Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5713 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 09/03/2010), n.5713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22555-2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VALENTE NICOLA,

PREDEN SERGIO, RICCIO ALESSANDRO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.O.;

– intimato –

sul ricorso 25104-2006 proposto da:

A.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PALADIN FRANCESCO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VALENTE NICOLA,

PREDEN SERGIO, RICCIO ALESSANDRO, giusta mandato in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 25/07/2005 r.g.n. 19/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale per quanto di ragione, rigetto dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 29-5-2002 A.O. si rivolgeva al Giudice del lavoro del Tribunale di Pordenone, esponendo di essere titolare di pensione di vecchiaia quale ex dipendente dell’ENEL sino al giugno 1997, avendo optato per la prosecuzione del rapporto ai sensi della L. n. 407 del 1990, art. 6 e che la prestazione gli era erogata da parte dell’INPS. L’attore deduceva che l’importo della pensione era stato però liquidato in misura ridotta ed errata, rilevando, in particolare, che nel periodo di oltre tre anni durante il quale egli aveva scelto di proseguire a lavorare era entrato in vigore il D.Lgs. n. 562 del 1996, che all’art. 6 mirava ad armonizzare i trattamenti degli iscritti al ed. Fondo Elettrici, e che il suo trattamento di pensione era stato effettuato secondo un calcolo errato.

L’ A. chiedeva, quindi, la condanna dell’INPS al ricalcolo della detta pensione di vecchiaia.

L’INPS si costituiva rilevando la giustezza del proprio operato e chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza n. 201/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Pordenone accoglieva integralmente la domanda.

Avverso la detta sentenza l’INPS proponeva appello con due motivi, con i quali da un lato lamentava che erroneamente il primo giudice aveva concesso il cumulo di interessi e rivalutazione sul capitale, in violazione della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, dall’altro si doleva dell’erronea interpretazione, operata dal detto giudice, delle norme in materia notando in sintesi come rilevasse qui il dettato del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 2, e come il diritto degli optanti L. n. 407 del 1990, ex art. 6 venisse ben tutelato nel caso di specie e nei termini da esso istituto pretesi.

L’INPS concludeva, quindi, per il rigetto delle domande avversarie o, in subordine, per la condanna al pagamento dei soli interessi legali, sulle somme arretrate.

L’ A. si costituiva, eccependo la inammissibilità dell’avverso gravame, e, nel merito, evidenziando la fondatezza delle sue pretese. Proponeva altresì appello incidentale solo in ordine alle spese.

La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza pubblicata il 25-7-2005, in parziale riforma della sentenza di primo grado, escludeva la condanna al pagamento della rivalutazione monetaria (confermando nel resto) e, compensando per metà le spese del grado, condannava l’INPS al pagamento della residua metà.

In sintesi la Corte territoriale, accoglieva il primo motivo dell’appello principale, escludendo il cumulo tra rivalutazione e interessi, e rigettava il secondo motivo rilevando, in sostanza che “il D.Lgs. n. 562 cit., art. 3, comma 10, ha abrogato i criteri particolari di liquidazione in essere per i cd. elettrici e di cui alla L. n. 408 del 1975, art. 2, uniformando così i canoni di liquidazione per coloro che avessero optato per la prosecuzione del rapporto L. n. 407 del 1990, ex art. 6 e cioè secondo il dettato della circolare INPS n. 80 del 25-3-1991 con i due, complessi, criteri di calcolo di cui qui si disputa. In sintesi, quindi, secondo la Corte di merito “dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 562 del 1996 l’unico canone rivalutativo in essere era, per gli elettrici, quello generale (e di cui alla circolare 80 citata)” ed il ricorso a detto canone risultava “ineludibile onde evitare palesi iniquità e disparità di trattamento”.

