Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5699 del 09/03/2010
Cassazione civile sez. trib., 09/03/2010, (ud. 08/02/2010, dep. 09/03/2010), n.5699
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –
Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in
carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore Centrale
pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello
Stato, presso la stessa domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n.
12;
– ricorrenti –
contro
C.M.L., rappresentata e difesa dagli avvocati
Georgiacodis Dario e Gualtiero Rueca, presso quest’ultimo domiciliata
in Roma, largo della Gancia n. 5, giusta procura in calce al
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 59/16/05 della Commissione tributaria
regionale della Lombardia, depositata in data 25.07.2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8
febbraio 2010 dal consigliere relatore dott. Sergio Bernardi;
udito per i ricorrenti l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri;
udito per la resistente il difensore avvocato Gualtiero Rueca;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso del Ministero, il rigetto del primo
motivo e l’accoglimento del secondo dell’Agenzia.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano, la medico psichiatra C.M.L. chiedeva, previo annullamento del silenzio rifiuto formatosi sulla propria istanza di rimborso, la condanna dell’Amministrazione finanziaria alla restituzione della somma di Euro 2972,73 versata a titolo di Irap per gli anni 1998/2001. Il ricorso era accolto limitatamente alla somma di Euro 2797,13. La CTR della Lombardia ha respinto l’appello dell’Amministrazione, ed accolto quello incidentale della contribuente, che lamentava l’errore materiale commesso dalla CTP nella determinazione della somma da rimborsare. L’Amministrazione finanziaria ricorre per la cassazione della sentenza della CTR con due motivi. La contribuente intimata ha depositato controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero, che è rimasto estromesso dal processo non avendo partecipato al giudizio d’appello.
Denunziando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 144; del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27 e 36; nonchè omessa, illogica ed incoerente motivazione; col primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per avere ritenuto soggetti ad IRAP solo gli esercenti di arti e professioni che si avvalgono di strutture organizzative costituite mediante rilevante impiego di capitali e di risorse umane.
Sostiene, in particolare, l’Amministrazione ricorrente che simile lettura della norma sarebbe in contrasto coi risultati di un’esegesi storico-sistematica sulle origini e la funzione del tributo in esame, oltre che con la stessa interpretazione fornita dal giudice delle leggi, il quale ammette (nella sentenza 156/2001 e, ancor più, nell’ordinanza n. 426/2002) che l’IRAP, imposta reale gravante non sul reddito, ma sul valore aggiunto prodotto, colpirebbe indifferentemente sia le attività imprenditoriali sia quelle professionali; e che il requisito dell’autonoma organizzazione, non definito nei suoi elementi costitutivi, ma comunque identificabile, per quanto riguarda gli esercenti di arti o professioni, nella loro comune attitudine ad organizzarsi autonomamente per produrre un qualsiasi reddito, li renderebbe tutti ed indistintamente soggetti ad IRAP; che, al contrario, ridurre il concetto di organizzazione autonoma al caso d’impiego di capitali e risorse umane in misura rilevante, produrrebbe “un vero e proprio snaturamento dell’imposta ed un effetto di sostanziale abrogazione” di essa. La locuzione “autonomamente organizzata” – aggiunta al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, dal D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, art. 1, comma 1, esaminata alla luce della relazione parlamentare a tale ultimo testo di legge, qualificherebbe l’attività tipica del professionista autonomo, svolta al di fuori del controllo o delle direttive altrui, e tenderebbe ad escludere dall’incidenza dell’IRAP solo l’attività del dipendente o del collaboratore; infatti, il gettito di tale imposta non potrebbe essere significativamente inferiore a quello dell’abolita imposta comunale per l’esercizio d’imprese, arti e professioni (ICIAP), già ugualmente gravante su imprenditori, artigiani e professionisti.
Il ricorso ripropone argomentazioni non condivisibili, che questa corte ha altre volte esaminato e respinto (in specie Cass. 3674/2007).
In realtà, l’espressione “autonomamente organizzata”, assunto dalla legge quale connotato indefettibile dell’attività abituale tassabile, non ha il significato soggettivo sostenuto dalla ricorrente, in virtù del quale tutti gli esercenti arti e professioni, indistintamente, sarebbero assoggettati all’imposta; ma è da interpretare necessariamente in senso oggettivo, come riferito ad un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto dell’organizzazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. E’ questa l’unica interpretazione “costituzionalmente orientata”, obbligatoria per l’interprete, essendo stato evidenziato dal giudice delle leggi che, se la norma fosse accolta nel senso di ritenere applicabile l’imposta anche nel caso d’inesistenza del suddetto elemento oggettivo, risulterebbero violati i principi di eguaglianza e di capacità contributiva, garantiti appunto dall’equiparazione dell’attività professionale a quella imprenditoriale: equiparazione consentita in quanto ricorra in entrambe l’elemento dell’autonoma organizzazione, connaturata all’impresa e soggetta ad accertamento nella attività di lavoro autonomo; sicchè, “nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione … risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta”.
La rilevanza riconosciuta all’aspetto oggettivo dell’organizzazione autonoma – al fine d’individuare gli esercenti di arti e professioni soggetti ad imposta – comporta la necessità di accertare la presenza o l’assenza degli elementi di organizzazione attuati per svolgere l’attività professionale. Tale accertamento – come pure rileva la sentenza n. 156/2001 della corte costituzionale – “in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto”, indagabile dal giudice tributario di merito e non soggetta a controllo di legittimità, se non per vizi logici della motivazione.
Su questo punto, la sentenza della commissione tributaria regionale – che ha ritenuto non assoggettabile ad IRAP l’attività professionale della contribuente perchè era risultato “che nel caso che ne occupa è assente qualsivoglia, sia pur labile, elemento che deponga per l’esistenza di organizzazione” – non è stata utilmente criticata nel merito dall’Amministrazione, che si è limitata a sostenere che “per produrre valore aggiunto non sono sempre indispensabili quantità finanche minime di capitali o lavoro altrui, ma ben può bastare la capacità di ottenere credito o la possibilità di procurarsi autonomamente una propria clientela”.
Con secondo motivo di ricorso si lamenta che la CTR non avrebbe potuto aumentare da Euro 2.797,13 a Euro 2.972,73 l’importo della condanna al rimborso pronunciata dalla CTP nei confronti dell’Amministrazione, perchè era la somma inferiore che era stata domandata con l’istanza di rimborso sulla quale si era formato il silenzio rifiuto, mentre la differenza in più era stata domandata soltanto con il ricorso giurisdizionale della contribuente. La decisione del primo giudice era pertanto sul punto corretta, e non ricorreva comunque l’errore materiale denunciato con l’appello e ravvisato dalla CTR. Il motivo è inammissibile perchè non contiene la indicazione delle norme di diritto su cui si fonda, come prescrive l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. E’ dedotta, infatti, violazione della normativa Irap (L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 144, D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36) e motivazione incoerente o illogica: vizi che non ricorrono, mentre ricorrerebbe (in tesi) non denunciata violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.
Il ricorso deve dunque essere rigettato. Possono compensarsi le spese del giudizio perchè quando il ricorso fu proposto l’indirizzo di giurisprudenza applicato non era consolidato.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e rigetta quello dell’Agenzia. Compensa fra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010