Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5704 del 22/02/2022
Cassazione civile sez. trib., 22/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 22/02/2022), n.5704
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5143/2015 R.G. proposto da:
Z.N. e T.M., quali eredi di T.L.;
T.A.; TR.MA.; TA.GI.; C.G.,
quale procuratore di D.A.; tutti rappresentati e difeso,
per procura speciale in atti, dall’Avv. Domenico D’Arrigo, con
domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Paola Ramadori in Roma,
via M. Prestinari, n. 13;
– ricorrenti-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia – sezione staccata di Brescia, n. 3546/67/2014, depositata
luglio 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 gennaio 2022
dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Mauro Vitiello, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso;
udito l’Avv. Domenico D’Arrigo, per le parti ricorrenti.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Z.N. e T.M., quali eredi di T.L.; T.A., Tr.Ma., Ta.Gi. e D.A. impugnarono, con distinti ricorsi, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Brescia, gli avvisi di accertamento in materia di Irpef di cui all’anno d’imposta 2005, a ciascuno rispettivamente notificato, con i quali l’Agenzia delle entrate aveva loro contestato la plusvalenza, imponibile ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 67, comma 1, lett. b), realizzata pro quota da ognuno dei contribuenti attraverso la vendita (con contratto stipulato il 26 settembre 2005 e registrato il 7 ottobre 2005) di un’area sita nel Comune di Brescia, della quale erano divenuti comproprietari per successione mortis causa.
L’Ufficio aveva infatti ritenuto che pur essendo l’efficacia della cessione de qua sottoposta dalle parti alla condizione sospensiva della successiva stipula con il Comune di Brescia di una convenzione urbanistica, nella sostanza comunque deponessero per l’immediata efficacia traslativa della proprietà del fondo le circostanze della mancata fissazione di un termine entro il quale l’evento dedotto in condizione avrebbe dovuto verificarsi, della facoltà dell’acquirente di rinunciare unilateralmente alla condizione (e quindi di ritenere efficace il contratto a prescindere dall’avveramento di quest’ultima), e dell’avvenuto pagamento (del quale le parti avevano dato atto nel contratto) dell’intero importo del considerevole prezzo d’acquisto (di oltre quattro milioni di Euro), prima ancora che si avverasse la condizione.
Sulla base di tali elementi l’Agenzia aveva quindi sostenuto che l’effetto traslativo della cessione si fosse prodotto già al momento della stipula del contratto, nel 2005, e non, come sostenuto dai contribuenti, solo successivamente, all’atto della conclusione, nel 2006, della convenzione urbanistica tra i cedenti ed il Comune di Brescia.
Pertanto, a detta dell’Amministrazione, ai fini tributari, la plusvalenza si era realizzata nello stesso anno della formalizzazione del negozio, ovvero nel periodo d’imposta 2005., e non nel 2006, come affermato dai contribuenti nei rispettivi ricorsi introduttivi.
L’adita CTP rigettò il ricorso. Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia-sezione staccata di Brescia, con la sentenza n. 3546/67/2014, depositata 11 luglio 2014, lo ha rigettato.
I contribuenti hanno allora proposto ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, assumendo che il giudice a quo avrebbe errato nell’escludere la nullità degli accertamenti che, nella loro motivazione, contenevano l’indicazione dell’aliquota media applicata, ma non esplicitavano “il complesso meccanismo con il quale alla stessa si perviene”.
Il motivo è ammissibile, a differenza di quanto eccepito in maniera apodittica dalla controricorrente, ma infondato.
Infatti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 2, per quanto qui rileva, prescrive, a pena di nullità, che l’avviso di accertamento rechi ” l’indicazione (…) delle aliquote applicate”, ed è pacifico, nel caso di specie, che gli atti impositivi contenessero l’indicazione dell’aliquota media applicata.
