Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5711 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 5711 Anno 2014
Presidente: LUCCIOLI MARIA GABRIELLA
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
COMUNE DI VASTO, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in
Roma, al viale G. Mazzini n. 6, presso l’avv. STEFANO LUPIS, unitamente all’avv. DOMENICO CONTI del foro di Vasto, dal quale è rappresentato e difeso in
virtù di procura speciale a margine del ricorso _ C040 GROVR RICORRENTE

contro
DELL’ARCIPRETE ROMOLO, elettivamente domiciliatt, in Roma, alla via G.
Mazzini n. 119, presso l’avv. ORESTE BISAZZA TERRACINI, unitamente all’avv. GIULIANO MILIA del foro di Pescara, dal quale è rappresentato e difeso in
virtù di procura speciale a margine del controricorso – C

LL »1 1. LO 14 41 A
CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Corte di Appello di L’Aquila n. 956/07, pubblicata il 20

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Data pubblicazione: 12/03/2014

novembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 novembre
2013 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Francesca CERONI, la quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — L’ing. Romolo Dell’Arciprete promosse nei confronti del Comune di
Vasto il procedimento arbitrale previsto dalla convenzione stipulata il 13 dicembre 1983, n. 3110, chiedendo il riconoscimento del compenso dovutogli per la redazione del progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primaria incluse nel
piano per le attività produttive in località Incoronata
1.1. — Con lodo sottoscritto il 6 novembre 2002, il collegio arbitrale ritenne
che le prestazioni professionali poste a fondamento della domanda costituissero
oggetto di un incarico distinto da quello conferito con la convenzione, e dichiarò
pertanto la nullità del contratto di prestazione d’opera professionale, per difetto
della forma scritta richiesta ad substantiam, e la conseguente invalidità della clausola compromissoria, declinando la propria competenza.
2. — L’impugnazione proposta dall’ing. Dell’Arciprete è stata accolta dalla
Corte d’Appello di L’Aquila, che con sentenza del 20 novembre 2007 ha dichiarato la nullità del lodo arbitrale, e, pronunciando in sede rescissoria, ha condannato
il Comune di Vasto al pagamento della somma di Euro 129.938,70, oltre interessi
legali dal 25 maggio 1994.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che erroneam ente gli arbi-

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udito l’avv. Conti per il ricorrente;

tri avessero declinato la propria competenza, dal momento che in ordine all’esistenza di un valido rapporto contrattuale e di una valida clausola compromissoria
si era formato il giudicato, per effetto di due sentenze pronunciate in altrettanti

sentenza emessa il 30 ottobre 1996 il Tribunale di Vasto aveva accolto l’opposizione proposta dal Comune avverso il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento del compenso richiesto dal professionista per la progettazione del I e II
stralcio del primo lotto del piano per gl’insediamenti produttivi, ritenendo che la
controversia fosse devoluta al giudizio degli arbitri; con sentenza n. 571/99, il Tribunale di Pescara aveva invece accolto l’opposizione proposta dal Dell’Arciprete
avverso l’esecuzione promossa dal Comune per il recupero delle spese processuali
liquidate nella predetta sentenza, dichiarando compensato il credito dell’Amministrazione con quello maggiore vantato dal professionista per le sue competenze
professionali. Ha ritenuto la Corte che le predette sentenze, riferendosi a crediti
derivanti dalla convenzione stipulata il 13 dicembre 1983, presupponessero implicitamente ma necessariamente la validità del rapporto di prestazione d’opera professionale, con la conseguente esclusione della possibilità di rimettere in discussione la competenza degli arbitri.
Nel merito, la Corte ha poi rilevato che il Comune non aveva sostanzialmente
contestato il proprio debito, la cui esistenza era stata riconosciuta dalla Giunta
municipale con delibera dell’8 aprile 1987, n. 584, la quale, pur non essendo stata
seguita dalla stipulazione di un’apposita convenzione, era stata espressamente adottata a ratifica e sanatoria dell’incarico già conferito, oltre a riferirsi ad un’attività professionale già espletata. Lo stesso Comune aveva poi ammesso che tale attività costituiva una prosecuzione dell’incarico conferito con la convenzione del 13

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giudizi precedentemente svoltisi tra le medesime parti. Ha rilevato infatti che con

dicembre 1983, ed aveva comunicato al difensore del professionista di aver provveduto all’inserimento del credito in questione tra i debiti fuori bilancio, per la cui
estinzione era stato richiesto un mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti.

