Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5708 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 5708 Anno 2014
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA
sul ricorso n. 18785 dell’anno 2008 proposto da:
MINADEO SORENSEN GIUSEPPINA
Elettivamente domiciliata in Roma, VIA Monte Zebio,
n. 30, nello studio degli avv.ti Alessandra Mari e
Roberto pera, che la rappresentano e difendono,
giusta procura speciale autenticata dal Consolato
d’Italia in Copenaghen (rep. n. 85/2008)..
– C4: Mb. c
Ucga
VS\J
ricorrente

1

Data pubblicazione: 12/03/2014

contro
KNUDSEN PEDER FISKER

elettivamente domiciliate in Roma, via Lazio, n.

rappresenta e difende, giusta procura speciale in
calce al controricorso.
controricorrente
nonché contro
SORENSEN PER FLOIJSTRUP
intimato

avverso le sentenza della Corte di appello di Roma,
n. 580, depositata in data 12 febbraio 2008.
sentita la relazione all’udienza del 4 luglio 2013
del consigliere dott. Pietro Campanile;
udite le richieste del Procuratore Generale, in
persona del sostituto dott. Lucio Capasso, il
quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
l -Con atto di citazione notificato in data 22 giu-

gno 1996 la signora Giuseppina Minadeo, premesso di
aver contratto matrimonio, trascritto in Italia,
con il cittadino danese Per Flojstrup Sorensen; che
il coniuge aveva acquistato un appartamento sito
in Roma, via Pirro Ligorio n. 23, con atto pubblico, al quale lei non aveva partecipato, del 24 gen-

.

2

20/C, nello studio dell’avv. Massimo Dotto, che lo

naio 1983 ai rogiti del notaio Fagiani; che tale
bene, adibito, con abituale frequenza, ad abitazione della famiglia per i soggiorni in Italia durante

niugi in Danimarca), era caduto in

comunione le-

gale; che nell’anno 1995, essendo già da tempo subentrata una crisi coniugale, era intervenuto un
accordo in forza del quale, nell’ambito della divisione dei beni comuni, il Sorensen avrebbe ceduto
all’attrice la proprietà dell’intero immobile; che
successivamente, non risultando tale impegno onorato, aveva scoperto, nel proporre azione intesa alla
realizzazione del citato accordo, che il marito
aveva alienato l’appartamento al concittadino Peder
Fisker Knudesn, con atto del 26 giugno 1996, trascritto il primo luglio successivo, tanto premesso, chiedeva, nei confronti del Sorensen e del Knudesen, che il Tribunale di Roma dichiarasse la nullità o l’inefficacia della suddetta compravendita,
riconoscesse il suo diritto di proprietà sul predetto bene e, in via subordinata, le attribuisse
una somma a titolo di risarcimento del danno.
2 – Si costituiva il Sorensen, aderendo sostanzialmente alla domanda, ed affermando di essere stato
costretto a cedere il bene – in comunione legale

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vari periodi dell’anno (risiedendo stabiàénte i co-

con l’attrice – per sottrarlo ai creditori e, comunque, in garanzia di un debito contratto il Kundsen; quest’ultimo, chiedeva il rigetto della doman-

della Minadeo ai fini della validità del contratto
di compravendita e di non essere stato a conoscenza
dell’accordo circa la divisione dei beni fra i coniugi, non trascritto né in Italia né in Danimarca.
3 – Con sentenza depositata in data 1 0 aprile 2003
l’adito Tribunale rigettava le domande proposte in
via principale dalla Minadeo, accogliendo la pretesa risarcitoria dalla stessa avanzata nei confronti del Sorensen, condannato al pagamento in suo favore della somma di C 150.000,00.
4 – Per quanto qui maggiormente interessa, veniva
osservato che, dovendosi applicare, ai sensi degli
artt. 29 e 30 della 1. n. 218 del 1995, la legge
danese, la quale, con specifico riferimento
all’art. 18 della 1. n. 37 del 5 gennaio 1995, prevede l’annullamento dell’atto di alienazione di un
bene ricadente in comunione legale ove compiuto
senza il consenso di uno dei coniugi in relazione a
immobile “adibito ad abitazione familiare o sede
dell’impresa”, sempre che “l’acquirente o il creditore ipotecario sapeva o avrebbe dovuto sapere che