La stessa giurisprudenza di legittimità, in materia, riguarda infatti fattispecie nelle quali l’atto impositivo difettava dell’indicazione dell’aliquota applicata. In questo senso, si è detto che ” In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento che non riporti l’aliquota applicata, ma solo l’indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, il quale richiede che sia evidenziata l’aliquota applicata su ciascun importo imponibile, al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all’ausilio di un esperto. L’omissione di tale indicazione determina la nullità dell’atto, ai sensi dell’art. 42 cit., comma 3, senza che sia consentita una valutazione di merito circa l’incidenza che essa abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente (Cass. 11/06/2008, n. 15381; conforme Cass. 12/07/2018, n. 18389). Di fattispecie nelle quali era stata omessa l’indicazione dell’aliquota applicata si è occupata anche la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto invece necessaria l’allegazione specifica delle lesioni, al diritto di difesa del contribuente, che dalla predetta carenza motiva sarebbero derivate, chiarendo che ” In tema d’imposte sui redditi, l’avviso di accertamento che contenga solo l’indicazione dell’aliquota minima e massima applicata viola il principio di precisione e chiarezza delle “indicazioni” che è alla base del precetto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, incorrendo, pertanto, nella sanzione di nullità, fermo l’onere del contribuente, peraltro, di indicare le ragioni per le quali, sulla base dei dati riportati nell’atto, non gli è stato possibile pervenire all’immediata ed agevole individuazione dell’aliquota.” (Cass. 07/06/2016, n. 11682; conforme Cass. 24/07/2009, n. 17362, per la quale è onere del contribuente indicare le ragioni per le quali, sulla base dei dati riportati nell’atto, non gli è stato possibile pervenire all’immediata ed agevole individuazione dell’aliquota stessa).
Tanto premesso, deve quindi escludersi che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 2, contempli come causa espressa e tipica di nullità dell’accertamento la mancata indicazione del “meccanismo” di determinazione dell’aliquota applicata ed indicata nello stesso atto impositivo, non traducendosi la pretesa carenza in un vizio “formale” dell’atto impositivo, che ne determini l’eventuale nullità. Piuttosto, una volta indicata nell’atto l’aliquota applicata, ove il contribuente volesse contestarne la legittimità sostanziale, dovrebbe attingere il merito della pretesa impositiva, sotto il profilo del quantum, ciò che non avviene con il motivo in decisione.
Tanto meno poi potrebbe comunque ritenersi che la mancata indicazione del “meccanismo” di determinazione dell’aliquota media applicata ed indicata si sia tradotta, nel caso di specie, in un difetto di motivazione degli avvisi che abbia determinato una violazione effettiva del diritto di difesa dei contribuenti, che invero si sono limitati a dedurre in astratto la pretesa difficoltà di ricavare dati e criteri rilevanti ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 21, in materia di determinazione dell’imposta per gli altri redditi tassati separatamente, elementi che non possono di per sé soli ritenersi non conoscibili dai destinatari degli avvisi, in quanto gli uni (i dati relativi ai rispettivi redditi) appartenenti alla sfera dei medesimi contribuenti, gli altri (i criteri di calcolo da applicare) previsti ex lege dalla norma richiamata dagli stessi ricorrenti.
2. Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i contribuenti ricorrenti censurano la sentenza impugnata per la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), e degli artt. 1353, 1355 e 1360 c.c..
Assumono infatti i ricorrenti che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere che la condizione sospensiva pattuita dalle parti fosse invalida, o che fosse stata rinunciata dall’acquirente, e che la cessione del terreno fosse quindi efficace sin dalla stipula della compravendita, “senza considerare che la rinuncia non era avvenuta in forma scritta e che il pagamento dell’intero prezzo, avvenuto contestualmente all’atto, non comportava, atteso anche il successivo comportamento delle parti, rinuncia della condizione pattuita.” (cfr. ricorso, pag. 38). Pertanto, secondo i ricorrenti, l’effetto traslativo dell’area, presupposto necessario della plusvalenza imponibile, sarebbe intervenuto non nell’anno d’imposta accertato (2005), ma in quello successivo (2006), nel corso del quale la stipula della convenzione urbanistica tra i contribuenti ed il Comune di Brescia avrebbe determinato l’avveramento della condizione sospensiva.
Il motivo è inammissibile.