Soltanto in tal modo, infatti, secondo la Corte d’Appello, si otteneva “una parità di trattamento fra persone, gli optanti per la prosecuzione L. n. 407 del 1990, ex art. 6 secondo i dettami auspicati dalla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 22, tenuto conto che, nel caso di specie l’ A. parti da una anzianità pari a 40 anni, uguale quindi a quella del regime di assicurazione generale, per poi attingere ad oltre 43 anni totali di anzianità: un caso del tutto simile a quello di un lavoratore optante in regime ordinario”.

La Corte, infine, respingeva l’appello incidentale ritenendo corretta ed insindacabile la scelta di compensare le spese per un giusto motivo.

Per la cassazione di tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso con un unico motivo.

L’ A. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un unico motivo e, contestualmente, ricorso incidentale condizionato anch’esso con unico motivo.

L’INPS ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di controparte. L’ A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale, avanzate dal controricorrente, per difetto di valida procura speciale avente data certa anteriore alla notifica del ricorso e per mancanza del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

Entrambe le eccezioni risultano infondate.

Sulla prima osserva il Collegio che, come questa Corte ha più volte affermato, qualora l’originale del ricorso per cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purchè la copia stessa contenga elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale (v. Cass. 15-1-2007 n. 636, Cass. 6-7-1992 n. 8209).

Nella fattispecie la procura in calce al ricorso originale reca le firme del legale rappresentante dell’INPS e dell’avv. Alessandro Riccio autenticante (che ha sottoscritto il ricorso e che con altri è indicato nella intestazione dello stesso) mentre la relazione di notifica attesta che l’Ufficiale Giudiziario “su istanza dell’INPS, come in atti rappresentato, difeso e domiciliato” ha notificato il “su esteso ricorso”.

Non può quindi attribuirsi rilevanza invalidante alla mancanza delle dette sottoscrizioni nella copia notificata e neppure può assumere analoga rilevanza, la mancanza, in calce alla procura stessa, della indicazione della data (che non è prevista da alcuna disposizione a pena di nullità – v. Cass. 13-9-2006 n. 19560), in presenza degli elementi evidenziati che dimostrano con ragionevole certezza che, comunque, la procura è stata conferita prima della notificazione dell’atto (cfr. Cass. 9-8-2004 n. 15354, Cass. 17-5-2007 n. 11513).

Parimenti infondata è, poi, la seconda eccezione preliminare avanzata dal controricorrente, in quanto, trattandosi di ricorso avverso una sentenza pubblicata in data 25 luglio 2005, anteriormente quindi all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, ai sensi dell’art. 27, comma 2 dello stesso Decreto non è applicabile nella fattispecie ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c., introdotto con il detto decreto (e ora abrogato ex L. n. 69 del 2009).

Così respinte le eccezioni preliminari, in ordine logico, va esaminato dapprima il motivo del ricorso incidentale con il quale l’ A. lamenta la mancata declaratoria della inammissibilità dell’appello per la genericità dei motivi.

Sul punto la sentenza di appello ha ritenuto che l’impugnazione “è sufficientemente chiara e si richiama, da un lato, al dettato della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6 in tema di accessori dei crediti previdenziali e, dall’altro, ad una diversa ricostruzione delle norme di riferimento”.

Tale ricostruzione, come emerge dalla lettura dell’atto di appello riportato per esteso nel controricorso, risulta senz’altro sufficiente ai fini della specificità dei motivi di gravame, non essendo affatto all’uopo necessaria una dettagliata descrizione dell’intero iter logico giuridico seguito dal primo giudice, come ritiene l’ A..

Del resto l’appello dell’INPS evidenzia chiaramente gli asseriti errori della tesi di controparte accolta dal primo giudice.

Passando, quindi all’esame del ricorso principale, con l’unico motivo l’istituto ricorrente, denunciando violazione della L. n. 407 del 1990, art. 6, D.Lgs n. 503 del 1992, artt. 7 e 13, D.Lgs. n. 562 del 1996, artt. 2 e 3 nonchè insufficiente motivazione, in sostanza deduce che la tesi accolta dai giudici di merito, secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 562 del 1996 i criteri di calcolo del trattamento pensionistico riservato ai cd. optanti ex lege n. 407 del 1990 ed iscritti al Fondo elettrici sarebbero stati integralmente uniformati a quelli vigenti nei confronti degli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, non trova conforto nella normativa vigente.