,

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da, sostenendo che non era necessario il consenso

il coniuge non aveva diritto di compiere l’atto”,
la domanda principale non poteva ritenersi fondata,
dovendosi escludere che la suddetta casa romana po-

comportando tale esclusione l’assenza di qualsiasi
rilievo in merito alla posizione soggettiva
dell’acquirente.
Veniva, quindi, affermata la validità del contratto
concluso dal Sorensen ed Knudsen, al quale non era
neppure opponibile l’obbligo assunto dal primo di
cessione dell’intero immobile all’attrice. Sotto
tale profilo, concorrente con quello inerente alla
lesione dei diritti derivanti dalla comunione legale dei beni, veniva evidenziata la responsabilità
del Sorensen, il quale veniva condannato al pagamento della somma sopra indicata, liquidata sulla
base del prezzo, opportunamente rivalutato, della
più volte ricordata compravendita.
5 – La Corte di appello di Roma, con la sentenza
indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto dalla Minadeo, osservando, quanto al rilevo
inerente all’interpretazione, anche sulla base della giurisprudenza danese, della norma di cui
all’art. 18 della 1. n. 37 del 1995, che la tesi
secondo cui per abitazione familiare dovesse inten-

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tesse qualificarsi come “abitazione familiare”,

dersi anche la casa utilizzata per ragioni di vacanza o di studio, si fondava su un unico e risalente arresto, non risultando per altro adeguata-

dell’appartamento romano.
Veniva altresì rigettato il motivo di appello inerente alla stima dell’appartamento, di cui era stata denunciata l’incongruità per difetto, osservandosi come non fosse stata fornita alcuna prova circa il maggior valore rispetto a quello ottenuto mediante la rivalutazione del prezzo di vendita.
6 – Per la cassazione di tale decisione la Minadeo
propone ricorso, affidato a tre motivi, illustrati
da memoria, cui il Knudsen resiste con controricorso, mentre il Sorensen – nei cui confronti risulta
rinnovata la notificazione del ricorso come disposto da questa Corte con ordinanza del 12 febbraio
2013 – non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

7 – Con il primo motivo si deduce, formulandosi
idoneo quesito di diritto, violazione degli artt.
14,15, 29 e 30 della 1. n. 218 del 1995 e del diritto danese richiamato da tali norme, nonché vizio
di omessa, insufficiente e contraddittoria motiva-

6

mente dimostrati i tempi e le modalità di impiego

zione su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3
e n. 5, c.p.c..

potuto ignorare, dovendo applicare il diritto straniero, prescindere dal precedente giurisprudenziale, ancorché risalente nel tempo, invocato dalla
difesa della Minadeo, dovendo comunque disporre accertamenti in merito ai criteri interpretativi
adottati dalla giurisprudenza danese in relazione
all’art. 18 della 1. n. 37 del 1995.
8 – Con il secondo motivo si denuncia violazione
degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione
agli artt. 2727 e 2729 c.c., nonché vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5,
c.p.c., rilevandosi che il giudice, escludendo che
la casa romana fosse adibita ad abitazione familiare, avrebbe erroneamente valutato le risultanze
processuali.
Viene formulato il seguente quesito di diritto:
“Dica codesta ecc.ma Corte se, ai sensi degli artt.
115 e 116 c.p.c., il giudice di merito,
nell’accertare se un immobile sia adibito a casa di

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Si sostiene che la corte territoriale non avrebbe

abitazione della famiglia, sia tenuto a fare applicazione di tutte le prove esistenti in atti e disponibili, incluse le presunzioni semplici di cui

esperienza.
9 – I primi due motivi debbono essere esaminati
congiuntamente, in relazione alla loro intima connessione.
10 – Deve preliminarmente rilevarsi che i profili
inerenti ai denunciati vizi motivazionali sono
inammissibili, in quanto, ai sensi dell’art. 366
bis c.p.c., applicabile “ratione temporis” al presente procedimento, è del tutto carente, ai fini
dell’illustrazione del motivo quel momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità
(cfr. ex multis: Cass., S. U. n. 20603/2007; Cass.
n. 16002/2007; Cass., n. 8897/2008).
11 – In realtà il tema inerente alle modalità di
utilizzazione dell’appartamento romano, avendo la
ricorrente dedotto che veniva utilizzato dai coniugi “per i loro soggiorni in Italia (due mesi in autunno, due o tre settimane per le festività natali-

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agli artt. 2727 e 2729 c.c. e le nozioni di comune

zie e pasquali, fine settimane, ecc.), è totalmente
assorbito dalla fondatezza o meno della prima censura, nel senso che soltanto l’interpretazione sug-

zione familiare, secondo la richiamata norma danese, potrebbe consentire la valorizzazione dei dedotti soggiorni brevi e saltuari, tipici della c.d.
“seconda casa”.
12 – Non dubitandosi dell’applicabilità, ai fini
della riconduzione o meno dell’appartamento alienato alla comunione legale fra coniugi, della disciplina dettata dalle norme vigenti in Danimarca, dovendosi ivi individuare il luogo dove la vita matrimoniale si era prevalentemente localizzata, deve
confermarsi l’interpretazione resa dai giudici di
merito in relazione all’art. 18 della legge 5 gennaio 1955, n. 37.
Ed invero, tale norma è così formulata : “Un coniuge non può, senza il consenso dell’altro, alienare
o ipotecare un immobile in regime di comunione legale dei beni, se l’immobile è adibito ad abitazione familiare o se l’impresa gestita da entrambi
i coniugi o all’altro coniuge è legata ad esso”. ..
“Se un coniuge ha compiuto un atto come quello previsto dal comma precedente senza il necessario con-