sivamente condizionato al finanziamento delle opere progettate, rilevando che la
delibera n. 584/87 richiamava espressamente la convenzione del 13 dicembre
1983, la quale subordinava il pagamento soltanto all’approvazione degli elaborati
progettuali da parte del Consiglio comunale, dell’organo regionale di controllo e
della Regione, il cui intervento non era stato contestato. Rilevato infine che la
convenzione non indicava la misura del rimborso forfettario delle spese dovuto al
professionista, ha ritenuto che dovesse farsi riferimento alla vigente tariffa professionale, richiamata anche nella delibera n. 584/87, affermando che la percentuale
da quest’ultima indicata non costituiva un limite assoluto: ha pertanto liquidato il
rimborso nella misura del 30% degli onorari, in considerazione della complessità
della progettazione e dell’intervenuta approvazione delle parcelle da parte del
competente Consiglio dell’Ordine.
3. — Avverso la predetta sentenza il Comune propone ricorso per cassazione,
articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Il Dell’Arciprete resiste con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, il Comune denuncia la violazione
e la falsa applicazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ., nonché
il difetto di motivazione, sostenendo che, nell’attribuire efficacia di giudicato alla
sentenza emessa dal Tribunale di Vasto il 30 ottobre 1996, la Corte di merito non
ha considerato che essa non recava una specifica statuizione in ordine alla validità

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La Corte ha inoltre escluso che il riconoscimento del compenso fosse sospen-

della convenzione stipulata il 13 dicembre 1983, avendo pronunciato soltanto in
ordine alla validità della clausola compromissoria in essa contenuta, e richiamata
dalla delibera n. 584/87. La sentenza impugnata ha confuso i due profili, senza

invocato non già la convenzione, ma la delibera, ed il Tribunale non aveva verificato l’identità delle prestazioni dalle stesse previste. Secondo il ricorrente, neppure
la sentenza n. 571/99 del Tribunale di Pescara recava alcuna statuizione in ordine
alla validità della convenzione, essendosi limitata a decidere sull’opposizione a
precetto da lui proposta per far valere la compensazione tra il credito azionato in
via esecutiva ed il proprio credito derivante da altre causali, diverse dalla progettazione delle infrastrutture del piano per gli insediamenti produttivi.
1.1. — La censura è inammissibile.
Il controricorrente ha infatti eccepito l’inammissibilità dell’intero ricorso, per
violazione dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., assumendo che nella copia dell’atto a
lui notificata mancano due pagine, il cui contenuto, indispensabile per la comprensione delle doglianze avversarie, non è desumibile dalle altre pagine, con la
conseguente impossibilità di predisporre un’adeguata difesa; a sostegno di tale eccezione, ha prodotto la copia del ricorso, la quale risulta effettivamente incompleta, in quanto mancante delle pagine 9 e 10, recanti l’ultima parte del primo motivo
d’impugnazione e la rubrica del secondo motivo. L’assenza della rubrica non nuoce tuttavia all’intelligibilità di quest’ultima censura, il cui tenore, così come quello
degli altri quattro motivi, è chiaramente ricostruibile in base alla lettura delle pagine residue, mentre realmente incomprensibile, senza la parte mancante, risulta il
primo motivo, mutilato delle considerazioni relative alla sentenza del Tribunale di
Vasto e del riferimento a quella del Tribunale di Pescara, nonché del quesito di di-

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avvedersi che nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo l’opponente aveva

ritto, destinato a riassumere il contenuto dell’intera censura. La dichiarazione d’inammissibilità dev’essere pertanto limitata al primo motivo d’impugnazione, non
potendo essere estesa all’intero ricorso, in mancanza di un’apprezzabile lesione del

