Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5689 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/03/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 09/03/2010), n.5689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.r.l. PODELLA CALABRO MANGIMI, con sede in (OMISSIS) alla

Contrada (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla Via Tibullo n. 13

presso lo studio dell’avv. LARUSSA Claudio che la rappresenta e

difende in forza della procura speciale rilasciata a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

(1) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

(2) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, e;

(3) l’Ufficio di Crotone dell’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del

Direttore pro tempore;

– intimati –

nonche’

sul ricorso (iscritto al n. 29780/05 di R.G.) proposto da:

(1) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

(2) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore entrambi elettivamente domiciliati in Roma alla

Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che

li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

s.r.l. PODELLA CALABRO MANGIMI;

– intimata –

entrambi i ricorsi avverso la sentenza n. 48/08/04 depositata il 30

settembre 2004 dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 gennaio 2010

dal Cons. Dott. D’ALONZO Michele;

sentite le difese della societa’, perorate dall’avv. LARUSSA Claudio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, il quale ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo del ricorso iscritto al n. 29005/05 di RG (proposto dalla

societa’) e del primo motivo dell’altro ricorso (proposto

dall’Agenzia).

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso notificato il giorno 11 novembre 2005 all’AGENZIA delle ENTRATE ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE nonche’ (con plico postale spedito il 12 novembre 2005 e ricevuto) il 16 novembre 2005 all’Ufficio di Crotone di detta Agenzia (ricorso depositato il 30 novembre 2005), la s.r.l. PODELLA CALABRO MANGIMI – premesso che il 14 dicembre 1994 l’Ufficio aveva notificato un “avviso di rettifica” in cui, “riportandosi integralmente al contenuto del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza”, aveva contestato la duplice violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 (acquisto di beni… grano dalla societa’ ILPA srl senza la prescritta fattura e mancata fatturazione di operazioni imponibili) ed irrogato le afferenti sanzioni -, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare (con vittoria di spese) la sentenza n. 48/08/04 della Commissione Tributaria Regionale della Calabria (depositata il 30 settembre 2004) che aveva recepito l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (41/03/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro la quale aveva accolto il suo ricorso sulla scorta dei risultati della «consulenza tecnica d’ufficio dalla stessa disposta.

Le amministrazioni intimate non svolgevano attivita’ difensiva a contrasto dell’impugnazione.

2. Con ricorso notificato (nel domicilio eletto) alla s.r.l. PODELLA CALABRO MANGIMI (con plico postale spedito il 16 novembre 2005 e ricevuto) il 23 novembre 2005 (depositato il 6 dicembre 2005), il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE e l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso, tra l’altro, che con ordinanza del 24 ottobre 2002 la Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, innanzi alla quale detta societa’ aveva impugnato l’avviso di rettifica IVA per l’anno d’imposta 1989 con cui l’Ufficio aveva contestato l’omessa registrazione e fatturazione di cessioni di grano, aveva corretto la sentenza n. 41/03/02 da essa emessa il 24 gennaio 2002 disponendo che le spese della consulenza tecnica d’ufficio (liquidate in L. 6.643.600) non dovevano intendersi compensate ma andavano poste a carico dell’amministrazione finanziaria» -, in forza di due motivi, chiedevano (con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’), di cassare la medesima decisione n. 48/08/04 della Commissione Tributaria Regionale della Calabria (depositata il 30 settembre 2004) e di condannare la parte resistente al pagamento delle spese di perizia del primo grado di giudizio.

La societa’ intimata non svolgeva alcuna attivita’ difensiva scritta a contrasto di tale impugnazione.

3. Il 21 gennaio 2010 la societa’ depositava (nel ricorso iscritto al n. 29005/05 di RG) memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., deve essere disposta la riunione al ricorso della societa’ di quello successivo proposto dalle amministrazioni pubbliche – che assume (cfr., Cass., 1^, 2 luglio 2007 n. 14969, tra le recenti, la quale ha ribadito, richiamando “ex multis, Cass., n. 12920 del 2000”, che “l’impugnazione proposta per prima assume carattere ed effetti di impugnazione principale e determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire, per essere decise simultaneamente, tutte le successive impugnazioni eventualmente proposte da altri soccombenti contro la medesima sentenza, le quali hanno sempre carattere incidentale”), pertanto, natura “incidentale” – perche’ le due impugnazioni investono la medesima decisione.