9

gerita nel ricorso circa la nozione ampia di abita-

senso, l’altro coniuge può rivolgersi al giudice
per ottenere l’annullamento dell’atto, se
l’acquirente o il creditore ipotecario sapeva o

ritto di compere l’atto”.
13 – Risulta agevole comprendere come l’alienazione
dell’immobile adibito ad abitazione o ad impresa
familiare costituiscano un’eccezione al principio
della facoltà, per ciascun coniuge in comunione legale, di compiere atti di straordinaria amministrazione senza il consenso dell’altro coniuge.
Anche per tale ragione, costituendo un’eccezione
alla regola generale, il regime dell’annullabilità
degli atti compiuti senza il consenso dell’altro
coniuge, deve intendersi sottoposto a un criterio
di stretta interpretazione. Sotto tale profilo, appare ineccepibile l’esclusione dalla nozione di
“abitazione familiare”, da intendersi come luogo
dove è individuata la residenza della famiglia, ovvero dove il nucleo familiare vive abitualmente e
prevalentemente, tale da costituire – in Danimarca
come in Italia – l’habitat domestico, il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini
in cui si articola la vita familiare, della casa

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avrebbe dovuto sapere che il coniuge non aveva di-

romana utilizzata, come la stessa ricorrente sostiene, per periodi più o meno brevi di vacanza.
14 – Né può condividersi la tesi secondo cui

debba necessariamente tener conto dei precedenti
giurisprudenziali prodotti dalle parti, seppure risalenti nel tempo, oppure disporre accertamenti
circa i criteri di interpretazione adottati dai
giudici stranieri nazionali.
Ai quesiti in tal senso proposti dalla ricorrente
deve rispondersi negativamente, in quanto, a prescindere dal rilievo che i precedenti giurisprudenziali dalla stessa invocati non sono soltanto risalenti nel tempo, ma anteriori di qualche decennio
all’emanazione della legge danese n. 37 del 1995,
deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte,
condiviso dal Collegio, secondo cui il dovere del
giudice di ricercare le fonti del diritto deve intendersi posto anche con riferimento alle norme
giuridiche dell’ordinamento straniero (Cass., 24
giugno 2009, n. 14777), ma non implica l’obbligo
per il giudice di acquisire fonti giurisprudenziali
o dottrinarie che corroborino l’una o l’altra delle
possibili letture del testo normativo (Cass., 26
febbraio 2002, n. 2791).

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nell’interpretare la legge straniera il giudice

A tale soluzione questa Corte è pervenuta sia considerando che nel sistema straniero potrebbe non
essersi consolidato o anche neppure formato un

portata della norma da applicare, sia rappresentandosi l’evenienza che un’attività dì documentazione
in tale senso rischierebbe sempre di essere insufficiente o incompleta o non aggiornata, così da
condurre a risultati fuorvianti.
Non può omettersi di considerare che la valorizzazione dell’interpretazione della legge nel Paese di
riferimento postulerebbe in ogni caso l’attribuzione di un’efficacia vincolante al precedente
nell’ambito di quell’ordinamento.
Del resto, la Corte territoriale ha proceduto ad
una interpretazione della legge nazionale straniera
del tutto conforme al dato testuale, non contrastata da profili di illogicità o arbitrarietà.
15 – Il terzo motivo, con il quale, denunciandosi
violazione degli artt. 61, 191 e 194 c.p.c., nonché
vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e decisivo per
il giudizio, si deduce l’erroneità della valutazione del danno risarcibile, commisurato al valore
dell’appartamento indicato dalle parti nell’atto di

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orientamento giurisprudenziale o dottrinale sulla

cessione, senza aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, presenta vari profili di inammissibilità.

sopra svolti in merito alla necessità del momento
di sintesi conclusivo, anche qui, del tutto carente. Deve poi richiamarsi il costante orientamento
di questa Corte secondo cui giudizio sulla necessità ed utilità di disporre una consulenza tecnica
d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione, tanto più allorché il
giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto
della soluzione adottata (Cass., 25 luglio 2006, n.
16980; Cass., 3 marzo 2005, 4652; Cass., 8 marzo
2004, n. 4686; Cass., 16 luglio 2003, n. 11143
16 – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
In applicazione del criterio della soccombenza, la
Minadeo va condannata al pagamento in favore del
controricorrente delle spese processuali, che si
liquidano come in dispositivo.

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Valgano, quanto ai vizi motivazionali, i rilievi

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al

e

7.200,00, di cui C 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezi ne civile, il 4 luglio 2013.

presente giudizio di legittimità, liquidate in

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