Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5711 del 02/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 02/03/2020), n.5711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20955-2017 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI,

rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO GUARALDI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI

SANTI APOSTOLI 66, presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO GHINI,

che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

CASSA DEI RISPARMI DI FORLI’ E DELLA ROMAGNA SPA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO, 108, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO MALIZIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALBERTO GAMBERINI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata il

25/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

G.G. proponeva opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale aveva liquidato i compensi in favore del CTU contabile nominato nella causa intentata dall’opponente nei confronti della banca resistente.

Il Tribunale con ordinanza del 25 gennaio 2017, dopo avere escluso la possibilità di dedurre come motivo di opposizione l’inadeguatezza della consulenza svolta, in quanto si trattava di valutazione rimessa al giudice del merito, riteneva corretto il criterio della liquidazione a percentuale, non potendosi far ricorso al criterio residuale delle vacazioni, osservando che la base di calcolo era addirittura inferiore a quella indicata dalla stessa attrice nell’atto introduttivo del giudizio.

Quindi, dopo avere reputato condivisibile il ricorso al D.M. 30 maggio 2002, art. 2, e che il compenso liquidato rientrava tra il minimo ed il massimo previsto dalla legge, senza che l’opzione, nell’ambito di tale forbice, fosse sindacabile, riteneva fondata l’opposizione solo nella parte relativa al riconoscimento delle spese vive, che non erano state specificamente documentate.

Pertanto, confermava il decreto, con la sola esclusione delle spese vive, ma compensava le spese del giudizio di opposizione per un quinto, ponendo la residua parte, come liquidata in dispositivo, a carico della stessa opponente.

Avverso tale ordinanza propone ricorso G.G. sulla base di un motivo.

Le intimate resistono con controricorso.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da parte sia della banca che della M. sul presupposto della sua tardiva proposizione. Assumono le controparti che alla fattispecie, stante il richiamo operato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, troverebbero applicazione le previsioni di cui all’art. 702 bis c.p.c., che prevede che l’appello debba essere proposto nei trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.

Mutatis mutandis, ne discende che anche il ricorso per cassazione per essere tempestivo, deve essere proposto nei sessanta giorni dalla comunicazione (avvenuta nella fattispecie in data 25/1/2017), con la conseguenza che non potrebbe la parte avvalersi del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.

La deduzione è però priva di fondamento.

Ed, invero, se il richiamo alla disciplina dei procedimenti sommari è stato utilizzato anche dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 106/2016) al fine di individuare comunque un termine perentorio entro il quale proporre l’opposizione avverso il decreto emesso dal giudice in tema di liquidazione delle spese di giustizia, attesa l’abrogazione ad opera del D.Lgs. n. 150 del 2011 del precedente termine di venti giorni (impedendo in tal modo che l’opposizione fosse suscettibile di proposizione sine die), tuttavia ciò appare limitato alla sola individuazione del termine per proporre opposizione, ma in assenza di una diversa espressa indicazione, non appare suscettibile di estensione anche al fine di individuare il diverso termine per la proposizione del ricorso straordinario avverso la decisione adottata all’esito del giudizio di opposizione.

Reputa il Collegio che in tal senso risulti ancora condivisibile la giurisprudenza maturata nella vigenza della L. n. 319 del 1980 (le cui previsioni, quanto meno dal punto di vista sistematico, la successiva disciplina del D.P.R. n. 115 del 2002 ricalca) a mente della quale (cfr. Cass. S.U. n. 1952/1996) in tema di compensi a periti, consulenti tecnici, interpreti o traduttori per operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria, l’ordinanza emessa dal tribunale a norma della L. n. 319 del 1980, art. 11, è resa in camera di consiglio, in confronto di più parti, ed incide con carattere di definitività su diritti soggettivi. Pertanto, essa, non essendo altrimenti impugnabile, è soggetta a ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., il cui termine breve di proposizione decorre, a norma dell’art. 739 c.p.c., dalla notificazione dell’ordinanza e non dalla comunicazione eseguita a cura della cancelleria (conf. Cass. n. 3935/2001).

