice, in presenza di un giudicato interno, è obbligato a rilevarlo d’ufficio, a prescindere da qualsiasi istanza di parte, allo stesso modo è obbligato a rilevare l’esistenza di un giudicato esterno, una volta che quest’ultimo è entrato a fare parte del materiale documentale acquisito al processo”.

Sulla scorta di quella condivisa dottrina secondo cui il giudicato non deve essere incluso nel fatto, rappresentando piuttosto la legge del caso concreto, le Sezioni unite, nella richiamata pronuncia, hanno superato quella giurisprudenza secondo cui l’accertamento e l’interpretazione del giudicato esterno costituiscono attività istituzionalmente riservate al giudice di merito, al quale è demandato l’apprezzamento dei fatti.

Hanno dunque affermato il seguente principio di diritto: “poichè nel nostro ordinamento vige il principio della normale rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando la necessità dell’istanza di parte solo da una specifica previsione normativa, l’eccezione di giudicato esterno, in difetto di una tale previsione, è rilevabile d’ufficio ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa, qualora il giudicato risulti da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito, con la conseguenza che, in mancanza di pronuncia o nell’ipotesi in cui il giudice del merito abbia affermato la tardività dell’allegazione – e la relativa pronuncia sia stata impugnata – il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito” (conf., tra le più recenti, Cass. n. 8607 del 2017).

Successivamente, con la sentenza n. 13916 del 2006, le Sezioni unite di questa Corte hanno espressamente inteso dare continuità al principio già espresso, non solo ribadendo la rilevabilità ex officio del giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di merito, ma altresì ammettendo la rilevabilità in sede di legittimità del giudicato esterno perfezionatosi dopo la conclusione del giudizio di merito.

I principi enunciati sono stati ulteriormente confermati a Sezioni unite sul rilievo, ritenuto determinante, secondo cui “il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi” (sent. n. 24664 del 2007).

Ai fini dell’accertamento della preclusione derivante dall’esistenza di un giudicato esterno è fondamentale l’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, tenendo conto che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della causa petendi, intesa come titolo dell’azione proposta e del bene della vita che ne forma l’oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato (petitum immediato); entro tali limiti, l’autorità del giudicato copre il dedotto e il deducibile, ovvero non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione, e comunque esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni non dedotte in giudizio che costituiscano, tuttavia, un presupposto logico essenziale e indefettibile della decisione stessa.

2. Posto che questa Corte è chiamata a verificare l’eventuale preclusione derivante dal giudicato esterno concretizzatosi nel decisum rappresentato dalla sentenza della Corte di Appello di Roma del 30 ottobre 2009 intervenuta tra le stesse parti, il Collegio reputa che tale sopravvenienza renda inammissibile sia il ricorso principale delle Poste (avente ad oggetto la declaratoria della nullità del termine apposto al terzo contratto intercorso tra le parti relativamente al periodo 1.8.2002 – 30.9.2002), sia il ricorso incidentale autonomo della lavoratrice (avente ad oggetto le conseguenze risarcitorie derivanti dalla illegittimità di detto termine).

Invero questa Corte ha più volte statuito che, nel caso di sequenza di contratti a termine stipulati in contrasto con le previsioni di legge che lo disciplinano (il principio è stato affermato avuto riguardo alla L. n. 230 del 1963 ma è estensibile anche alle discipline legali successive), se il primo contratto della serie viene dichiarato illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, la stipulazione degli altri contratti a termine non incide sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, salva la prova di una novazione ovvero di una risoluzione anche tacita del medesimo (v. Cass. n. 6017 del 2005; Cass. n. 17328 del 2012; Cass. n. 903 del 2014; Cass. n. 15211 e 17765 del 2015).

Da tanto deriva che, una volta accertata con sentenza passata in cosa giudicata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra Poste Italiane Spa e C.D.V. a decorrere dal 7 giugno 1999 sino alla pronuncia della Corte di Appello del 30 ottobre 2009 che ha dichiarato la nullità del termine apposto al primo contratto, ogni successiva stipulazione di contratti a termine intervenuta tra le parti medio tempore, così come il contenzioso giudiziale pendente relativo ad essi, non può incidere su detto accertamento che non può essere più rimesso in discussione.

Parimenti la preclusione determinata dal giudicato sul primo contratto circa la legittimità o meno del termine apposto al terzo contratto, relativo al periodo 1.8.2002 – 30.9.2002, spiega i suoi effetti inibenti anche sulla valutazione delle conseguenze risarcitorie altrimenti derivanti dalla illegittimità di detto contratto, stante il nesso di stretta dipendenza – conclamato da Cass. SS.UU. n. 21691 del 2016, punti 24 e ss. tra il capo con cui “viene dichiarata l’illegittimità della clausola che ha apposto il termine” e quello con cui “viene definito il risarcimento del danno”: di talchè la preclusione processuale determinata dal giudicato rispetto al primo capo della sentenza qui impugnata opera anche per il capo sul risarcimento dalla prima indissolubilmente dipendente.

Non osta a tale conclusione la circostanza che il giudizio intrapreso per impugnare il successivo contratto a termine avesse un petitum parzialmente non coincidente con quello che ha condotto al giudicato sul rapporto in base al contratto a termine precedente.

E’ stata invero ancora di recente ribadita (v. Cass. n. 20629 del 2016) la giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico e uno dei due pervenga al giudicato, l’accertamento di una situazione giuridica comune a entrambe le cause preclude il riesame del punto accertato e risolto con il giudicato suddetto – che esplica quindi gli effetti del giudicato esterno – anche se il giudizio successivo sia instaurato per finalità diverse da quelle costituenti lo scopo e il petitum del primo; se infatti l’autorità del giudicato non osta all’allegazione e alla cognizione di nuovi e posteriori eventi che incidano sul diritto deciso, essa impedisce peraltro il riesame della controversia già risolta nel provvedimento definitivo mediante la deduzione di questioni anteriori al giudicato stesso (cfr. SS.UU. n. 13916 del 2006; Cass. n. 10623 del 2009; Cass. n. 18381 del 2009; Cass. n. 8650 del 2010; Cass. n. 25862 del 2010).

3. Conclusivamente, considerato che la sopravvenienza di un giudicato esterno rilevabile pure d’ufficio da questa Corte anche nell’ipotesi in cui esso si sia formato successivamente alla pronuncia del provvedimento impugnato o al ricorso per cassazione e conoscibile fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione – è destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipando della natura dei comandi giuridici, per cui il giudice deve conformarsi ad esso con una pronuncia che attiene all’interesse delle parti alla decisione (cfr. Cass. SS.UU. n. 9743 del 2008), va dichiarata l’inammissibilità sia del ricorso principale della società sia del ricorso incidentale autonomo della C..

Invece il ricorso incidentale di quest’ultima, espressamente condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale, resta assorbito.

Stante la reciproca soccombenza sussistono le condizioni per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, inammissibile il ricorso incidentale autonomo ed assorbito il ricorso incidentale condizionato; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2018

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