In particolare l’INPS evidenzia che la L. n. 407 del 1990, art. 6 non introduce una specifica ed innovativa disciplina in punto di calcolo del trattamento pensionistico spettante agli optanti, ma fa espressamente salve le “norme in materia di determinazione della misura della pensione previste dai singoli ordinamenti” e che “l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 562 del 1996 non solo non ha soppresso il Fondo speciale di previdenza per i dipendenti dal l’ENEL e dalle aziende elettriche private, ma non ha neanche determinato una immediata e piena assimilazione fra la disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria e quella del Fondo speciale, che continua invece ad esibire innegabili peculiarità”.

Peraltro l’istituto rileva in generale che il trattamento pensionistico da liquidare in favore di chi abbia maturato, alla data del 31-12-1995 una anzianità contributiva nel Fondo elettrici di almeno 18 anni (come nella fattispecie) è determinato dalla sommatoria di distinte quote di pensione che, a loro volta, originano da diverse retribuzioni di riferimento (A+B+C+D, in relazione ai rispettivi periodi di anzianità contributiva, fino al 31-12-92, dal 1-1-93 al 31-12-94, dal 1-1-95 al 31-12-96 e dal 1-1-97).

In particolare secondo l’INPS “applicando alla controversia in esame gli speciali criteri di liquidazione della pensione riservati agli iscritti al Fondo elettrici, se ne trae che il trattamento che sarebbe spettato all’ingegnere A. ove non avesse esercitato l’opzione al 31 agosto 1993 scaturisce dalla sommatoria fra la quota A e la quota B. L’importo della pensione riferibile alla quota, per espressa disposizione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13 deve essere determinato avuto esclusivo riguardo alla disciplina di cui alla L. n. 1079 del 1971, ovverosia prendendo a riferimento la retribuzione media dell’ultimo semestre antecedente alla pensione, ragguagliata ad anno. Detta retribuzione non deve essere rivalutata nè in forza del disposto di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 7 ostandovi la espressa clausola di salvezza della previgente disciplina di cui al ripetuto D.Lgs. n. 503 del 1992, testè citato art. 13, lett. a, nè, tanto meno in forza della previsione di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 3 perchè norma destinata a trovare applicazione solo in ambito a.g.o. La quota B, dal canto suo, doveva essere determinata in funzione di una retribuzione pensionabile calcolata su un periodo di riferimento semestrale incrementato, tuttavia, del 50% del periodo compreso fra il gennaio e l’agosto 1993. La Retribuzione pensionabile così individuata (ma solo … quella relativa alla seconda quota di pensione) doveva quindi essere rivalutata ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 7”.

Pertanto l’Istituto deduce che “nel caso di specie la pensione astrattamente spettante a controparte alla data del 1-9-1993 (alla quale andava poi sommato il supplemento) non poteva affatto essere determinata all’esito della valutazione di una sola ed unica retribuzione di riferimento, integralmente rivalutata al 1997”, così come ipotizzato dall’ A., “ma doveva piuttosto scaturire, in applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 7 e 13 dalla sommatoria di due distinte quote di pensione, ciascuna di esse determinata all’esito dell’applicazione di una differente normativa che incide sia sulla determinazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile, sia sulla possibilità di rivalutare la retribuzione stessa, possibilità che deve ritenersi preclusa per quanto concerne le anzianità contributive maturate anteriormente al gennaio 1993 (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13).