in contrasto con gli altri motivi, ha dimostrato di averne correttamente inteso il
contenuto (cfr. Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4112; Cass., Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 24656; Cass., Sez. II, 22 gennaio 2010, n. 1213).
2. — Con il secondo motivo, il Comune deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1325, 1346, 1362 e 1363 cod. civ., nonché il difetto di motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che le
prestazioni fatte valere nel giudizio arbitrale costituivano una prosecuzione dell’incarico conferito con la convenzione del 13 dicembre 1983, la quale doveva invece considerarsi ormai estinta, avendo le parti adempiuto le rispettive obbligazioni. La convenzione aveva infatti ad oggetto la redazione del piano per gl’insediamenti produttivi, mentre la delibera n. 584/87 riguardava la progettazione esecutiva di tutte le infrastrutture da realizzarsi nell’area interessata dal piano stesso,
la quale era stata affidata allo stesso professionista soltanto per ragioni di opportunità ed urgenza, non potendo il Dell’Arciprete vantare alcun diritto di preferenza
rispetto ad altri professionisti.
3. — Con il terzo motivo, l’Amministrazione lamenta la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 1326 e 1350 cod. civ., ribadendo che correttamente il collegio arbitrale aveva dichiarato la nullità del contratto di prestazione d’opera professionale per difetto di forma, in quanto la delibera n. 584/87 non solo non si era
mai tradotta in un contratto scritto stipulato tra il legale rappresentante del Comune ed il professionista, ma era stata anzi adottata proprio per ovviare all’avvenuta

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diritto di difesa del controricorrente, il quale, svolgendo puntuali argomentazioni

esecuzione dell’incarico in assenza di un atto formale di conferimento dell’incarico„Sr, 65, 4. — Con il quarto motivo, il Comune denuncia la violazione e la falsa appli-

nendo che, nell’affermare che il pagamento del compenso era subordinato esclusivamente all’approvazione del progetto, la Corte di merito non ha tenuto conto da
un lato del tenore della convenzione stipulata il 13 dicembre 1983, la quale si limitava a fissare i termini e le modalità del pagamento, dall’altro dell’autonomia
della delibera n. 584/87, che subordinava il relativo diritto al finanziamento delle
opere. Tale condizione, desumibile anche per implicito o da fatti concludenti, risultava nella specie da numerosi elementi acquisiti agli atti, e segnatamente dalla
contestuale previsione della necessità del finanziamento, da una nota inviata al
professionista il 5 gennaio 1994, dal parere reso dal Comitato regionale di controllo il 4 maggio 1987, dall’avvenuta corresponsione del compenso relativo all’unico
lotto finanziato e dalla stessa insistenza con cui il professionista aveva sostenuto
in giudizio l’avvenuto finanziamento delle opere. Nessuna prova era stata peraltro
fornita al riguardo, essendosi il Dell’Arciprete limitato a produrre gli avvisi con
cui la Giunta regionale aveva comunicato l’avvio del relativo procedimento e l’inclusione delle opere tra gl’interventi programmati, ed avendo dimostratoKavvenuta
erogazione dei fondi necessari soltanto per il I stralcio del 1 lotto.
5. — Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13 della legge 2 marzo 1949, n. 143, nonché il difetto di motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto il
rimborso forfettario delle spese generali nella misura richiesta dal Dell’Arciprete,
senza considerare che, non avendo egli fornito la prova degli esborsi sopportati,

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cazione degli artt. 1353 e 2697 cod. civ., nonché il difetto di motivazione, soste-

flpe_Att9,

gli stessi dovevano ritenersi compresi nell’onorario calcolato a percentuale, o comunque dovevano essere liquidati nella misura del 20%, prevista dalla delibera
d’incarico.

affermando che, nell’addurre a fondamento della decisione l’avvenuta ricognizione
del debito da parte dell’Amministrazione, la Corte di merito non ha considerato
che l’inclusione dell’obbligazione tra i debiti fuori bilancio non comporta un riconoscimento della sussistenza del credito, ma spiega efficacia esclusivamente a fini
contabili ed amministrativi; essa ha inoltre trascurato che nella specie la delibera
non solo non recava una rinuncia ad avvalersi della condizione sospensiva cui era
assoggettato il pagamento, ma prevedeva l’ulteriore condizione della concessione
di un mutuo da parte della Cassa Depositi e Prestiti; l’assoggettamento del credito
a condizione impediva d’altronde la sua inclusione tra i debiti fuori bilancio, ai
sensi della circolare del Ministro dell’interno 20 settembre 1993, n. 21/93, trattandosi di una procedura riservata ai crediti immediatamente esigibili.
7. — I motivi sono inammissibili.
Con il terzo ed il sesto motivo, l’Amministrazione propone separatamente
censure di violazione di legge e vizio di motivazione, senza far seguire all’illustrazione delle stesse una formulazione chiara ed univoca del quesito di diritto e del
momento di sintesi rispettivamente prescritti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (abrogato dall’art. 47, comma primo, lett. d), della legge 18 giugno 2009, n. 69, ma
tuttora applicabile nel giudizio in esame, ai sensi dell’art. 58, comma quinto, della
medesima legge, avendo l’impugnazione ad oggetto una sentenza pubblicata in data anteriore alla sua entrata in vigore: cfr. Cass., Sez. III, 7 novembre 2013, n.
25058; 24 marzo 2010, n. 7119; Cass., Sez. II, 27 settembre 2010, n. 20323). La