2. Ancora in via preliminare, ma gradata, va rilevata e dichiarata l’inammissibilita’ sia del ricorso proposto dalla societa’ contro il Ministero che del ricorso incidentale di questo ente contro la societa’.

Per effetto del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, infatti, tutti i rapporti (sia sostanziali che processuali) inerenti le entrate tributarie facenti capo al Ministero delle Finanze, dal primo gennaio 2001 (data di operativita’ delle stesse ai sensi del D.M. 28 dicembre 2000, art 1) sono stati trasferiti (artt. 57 e 62 del D.Lgs. detto) alle Agenzie fiscali (tra le quali, l’Agenzia delle Entrate), cioe’ ad enti aventi (cfr., Cass., un., 14 febbraio 2006 nn. 3116 e 3118) una propria, distinta personalita’ giuridica e tanto – come statuito da questa Corte (ex multis Cass., un., 29 aprile 2003 n. 6633) – ha determinato la successione nel processo (dell’Ufficio locale) della neocostituita Agenzia al(l’Ufficio del) Ministero ai sensi dell’art. 111 c.p.c: conseguentemente il Ministero, se (come nella specie) non ha altrimenti preso parte a precedenti fasi e/o gradi del processo, deve considerarsi implicitamente estromesso dal giudizio, con conseguente perduta di ogni legittimazione, sia attiva che passiva.

Nel caso, giusta quanto si legge nella decisione qui impugnata, (1) la sentenza di primo grado e’ stata presa nel gennaio 2002 (rettificata nell’ottobre dello stesso anno) e (2) l’appello proposto con atto depositato il 18 febbraio 2003: tutto il processo di appello pertanto, si e’ certamente svolto dopo l’entrata in funzione dell’Agenzia delle Entrate e, quindi, esclusivamente tra l’Ufficio locale di questa (che ha proposto il gravame) e la contribuente.

Le spese processuali tra la societa’ e il Ministero per entrambi i ricorsi vanno integralmente compensate ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2;

3. Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale – premesso (per quanto interessa l’esame dei gravami) che: (2) l'”avviso di rettifica” emesso dall’Ufficio IVA per l’anno 1989, impugnato dalla societa’, “scaturiva da una verifica fiscale documentale della Guardia di Finanza… dalla quale emergevano l’omessa fatturazione e registrazione di presunte cessioni di grano duro da parte della… ILPA srl”; (2) la contribuente aveva sostenuto che “erano state ritenute cessioni” da parte sua “tutti i quantitativi di cereali venduti per conto e nome dell’AIMA ai destinatari finali dei prodotti incamerati”; (3) nelle “controdeduzioni” l’Ufficio aveva esposto (a) che “a seguito di verifica fiscale eseguita… presso la ILPA… era stato rilevato che la societa’ aveva effettuato… cessioni di grano duro alla…

PODELLA”, (b) che “per tale operazione la ILPA aveva utilizzato, per il trasporto del venduto, delle bolle di accompagnamento… senza provvedere alla successiva emissione delle relative fatture”, (c) che “la G. di F…. si recava presso la PODELLA srl per verificare se fossero state emesse fatture e/o autofatture a fronte del quantitativo del grano trasferito” e (d) che il “titolare della ditta non era in grado di esibire la documentazione”; (4) il giudice di primo grado, dopo aver disposto “perizia tecnica, contabile e fiscale…, al fine di ricostruire l’effettivo utilizzo del grano duro ceduto dalla ILPA alla ricorrente”, con “decisione n. 41/03/02 del 24 gennaio 2002” aveva accolto il ricorso, con compensazione delle spese processuali, e, di poi, “con successiva ordinanza del 24 ottobre 2002”, rettificato “il dispositivo della sentenza ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria le spese di CTU” -, identificati i “problemi essenziali a cui rispondere” (1) nel se “per le cessioni del grano la societa’ PODELLA era comunque tenuta ad emettere fatture” e (2) nel se “le fatture n. (OMISSIS) e (OMISSIS) della ILPA srl sono riconducibili alla bolle di accompagnamento su cui e’ basato il PVC della G. di F. per determinare il quantitativo di grano duro, il suo valore e l’importo dell’IVA da pagare”, ha accolto l’appello dell’Ufficio (dichiarando, “per l’effetto”, “la legittimita’ dell’accertamento”) per le ragioni qui di seguito esposte.