Orbene premesso che, come si legge nella sentenza impugnata e non è contestato dalle parti, “pacifico è che il ricorrente, che aveva all’epoca (1993) 40 anni di anzianità contributiva, optò per proseguire il rapporto per altri tre anni e dieci mesi sino al giugno 1997 quindi, valendosi del dettato della L. n. 407 del 1990, art. 6” per cui “durante proprio i tre anni e dieci mesi in questione è sopravvenuto però il D.Lgs. n. 562 del 1996”, osserva il Collegio che erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto che l’art. 6 del detto Decreto avrebbe soppresso il Fondo elettrici, uniformando la disciplina a quella del regime di assicurazione generale obbligatoria, e che l’art. 3, comma 10, avrebbe “abrogato i criteri particolari di liquidazione in essere per i cd. elettrici e di cui alla L. n. 408 del 1975, art. 2, uniformando così i canoni di liquidazione per coloro che avessero optato per la prosecuzione del rapporto L. n. 407 del 1990”.

In realtà il Fondo di previdenza per i dipendenti dell’Enel e delle aziende elettriche private in realtà è stato soppresso (insieme al Fondo per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia) soltanto con la L. n. 488 del 1999, art. 41 “a decorrere dal 1 gennaio 2000”, prevedendosi contestualmente che “con effetto dalla medesima data sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti i titolari di posizioni assicurative e i titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti presso i predetti soppressi fondi” e che “la suddetta iscrizione è effettuata con evidenza contabile separata nell’ambito del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e continuano ad applicarsi le regole previste dalla normativa vigente presso i soppressi fondi.” Orbene nella materia che qui interessa innanzitutto occorre fare riferimento alla L. n. 407 del 1990, art. 6, comma 1, che, per la prima volta, aveva consentito agii iscritti all’AGO e alle gestioni sostitutive (nel caso il Fondo elettrici), esonerative o esclusive della medesima, di continuare a prestare la loro opera lavorativa fino al compimento del 62 anno di età, nonostante il (già avvenuto) raggiungimento della anzianità contributiva massima utile prevista nei singoli ordinamenti (in precedenza la prosecuzione era consentita solo alla condizione che gli iscritti non avessero raggiunto tale anzianità massima – v. D.L. n. 791 del 1981, art. 6 conv, con mod.

con L. n. 54 del 1982, v. anche L. n. 903 del 1977, art. 4).

Gli effetti dell’esercizio dell’opzione consistevano nel “diritto a domanda, ad una maggiorazione del trattamento pensionistico di importo pari alla misura del supplemento di pensione di cui alla L:

23 aprile 1981, n. 155, art. 7 in relazione al periodo di continuazione della prestazione della loro opera” (maggiorazione che “si somma alla pensione e diviene parte integrante di essa a tutti gli effetti dalla data di decorrenza della maggiorazione stessa”).

Successivamente è intervenuto il decreto legislativo n. 503 del 1992 che (art. 1, commi 2 e 3) ha elevato da 62 a 65 anni il limite di età previsto per la prosecuzione del rapporto di lavoro a seguito dell’opzione esercitata ai sensi della L. n. 407 del 1990, art. 6 ed ha altresì disciplinato, limitatamente alle opzioni esercitate (ai sensi della L. n. 903 del 1977, art. 4 e del D.L. n. 791 del 1981, art. 6 conv. con L. n. 54 del 1982, citati) dagli assicurati che non avessero ancora raggiunto l’anzianità contributiva massima utile nei singoli ordinamenti, gli effetti di tali opzioni, prevedendo l’attribuzione di incentivi, fino al raggiungimento della detta anzianità, nell’incremento (di un punto o di un mezzo punto a seconda dei casi) della percentuale annua di commisurazione (alla retribuzione) della pensione e, per gli anni successivi, nella maggiorazione del trattamento pensionistico di cui alla L. n. 407 citata, art. 6, comma 6 (maggiorazione che, quindi, non spetta per il periodo antecedente alla maturazione della detta contribuzione massima utile, v. Cass. 14-2-2008 n. 3765).