2.1. Deve innanzitutto rilevarsi che il mezzo non attinge la ratio decidendi evincibile dalla sentenza impugnata, nella parte in cui attribuisce alla CTR l’asserito errore nel considerare nulla la condizione sospensiva apposta alla compravendita perché priva dell’indicazione di un termine entro il quale avrebbe dovuto verificarsi l’effetto sospensivo o perché meramente potestativa. Infatti la motivazione della sentenza impugnata qualifica, incidenter tantum, come “nulla” non la clausola in questione del contratto di cessione, ma la successiva stipula della convenzione urbanistica del 2006 tra i contribuenti ed il Comune di Brescia, sul presupposto che i primi vi avrebbero partecipato a non domino, essendo già stato ceduto il bene, con efficacia immediata, alla terza acquirente con la compravendita del 2005.
Inoltre, la CTR non espone affatto, nella motivazione, alcuna valutazione in ordine alla natura meramente potestativa ed invalida della condizione; mentre la presa d’atto dell’assenza di un termine entro il quale avrebbe dovuto verificarsi la sospensione è richiamata come una delle considerazioni esposte già dalla CTP, ricondotta al fine di interpretare la disciplina dell’effettivo assetto d’interessi sostanziale dettata dal contratto di cessione, sulla base anche della considerazione che non fosse “credibile” che l’acquirente, già versato immediatamente l’intero e rilevante prezzo, rimanesse sine die esposto al “rischio di non poter al limite mai acquisire la proprietà del bene”.
Pertanto, il motivo è inammissibile, giacché in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 10/08/2017, n. 19989).
2.2. Invero, la ratio decidendi che esprime la sentenza impugnata è quella dell’interpretazione del contratto di cessione, avuto riguardo al programma negoziale concreto predisposto dalle parti, che, in base ad una serie di elementi convergenti, avrebbe determinato l’immediato trasferimento della proprietà dell’area al terzo acquirente, nonostante l’apposizione della predetta condizione sospensiva.
Nella sostanza, secondo la CTR, deponeva per l’interpretazione del contratto in termini di efficacia immediatamente traslativa della compravendita innanzitutto l’incontestato avvenuto pagamento integrale, a prescindere dal realizzarsi della condizione, del rilevante corrispettivo da parte dell’acquirente (s.p.a., operatore commerciale ontologicamente finalizzato al lucro), che altrimenti sarebbe rimasta oggettivamente esposta al rischio di non divenire mai proprietaria dell’area (che peraltro, in caso di mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione, potrebbe implicare anche il rischio di non poter in ipotesi recuperare il conseguente adempimento già effettuato e divenuto indebito, oltre che l’eventuale pregiudizio finanziario derivante dal mancato impiego fruttifero di una somma tanto ingente per un periodo di sospensione dell’efficacia non già predeterminato, e quindi potenzialmente anche di lunga durata).
In questo contesto, il riferimento (invero neppure espresso direttamente dalla CTR, ma dalla sentenza di primo grado, richiamata dalla sentenza d’appello) alla “rinuncia” (con il pagamento immediato dell’intero prezzo) dell’acquirente alla condizione sospensiva non costituisce in realtà l’evocazione di un vero e proprio negozio abdicativo, ma appare finalizzata ad evidenziare un ulteriore elemento a supporto dell’interpretazione del contratto come immediatamente efficace.
Vale a dire che, nel suo complesso, la motivazione della CTR assume che l’apposizione formale di una condizione sospensiva all’effetto traslativo non precluda, ai fini fiscali, l’interpretazione della (causa concreta della) compravendita come immediatamente traslativa, considerato anche che la stessa parte nel cui interesse era stata dichiaratamente apposta la relativa clausola condizionante, tanto che era stata finanche legittimata a rinunziarvi unilateralmente, aveva concretamente manifestato la volontà di attuare immediatamente il programma negoziale, adempiendo interamente la propria prestazione, accettata dalle controparti (sulla contestualità effettiva tra pagamento del prezzo e stipula della compravendita, a prescindere pertanto da qualsiasi formula di stile di cui alla quietanza, cfr. lo stesso ricorso, pagg. 32 e 38).
