Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5691 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/03/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 09/03/2010), n.5691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6822/2005 proposto da:

SIPES SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del legale rappresentante pro

tempore liquidatore amministratore unico, elettivamente domiciliato

in ROMA VIA DELLA GIULIANA 63, presso lo studio dell’avvocato GARATTI

Luciano, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI BRENO in persona del Direttore pro

tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 27/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 19/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/01/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società S.I.P.E.S. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia Sezione Staccata di Brescia dep. il 19/04/2004 che, respingendo l’appello della contribuente, aveva confermato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia che aveva rigettato il ricorso della medesima avverso gli avvisi di rettifica per gli anni 1994 e 1995.

La CTR ha ritenuto sussistenti una serie di indizi gravi precisi e concordanti, costituiti dalle circostanze che le fatture per operazioni inesistenti portavano numero di partita Iva appartenente a soggetti diversi dall’emittente, cessati da tempo e che non risultavano avere intrattenuto rapporti commerciali con la contribuente, e che la stessa si era limitata ad invocare la correttezza formale delle scritture senza produrre documentazione idonea a confutare le circostanze dedotte dall’Ufficio.

Si duole la ricorrente di vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, deducendo che la G.di.F. non aveva effettuato alcun accertamento presso le ditte emittenti le fatture, limitandosi a riferire dell’esito dei questionari, e che la CTR aveva ritenuto non prodotta alcuna documentazione idonea, laddove invece la stessa aveva prodotto tre distinti elenchi da cui risultavano i contestati rapporti commerciali e i pagamenti a mezzo banca e che non sussistevano le irregolarità delle scritture contabili,essendo fisiologiche ai moderni sistemi di un programma computerizzato.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro e l’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore, con atto qualificato controricorso, facevano riserva di integrare le difese non appena avessero avuto la disponibilità degli atti di causa e chiedevano il rigetto del ricorso.

La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Al fine di valutare il corretto iter motivazionale e, pertanto, per verificare se sussistano i dedotti vizi di insufficienza e di contraddittorietà della motivazione, occorre richiamare la giurisprudenza che si è formata in tema d’Iva in relazione alla particolare ipotesi di emissione di fatture inesistenti.

E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21953/2007 che ha anche chiarito taluni apparenti contrasti di giurisprudenza) che in tema di accertamento dell’IVA, qualora l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che talune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

Quale corollario specifico di tale insegnamento è che è insufficiente invocare la regolarità delle annotazioni contabili perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti.

Tale principio è il sostegno giuridico della motivazione della sentenza impugnata che ha, anzitutto, evidenziato che il numero di P.I. delle fatture emesse dalla ditta individuale C.V. e dalla Montsiders s.a.s. appartengono a due diverse ditte cessate rispettivamente nel (OMISSIS) e con le quali la Sipes non aveva intrattenuto rapporti commerciali; che quello delle fatture emesse dalla Nuovi Impianti s.a.s. è anch’esso appartenente ad altra ditta cessata nel (OMISSIS), mentre la prima non risultava titolare di alcuna P.I..

La deduzione di cui al ricorso che l’Ufficio si sarebbe basato solo sulle risposte ai questionari e sulla interrogazione alla anagrafe tributaria senza effettuare accertamenti diretti sulle ditte, introduce una chiara censura sul giudizio, di puro merito, di sufficienza degli indizi offerti dall’ufficio che ha l’effetto processuale di spostare a carico del contribuente l’onere di provare l’effettività dell’operazione.

Nessun vizio intrinseco a tale giudizio di fatto,sotto l’aspetto della coerenza logica (contraddittorietà e sufficienza) è stato sostanzialmente dedotto, non potendo d’altra parte negarsi che una così forte anomalia formale delle fatture, tra l’altro ripetuta con diversi emittenti,secondo la comune percezione, sottende sostanziali anomalie sotto l’aspetto della effettività della prestazione.

La contribuente si limita a dedurre un mancato esame di punto decisivo, non meglio precisato, ma che appare riferirsi, dall’esame complessivo del motivo, alla mancata valutazione della documentazione che avrebbe dimostrato l’esistenza di rapporti commerciali con le ditte in premessa.

Non è chiaro anzitutto, dai termini alquanto generici del motivo, se la contribuente si dolga, inammissibilmente perchè darebbe luogo ad un errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4, ovvero di vero e proprio vizio in iudicando.

In questo ultimo caso,dai termini stessi del motivo emerge che nessuna prova (e nemmeno deduzione,per es. errore) la contribuente ha dedotto per spiegare l’anomalia formale; sotto l’aspetto sostanziale, poi la deduzione (ed eventuale prova) della esistenza di rapporti commerciali tra la Sipes e le superiori ditte non è sufficiente,in quanto la prova, e ciò non risulta nel caso in ispecie, andava indirizzata in ordine alle specifiche operazioni in contestazione,e non alla generica esistenza di rapporti commerciali.

Pertanto la CTR, allorquando ritiene la insufficienza della deduzione di regolarità formale delle scritture, se da una parte fa corretta applicazione del superiore principio in ordine all’onere probatorio del contribuente,dall’altra esprime anche un giudizio di fatto sulla inidoneità della relativa prova.

La ricorrente,sotto l’aspetto del vizio motivazionale, introduce, pertanto, inammissibili censure di fatto.

Questa Corte (Sent. n. 2272 del 02/02/2007) ha ritenuto che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la proposizione del ricorso per cassazione per il motivo previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Anche il motivo fondato sulla ritenuta regolarità della documentazione comporta inammissibili valutazioni di fatto. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Non si provvede sulle spese in quanto l’atto qualificato controricorso dall’Amministrazione tale non può essere considerato, non avendo la stessa espletato alcuna difesa che riservava alla discussione, cui non ha partecipato.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

 

 

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