Nel contempo è stato anche stabilito che “il trattamento pensionistico derivante dall’applicazione dei commi 2 e 3 non può comunque superare l’importo della retribuzione pensionabile prevista dai singoli ordinamenti” (art 1, comma 5), è stata disciplinata la retribuzione pensionabile (art. 7) e con norma transitoria (art. 13) è stata distinta la quota di pensione relativa alle anzianità anteriori al 1-1-1993 (calcolata “secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta”) dalla quota di pensione relativa alle anzianità acquisite a decorrere dalla stessa data (calcolata secondo le norme del decreto stesso).

In tale quadro è, quindi, intervenuto, dopo la riforma di cui alla L. n. 335 del 1995 ed in attuazione della delega prevista dall’art. 2, comma 22 della detta Legge (relativa alla “armonizzazione dei regimi pensionistici sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria”) il D.Lgs. n. 562 del 1996 che, tra l’altro, ha espressamente previsto:

che “per i lavoratori iscritti al Fondo di cui all’art. 1, comma 1, che, alla data del 31 dicembre 1995, possono far valere un’anzianità contributiva di almeno 18 anni interi, la pensione è interamente liquidata secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente, con l’applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 17” (art. 1, comma 1);

che “per il calcolo della pensione la retribuzione di riferimento per le anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 1996 è quella disciplinata dalla previgente normativa del Fondo di cui al comma 1” (art. 1, comma 3);

che “al fine della determinazione dell’ammontare della pensione, l’anzianità contributiva massima computabile dei lavoratori di cui all’art. 2, commi 1 e 2, è elevata a 40 anni” (art. 3, comma 1);

che “l’importo complessivo del trattamento pensionistico liquidato esclusivamente in base al metodo retributivo non può in ogni caso superare il più favorevole fra i seguenti importi:

a)-80 per cento della retribuzione pensionabile determinata secondo le norme in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti;

b)-88 per cento della retribuzione pensionabile determinata ai fini del calcolo della quota di pensione di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 12, lett. a),” (art. 3, comma 2);

che “restano confermate le disposizioni di cui al citato D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 3, in conseguenza dell’opzione esercitata dall’iscritto ai sensi della L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 6” (art. 3, comma 3);

che solo “per quanto non disciplinato dalla normativa del Fondo di cui all’art. 1, comma 1, come modificata dal presente decreto, trovano applicazione le disposizioni in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria …”(art. 6).

In base a tale normativa del 1996, che non ha soppresso il Fondo elettrici e che tanto meno ha abrogato la relativa disciplina, come è stato affermato da questa Corte, “ai fini della determinazione della pensione di vecchiaia erogata con il metodo retributivo dal Fondo elettrici presso l’INPS, il D.Lgs. n. 562 del 1996, art. 3, comma 2, lett. a) – nella prospettiva di una graduale armonizzazione tra i trattamenti sostitutivi presso i fondi speciali INPS e il regime dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti (AGO) – stabilisce che l’importo della pensione va determinato nella misura più favorevole tra a) l’80% della retribuzione pensionabile calcolata secondo le norme in vigore presso l’AGO e b) l’88% della retribuzione pensionabile determinata ai sensi della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 12, lett. a) dovendosi fare riferimento, quanto al primo tetto, alla nozione di retribuzione, onnicomprensiva di tutte le voci, considerata dalla disciplina generale dell’AGO, avendo il tenore letterale della disposizione incluso la nozione di retribuzione vigente in quella gestione” (v. Cass. 23-1-2008 n. 1444, Cass. 10-12-2008 n. 28996).