2.3. Tanto premesso, occorre allora rammentare che la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto non può costituire il grimaldello attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni di esclusivo merito, non essendo sufficiente denunciare la pretesa violazione di legge per sostenere un diverso esito interpretativo, disatteso dal giudice del merito e favorevole al ricorrente, ed essendo piuttosto indispensabile individuare, con precisione, il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito (cfr. Cass. 25/11/2019, n. 30686).
Pertanto, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati, cosicché, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso non può essere considerata idonea la mera critica del convincimento cui sia pervenuto il giudice del merito, operata mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione rispetto a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (Cass. 29/10/2012, n. 18587, in motivazione, e giurisprudenza di legittimità ivi richiamata).
Nella sostanza, quindi, “In tema di sindacato sull’interpretazione dei contratti, la parte che ha proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una clausola contrattuale, non può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito.” (Cass. 15/11/2017, n. 27136), atteso che ” In tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali.” (Cass. 15/11/2017, n. 27136; conforme Cass. 16/01/2019, n. 8739).
del 16/01/2019).
Nel caso di specie, con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti non hanno individuato specificamente quale parametro ermeneutico legale, tra quelli di cui agli artt. 1362 ss. c.c., sarebbe stato violato dall’interpretazione della CTR, per cui il mezzo è inammissibile anche per tale ragione.
Peraltro, il motivo non potrebbe comunque essere accolto neppure ove si volesse ritenere che il riferimento, nel mezzo, al “successivo comportamento” delle parti valga ad integrare la denuncia della violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2.
Infatti, sul punto il motivo si concentra sulla circostanza che i ricorrenti, dopo la compravendita in questione, hanno concluso una convenzione di urbanizzazione con l’ente territoriale comunale ed hanno rilasciato a favore di quest’ultimo una fideiussione a garanzia. Fermo restando che in questa sede non interessa accertare la validità e l’efficacia di tale convenzione (pure incidenter tantum considerata nulla dalla CTR), ciò che rileva è che il canone di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, non può, comunque, fondarsi sulla condotta successiva all’accordo tenuta soltanto da una delle partì, ovvero dai cedenti contribuenti: ” In tema di interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti dopo la sua conclusione, cui attribuisce rilievo ermeneutico l’art. 1362 c.c., comma 2, è solo quello di cui siano stati partecipi entrambi i contraenti, non potendo la comune intenzione delle parti emergere dall’iniziativa unilaterale di una di esse, corrispondente ai suoi personali disegni.” (Cass. 19/07/2012, n. 12535).
Giova per altro sottolineare che l’interpretazione, ai fini fiscali, della cessione come immediatamente efficace, a prescindere dal verificarsi della successiva stipula della convenzione di urbanizzazione, attribuisce alla volontà effettiva delle parti quella stessa ricostruzione funzionale della fattispecie di trasferimento di area lottizzata che (a prescindere dall’autonomia negoziale delle parti) è consolidata nella giurisprudenza di legittimità (citata infra, trattando il terzo motivo), invocata anche dai contribuenti nel terzo motivo di ricorso, secondo cui, ai fini della plusvalenza, il terreno deve considerarsi lottizzato allorquando sia intervenuta, da parte dell’autorità competente, l’autorizzazione del corrispondente piano di lottizzazione, anche se non è ancora stata stipulata, tra il comune ed i proprietari, la relativa convenzione urbanistica.
2.4. Ferma l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso per le ragioni appena dedotte, solo per completezza va precisato che comunque, anche a voler seguire le tesi dei ricorrenti, il motivo sarebbe comunque infondato.