In assenza quindi di notificazione dell’ordinanza impugnata, deve quindi reputarsi applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. (Cass. n. 13037/1992), che risulta essere stato rispettato nel caso in esame (ordinanza pubblicata in data 251-2017 e ricorso notificato in data 25-7-2017).

L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nella parte in cui il provvedimento impugnato ha condannato la ricorrente al parziale rimborso delle spese di lite in favore delle controparti. Si rileva che il Tribunale aveva in parte accolto l’opposizione proposta avverso il decreto di liquidazione, con la conseguenza che le spese di lite non potevano essere poste a carico della parte risultata sia pure parzialmente vittoriosa, potendosi al più pervenire alla compensazione integrale.

Il motivo, che si sottrae alla deduzione di inammissibilità della Cassa di Risparmio, emergendo chiaramente come lo stesso si appunti unicamente nei confronti del capo concernente la regolamentazione delle spese di lite, è infondato.

Questa Corte ha di recente avuto modo di precisare che (cfr. Cass. n. 3438/2016) nel regolare le spese di lite in caso di reciproca soccombenza, il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale, non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell’operare una ideale compensazione tra essi, sempre che non sussistano particolari motivi, da esplicitare in motivazione, per una integrale compensazione o comunque una modifica del carico delle spese in base alle circostanze di cui è possibile tenere conto ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c., nel testo temporalmente vigente. In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale, nella reciproca soccombenza delle parti, aveva condannato l’attore a pagare le spese residue all’esito della parziale compensazione per aver causato in via prevalente gli oneri processuali, proponendo una domanda per un importo notevolmente maggiore di quello dovuto e così determinando lo svolgimento del processo, nonostante il pagamento quasi integrale avvenuto quattro giorni dopo la proposizione del ricorso, solo per accertare che il residuo di poche centinaia di Euro ancora dovuto non era pari a quello preteso.

Si è precisato altresì che la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento.

Orbene, ed avuto riguardo al caso di specie, tenuto conto che si trattava di giudizio di opposizione avverso decreto di liquidazione, risulta che la ricorrente aveva dedotto, con la formulazione di distinti motivi di opposizione, plurime doglianze avverso il decreto impugnato, e che all’esito del giudizio sono state tutte disattese, tranne quella concernente la liquidazione delle spese vive, con la detrazione dall’importo complessivamente riconosciuto al CTU della somma di soli Euro 170,00.

Ebbene, se si ha riguardo al numero ed alla consistenza dei motivi di opposizione, è evidente che l’esito della controversia ha visto riconosciuta la prevalente soccombenza della ricorrente, che ha ottenuto una riduzione del compenso di poco meno di duecento Euro a fronte di una liquidazione che ammontava ad oltre 6.500 Euro.

Ne consegue che non appare pertinente il richiamo a Cass. n. 21069/2016, la cui massima recita che in caso di parziale accoglimento dell’unica domanda proposta, l’attore, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009 ed applicabile “ratione temporis”, non può mai essere condannato, neppure in parte, al pagamento delle spese processuali, le quali, ove non siano state interamente poste a carico del convenuto, possono solo essere, totalmente o parzialmente, compensate tra le parti, in quanto, ove si prenda in considerazione la presenza di plurimi motivi di opposizione, deve escludersi che ci si trovi in presenza di una domanda unica.

Ma ancor più risolutiva appare al Collegio la considerazione secondo cui la domanda oggetto di causa è in realtà quella di liquidazione dei compensi del CTU, rispetto alla quale la ricorrente si pone nella qualità di convenuta.

Le contestazioni dalla medesima mosse avverso la quantificazione operata dal giudice, sono risultate all’esito del giudizio di opposizione nella quasi totalità infondate, confermandosi quindi, in relazione alla domanda proposta, la prevalente soccombenza della G., a carico della quale, con valutazione non sindacabile in questa sede, sono state poste le spese nella misura residua all’esito della parziale compensazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida per ognuno in complessivi Euro 700,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020

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