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6. — Con il sesto motivo, il Comune denuncia l’erroneità della motivazione,

questione giuridica sottoposta a questa Corte è prospettata in termini piuttosto vaghi, risolvendosi in un interrogativo astratto privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie esaminata nella sentenza impugnata ed alla regola di diritto dalla stessa

indicazione riassuntiva delle ragioni per cui la ricorrente ritiene insufficiente o
contraddittoria la motivazione. La stessa genericità si riscontra nell’enunciazione
dei quesiti e delle sintesi distintamente formulati a conclusione del quarto e del
quinto motivo, con cui la ricorrente denuncia cumulativamente violazioni di legge
e vizi di motivazione, mentre il secondo motivo, anch’esso comprendente censure
di entrambi i generi, si conclude con un enunciato che fonde in un unico contesto
le due proposizioni, in tal modo impedendo di distinguere la questione di diritto
che si chiede a questa Corte di risolvere dall’individuazione dei fatti in ordine al
cui accertamento si sollecita il controllo logico-formale della motivazione.
Il quesito di diritto, che ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. deve accompagnare l’illustrazione di ciascun motivo d’impugnazione nei casi previsti dall’art.
360, primo comma, nn. 1-4, deve invece consistere, com’è noto, in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta, negativa od affermativa, che ad
esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame
(cfr. Cass., Sez. Un., 28 settembre 2007, n. 20360; 30 ottobre 2008, n. 26020). La
sua formulazione, pertanto, non può risolversi in una generica richiesta rivolta alla
Corte di stabilire se sia stata violata una certa norma, ma postula l’enunciazione,
da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del
provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. Un., 23 settembre 2013, n.

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applicata, mentre l’individuazione dei fatti controversi non è accompagnata da una

21672; Cass., Sez. III, 19 febbraio 2009, n. 4044). 11 quesito, dovendo investire la
ratio decidendi della sentenza impugnata e proporne una alternativa e di segno
opposto, deve dunque comprendere l’indicazione sia della regula juris adottata nel

retto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (cfr. Cass., Sez.
lav., 26 novembre 2008, n. 28280; Cass., Sez. III, 30 settembre 2008, n. 24339).
La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il motivo inammissibile, non potendo il quesito essere desunto dal contenuto della censura
alla quale si riferisce, in quanto rispetto al sistema processuale previgente, che già
richiedeva nella redazione del motivo l’indicazione della norma violata, la peculiarità dell’innovazione introdotta dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 consiste
proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionale alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e,
quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica di questa Corte (cfr.
Cass., Sez. I, 24 luglio 2008, n. 20409). Quanto poi all’indicazione del fatto controverso e delle ragioni per cui si ritiene inadeguata la motivazione, richiesta per il
caso in cui la sentenza sia impugnata ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la
relativa prescrizione è collegata ad un’esigenza di chiarezza, emergente dall’art.
366-bis, la quale impone, nella formulazione del motivo, un distinto momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto) che circoscriva puntualmente i limiti della
critica alla motivazione in fatto, in modo da non ingenerare incertezze in sede di
valutazione della sua ammissibilità (cfr. Cass., Sez. Un., 1° ottobre 2007, n.
20603; Cass., Sez. V, 8 marzo 2013, n. 5858; Cass., Sez. III, 18 luglio 2007, n.
16002). Tale necessità, in quanto strumentale ad un’immediata comprensione delle
critiche rivolte alla sentenza impugnata, non risulta di per sé ostativa alla proposi-

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provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume cor-

zione di un motivo d’impugnazione che cumuli in sé la denuncia di violazioni di
legge e vizi di motivazione, a condizione però che lo stesso sia accompagnato dalla distinta formulazione del quesito di diritto e del momento di sintesi, in modo da

l’applicazione delle norme di diritto ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto
(cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass., Sez. III, 20 maggio 2013, n.
12248; Cass., Sez. II, 23 aprile 2013, n. 9793).
8. — Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come
dal dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il Comune di Vasto al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00,
ivi compresi Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli
accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013, nella camera di consiglio della
Prima Sezione Civile

consentire di discernere prontamente le doglianze relative all’interpretazione o al-

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