Infatti, quanto alla pretesa necessità che la rinuncia de qua, ove intesa effettivamente come tale, avesse forma scritta a pena di nullità, deve rilevarsi che questa Corte ha invece affermato che la rinuncia alla condizione sospensiva ” anche quando si tratta di condizione apposta a un contratto traslativo o costitutivo di diritti reali immobiliari, non deve necessariamente risultare da atto scritto, ma può essere desunta anche da (acta concludentia (Cass. n. 5757/89)” (Cass. 05/06/2008, n. 14938; conformi Cass. 05/09/1989, n. 3851; Cass. 20/12/1989, n. 5757). Peraltro, nel caso di specie, il comportamento concludente, ovvero il pagamento del corrispettivo, risulta menzionato nel contratto di cessione ed è stato, a detta degli stessi ricorrenti (cfr. pagg. 32 e 38 del ricorso) effettivamente contestuale alla conclusione di quest’ultimo, cosicché la volontà, per quanto implicita, di rinuncia unilaterale alla condizione sospensiva avrebbe comunque forma scritta (sulla compatibilità tra forma scritta e manifestazione implicita, in una scrittura, della volontà negoziale, cfr. Cass. 17/05/1999, n. 4794; Cass. 25/10/2010, n. 21844; Cass. 04/02/2021, n. 2617), costituendo esercizio immediato dell’attribuzione convenzionale all’acquirente della relativa facoltà.
3. Con il terzo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. a) e b), e art. 68, commi 1 e 2.
Assumono infatti i contribuenti che con la delib. del Comune di Brescia n. 110-P.G. n. 12587 del 6 giugno 2005 (ovvero prima della stipula del contratto di cessione del terreno de quo del 26 settembre 2005) era stato approvato il piano di lottizzazione dell’area poi venduta, ed a tale approvazione aveva fatto seguito la successiva stipulazione, tra gli stessi contribuenti e l’ente territoriale comunale, della ridetta convenzione di lottizzazione del 27 febbraio 2006.
Premettendo che, ai fini della rilevazione della plusvalenza in questione, l’approvazione del piano di lottizzazione è sufficiente a configurare la fattispecie dell'”inizio della lottizzazione”, i ricorrenti assumono pertanto che la plusvalenza, ove pure fosse configurabile come avvenuta nel 2005, avrebbe dovuto essere sussunta nella fattispecie di cui al predetto art. 67, lett. a) – essendo stata realizzata “mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici”- piuttosto che in quella della lett. b).
Per la stessa ragione, pertanto, avendo i contribuenti acquistato il terreno a titolo di successione e quindi gratuitamente, il valore del bene avrebbe dovuto essere determinato, a detta dei ricorrenti, ai sensi del secondo periodo del successivo art. 68, comma 1, secondo cui il costo dei terreni stessi acquisiti gratuitamente e quello dei fabbricati costruiti su terreni acquisiti gratuitamente sono determinati tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione o delle opere ovvero a quella di inizio della costruzione.”, e non a norma dell’ultimo periodo dello stesso comma 1, per il quale ” er i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonché dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e di successione.”.
Pertanto, secondo i ricorrenti, nel caso di specie occorreva tener conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione (ovvero al momento dell’approvazione del piano di lottizzazione) e non assumendo come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce di successione.
Il motivo è ammissibile, avendo i ricorrenti indicato per autosufficienza, con riferimento al giudizio di merito, sia la proposizione e la riproposizione della relativa questione; sia i documenti sui quali esso si fonda.
Il motivo è altresì fondato, ma nei termini che seguono.
Invero, la stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria, con riferimento ad una fattispecie di plusvalenza relativa alla cessione di terreni pervenuti per successione ai contribuenti eredi, i quali abbiano proceduto alla lottizzazione prima della cessione, ha affermato che ” La cessione di terreni o fabbricati in seguito a lottizzazione riceve pertanto da parte del legislatore un trattamento fiscale più favorevole, rispetto alle cessioni di terreni edificabili, di cui all’art. 67 TUIR, lett. b). Per i terreni lottizzati, infatti, ai fini della determinazione della plusvalenza, è consentito assumere come costo di acquisto il valore dell’area al momento di inizio della lottizzazione, o al quinto anno anteriore a tale inizio, a differenza di quanto previsto per i terreni edificabili per i quali si assume il costo di acquisto originario aumentato delle spese e rivalutato in base all’indice ISTAT) o il valore indicato nell’atto di successione o di donazione.
Il criterio previsto in riferimento ai terreni lottizzati, che ha riguardo all’inizio della lottizzazione, consente di ridurre l’onere fiscale nella fase della vendita dei terreni medesimi.