In particolare, poi, con riferimento alla ipotesi degli optanti L. n. 407 del 1990, ex art. 6 questa Corte da ultimo (v. Cass. 26-6-2009 n. 15052) ha affermato che “ai dipendenti dell’ENEL che, avendo raggiunto l’età pensionabile e l’anzianità contributiva massima prevista dalla disciplina del Fondo speciale di previdenza, abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi della L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 6 e abbiano continuato a prestare la propria opera anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 562 (che, a favore dei suddetti dipendenti, ha innalzato a 40 anni l’anzianità contributiva massima) compete una pensione commisurata alla retribuzione percepita al tempo dell’opzione, cui si somma la maggiorazione prevista dalla citata L. n. 407, art. 6, comma 6 fino alla data di entrata in vigore del predetto D.Lgs. n. 562, mentre, a partire da tale data, sono dovuti gli incrementi del punto percentuale di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 1, comma 3, fino al raggiungimento della (nuova) contribuzione massima consentita dalla disciplina del Fondo, nonchè, per gli anni successivi e fino al pensionamento, la maggiorazione di cui alla L. n. 407 del 1990 citata, art. 6, comma 6” (nel caso di specie, risultando che l’ A. aveva già raggiunto al 31-8-1993 i quaranta anni di contribuzione, per il periodo successivo spettava, quindi, soltanto la detta maggiorazione).

Con la stessa pronuncia è stato anche precisato che tali “meccanismi di incentivazione alla prosecuzione del rapporto … presuppongono che debba prendersi a riferimento, per il calcolo della pensione, la retribuzione maturata di esercizio dell’opzione. Quando, infatti, il legislatore consente il prolungamento consente il prolungamento del rapporto di lavoro a seguito dell’esercizio di opzioni per le quali appresta (come quelle previste dalla L. n. 407 del 1990, art. 6 ovvero per quelle disciplinate dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 3) benefici consistenti in una maggiorazione del trattamento pensionistico assimilabile al supplemento di cui alla L. n. 155 del 1981, art. 7 ovvero in un incremento della percentuale annua di commisurazione alla retribuzione del trattamento medesimo, i contributi maturati nel periodo di svolgimento dell’attività lavorativa successivo all’opzione vanno a “finanziare” tali benefici, che vengono erogati utilizzando, appunto, il relativo maggiore apporto (altrimenti non avrebbero copertura), mentre non muta l’importo della retribuzione pensionabile, che resta quello del tempo in cui, senza l’esercizio dell’opzione, sarebbe cessato automaticamente il rapporto di lavoro come effetto del compimento dell’età per il pensionamento di vecchiaia da parte dell’assicurato”.

Pertanto, come pure è stato precisato con la citata pronuncia, i detti incentivi “non possono essere riconosciuti” “procedendo alla rivalutazione, ai sensi e nei termini di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 3, comma 5, e art. 7, comma 4, della retribuzione maturata al tempo in cui (l’assicurato) ebbe ad esercitare l’opzione”.

Tali principi vanno ribaditi in questa sede, risultando, peraltro, inammissibile il motivo di ricorso incidentale condizionato, con il quale l’ A. lamenta la omessa motivazione in ordine alla asserita “ammissione di debito” da parte dell’INPS ex art. 1988 c.c., che sarebbe contenuta nella circolare dell’istituto n. 243/1993.

A parte, infatti, ogni considerazione sulla natura di atto interno, oltre che generale e astratto della detta circolare nonchè sul contenuto della stessa (peraltro anteriore alla riforma del 1995 e al D.Lgs. 562 del 1996), la censura è generica e inammissibile, in quanto trattasi di questione nuova, sulla quale manca nel ricorso incidentale qualsiasi indicazione specifica in ordine all’avvenuta deduzione davanti ai giudici di merito (v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336), non essendo all’uopo sufficiente il semplice richiamo alla detta circolare fatto nella sentenza di primo grado, riportato in ricorso.

Tanto basta per accogliere il ricorso principale, rigettandosi quello incidentale, e per cassare la impugnata sentenza, che (ritenendo soppresso il Fondo ed abrogata la relativa disciplina ed accogliendo un calcolo con un preteso “unico canone rivalutativo”, sulla base di un’unica retribuzione di riferimento rivalutata all’epoca della cessazione del rapporto) ha chiaramente disatteso i principi sopra richiamati.

Il giudice di rinvio che si designa nella Corte di Appello di Venezia, provvederà, attenendosi ai principi e alle indicazioni di cui sopra e statuirà anche sulle spese di legittimità.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

 

 

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