La ratio del diverso trattamento rispetto ai terreni edificabili va ravvisata nel maggior impegno economico e giuridico profuso da chi lottizza un terreno, in considerazione della complessità della vicenda lottizzatoria che implica anche attività di trasformazione urbanistica.” (risoluzione n. 319/E del 24 luglio 2008).
Ed anche nella giurisprudenza di questa Corte è stata riconosciuta l’autonomia del criterio dell’inizio della lottizzazione dettato, in materia di valore normale dei terreni da assumere come prezzo di acquisto ai fini del calcolo della plusvalenza, a proposito della cessione di aree lottizzate, anche nell’ipotesi in cui siano state acquisite dai futuri cedenti per donazione o successione (cfr. Cass. 04/09/2013, n. 20277 e Cass. 09/09/2016, n. 17823, anche se entrambe relative a lottizzazione iniziata prima della donazione o successione).
La stessa risoluzione dell’Amministrazione evidenzia come assuma pertanto rilievo “individuare il momento in cui un terreno cessa di essere qualificato semplicemente come “suscettibile di utilizzazione edificatoria” per essere qualificato come “lottizzato” “, concludendo (anche sulla base di Cass. 14/12/2007, n. 26275, resa però in materia di stima dell’indennità di espropriazione, a proposito del valore edificatorio del terreno espropriato, in assenza della stipula della convenzione di lottizzazione, cui l’autorizzazione alla lottizzazione deve considerarsi subordinata) che ” In base alla legge urbanistica (L. n. 1150 del 1942 e successive modificazioni), l’autorizzazione da parte del comune alla lottizzazione di un terreno a scopo edilizio è subordinata alla stipula di una convenzione che stabilisca tutti gli oneri a carico del privato per quanto riguarda la realizzazione delle opere di urbanizzazione. (…) l’autorizzazione del piano di lottizzazione da parte del comune non produce effetti in favore del privato sino a che la stipulazione della convenzione non sia intervenuta. Una cessione di terreni lottizzati può di conseguenza configurarsi, ai fini dell’applicazione dell’art. 67 TUIR, lett. a), quando il comune abbia approvato il piano di lottizzazione e sia stata stipulata la relativa convenzione di lottizzazione, dato che questa, con la previsione degli oneri a carico del privato relativi all’urbanizzazione dell’area, completa l’iter amministrativo. L’autorizzazione comunale alla lottizzazione va assunta peraltro come momento di “inizio” della lottizzazione, ai fini della determinazione delle plusvalenze, di cui all’art. 68 TUIR, comma 2.” (risoluzione n. 319/E del 24 luglio 2008, cit.).
Va tuttavia rilevato che nella giurisprudenza di questa Corte, in materia tributaria ed ai fini specifici della configurazione della plusvalenza derivante da lottizzazione di terreni, è stato chiarito che ” In tema d’imposte sui redditi, riguardo all’assoggettamento ad imposizione del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 81 (ora art. 67), comma 1, lett. a), tra i redditi diversi, delle plusvalenze derivanti dalla vendita d’immobili, un terreno deve considerarsi lottizzato allorquando sia intervenuta, da parte dell’autorità competente, l’autorizzazione del corrispondente piano di lottizzazione, anche se non è ancora stata stipulata, tra il comune ed i proprietari, la relativa convenzione urbanistica e non è stata eseguita alcuna opera di urbanizzazione primaria o secondaria.” (Cass. 27/07/2016, n. 15584; nello stesso senso cfr. Cass. 30/10/2006, n. 23352; Cass. 04/11/2015, n. 22488; Cass. 30/12/2020, n. 29861). Nello stesso senso è stato ribadito che “In tema di tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione di terreni, l’edificabilità dell’immobile consegue direttamente all’adozione – di uno strumento urbanistico generale o di una sua variante, pur in assenza di approvazione regionale, mentre non rileva l’avvenuta stipulazione di una convenzione urbanistica o il rilascio di un titolo edificatorio poiché, in caso contrario, si darebbe al privato la possibilità di decidere il momento dal quale tale edificabilità viene in essere.” (Cass. 30/12/2020, n. 29861, cit.).
Ed è stato altresì ritenuto che “In tema di redditi diversi, ai fini della configurabilità di una plusvalenza tassabile mediante cessione di aree lottizzate fabbricabili è sufficiente che, prima dell’alienazione del terreno, sia stata posta in essere una qualche attività di tipo tecnico diretta al suo frazionamento o, comunque, a renderne possibile l’utilizzazione a scopo edificatorio (cd. lottizzazione “sulla carta”), realizzandosi il vantaggio economico derivante dalla lottizzazione nel momento in cui il privato vende il terreno ad un prezzo già maggiorato per la possibilità di realizzarvi opere edilizie, e non in quello successivo nel quale l’acquirente le realizza.” (Cass. 27/12/2018, n. 33511; nello stesso senso cfr. Cass. 26/06/2013, n. 16083).
Tanto premesso, deve rilevarsi che a fronte della contestata configurabilità della plusvalenza sub iudice nella lett. a), piuttosto che in quella b), del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1 e della deduzione delle conseguenze che ne sarebbero in ipotesi derivate ai sensi del successivo art. 68, commi 1 e 2, la CTR si è limitata all’apodittica affermazione che “le disposizioni ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, ex artt. 67 e 68, in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 17, sono state applicate correttamente in base ai presupposti sopra indicati, deducendo i costi relativi come indicato negli avvisi d’accertamento.”.
La conferma della contestata sussunzione della fattispecie concreta sub iudice in quella legale astratta di cui alla lett. a) del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, non è stata dunque espressa dal giudice d’appello tramite una previa ricostruzione, fattuale ancor prima che giuridica, della configurabilità o meno, nel caso di specie, con riferimento al bene ceduto, di una “lottizzazione” e dell'”inizio” di quest’ultima. Ne’ peraltro, a differenza di quanto sostiene la controricorrente, la questione sarebbe nella sostanza irrilevante, una volta ritenuta, ai fini fiscali, la cessione del 26 settembre 2005 immediatamente efficace e non sottoposta alla condizione sospensiva della successiva stipula della convenzione urbanistica con il Comune di Brescia. Infatti la censura dei ricorrenti – ai fini dell’inquadramento della plusvalenza nell’art. 67, comma 1, lett. a), – si fonda sulla configurabilità, della lottizzazione, o quanto meno dell’inizio di quest’ultima, prima ancora della stessa alienazione del bene ed a prescindere dalla conclusione della predetta convenzione.
In questi termini va pertanto accolto il motivo e la sentenza impugnata va quindi cassata in conseguenza, con il rinvio al giudice a quo per ogni accertamento, tenendo conto dei principi indicati, in ordine alla questione appena evidenziata (che si pone a monte di ogni ulteriore considerazione conseguente sul valore da attribuire, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, al costo d’acquisto del terreno e quindi sull’entità della stessa plusvalenza imponibile, aspetti della controversia rimessi pertanto al giudice del rinvio, all’esito e per effetto dei relativi accertamenti).
4. Con il quarto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i contribuenti ricorrenti censurano la sentenza impugnata per la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, comma 1, per avere la CTR ritenuto irrilevante l’esistenza dell’elemento soggettivo, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni tributarie del caso.
Il motivo è inammissibile, giacché non attinge la ratio decidendi espressa sul punto dalla sentenza impugnata, che nell’affermare sinteticamente che “le sanzioni conseguono in base alla soccombenza della parte” non ha, neppure implicitamente, affermato l’irrilevanza dell’elemento psicologico del contribuente. Piuttosto, la formula utilizzata dalla sentenza impugnata (che sul punto non è stata censurata né per omessa pronuncia, né per carenza assoluta di motivazione) esprime sinteticamente l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui ” In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. E’ comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza.” (Cass. 30/01/2020, n. 2139).
Pertanto, la colpa dei contribuenti, presunta dalla stessa violazione commessa, non necessitava di specifica prova, né quindi di apposito accertamento da parte del giudice del merito, ma di eventuale prova contraria dei ricorrenti, che tuttavia, nel terzo motivo, si sono limitati a ribadire apoditticamente che nella fattispecie non sussisteva alcun loro comportamento colposo.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il quarto e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022