A. “Per quanto riguarda il primo punto” il giudice di appello espone:

– “ai sensi del D.M. 12 aprile 1984, art. 19… il grano posseduto avrebbe dovuto… essere fatturato dalla societa’ PODELLA” perche’, “in forza di detta disposizione”, “tutti gli oneri fiscali sono a carico dell’assuntore” e “il destinatario finale e’… irrilevante” in quanto “solo la fattura puo’ costituire la base imponibile dell’IVA”;

– “altrettanto irrilevante e’ la questione se l’attivita’ di assuntoria era svolta cumulativamente o separatamente da quella propria societa’ e che la relativa contabilita’ fosse separata” perche’ “cio’…, a parte che la ditta avrebbe dovuto esercitare l’opzione, e cosi non e’ stato, avrebbe dovuto, comunque, emettere fatture o autofatture”.

B. “Per quanto riguarda il secondo punto”, il giudice di appello (che dichiara di concordare “con le conclusioni del CTU”) afferma che “le fatture n. (OMISSIS) della ILPA” non sono “riconducibili alle cessioni di grano duro” effettuate da quest’ultima alla PODELLA perche’:

(a) “le due fatture e le bolle non contengono alcuna indicazione che possa far riferire le stesse fatture alle bolle di accompagnamento”;

(b) “all’epoca del rilascio delle fatture, (OMISSIS), la gran parte del grano era ancora da consegnare: le bolle si riferiscono ad un periodo che va dal 5 maggio al 21 dicembre 1989”;

(c) “non e’ verosimile che qualcuno anticipi somme notevolissime per IVA e dia per gia’ ricevuta merce di cui non sa quando ne avra’ il materiale possesso”;

(d) “le fatture contengono la dicitura… Ft. n. (OMISSIS)… grano duro consegnato in data (OMISSIS); Ft. n. (OMISSIS)… grano duro consegnato in data (OMISSIS)” (omissis);

(f) cosi’ in sentenza “le quantita’ fatturate (circa 30 q. in piu’) non corrispondono alla somma di quelle indicate sulle bolle di accompagnamento”;

(e) cosi’ in sentenza “la giustificazione che il maggior quantitativo risultante dalle fatture sia dovuto al trasporto in esenzione di bolle perche’ proveniente dalla Comunita’ Europea dal porto di (OMISSIS) ai magazzini di (OMISSIS) non e’ sostenibile” perche’ “la merce e’ giunta, con la motonave Andra’, tra il (OMISSIS), cioe’ due mesi dopo”.

“In conclusione”, secondo il giudice di appello, “non vi e’ alcuna possibilita’ di ricondurre le fatture… n. (OMISSIS) alle bolle di accompagnamento ritrovate dalla Guardia di Finanza” pur se “volesse sopperirsi alla mancanza di fatture della PODELLA con quelle della ILPA”.

4. La societa’ censura tale decisione con quattro motivi.

A. Con il primo la ricorrente – assumendo aver l’Ufficio “pacificamente ammesso” nel suo atto di appello (“pag. 8”) che “presupposto di tutto il procedimento e’… l’analisi e l’esame di una sola operazione”; “come e’… constatatile dai processi verbali redatti, non sono state… analizzate le altre situazioni contabili del verificato” tanto che “non ci sono state… richieste di esibizione dei registri obbligatovi o quant’altro possa servire per una verifica generale” – denunzia “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54” esponendo che «la rettifica della dichiarazione infedele puo’ prescindere dalla ispezione della contabilita’…

esclusivamente “qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alte operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui all’art. 51, comma 2, nn. 2, e 4 dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonche’ da altri atti e documenti in suo possesso”: nel caso, secondo la societa’, “l’esibizione delle fatture (OMISSIS) emesse dalla ILPA” nei suoi “confronti” ha impedito “il verificarsi della condizione tassativamente prevista dalla citata norma, ovvero che l’infedelta’ della dichiarazione risultasse in modo certo dalla documentazione in possesso di essa societa’”.

B. Nel secondo motivo la ricorrente denunzia “violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.” adducendo che “l’Ufficio finanziario, attore sostanziale…, non ha provato… che le fatture esibite… si riferissero a distinte operazioni commerciali e non potessero, pertanto, giustificare le cessioni indicate nelle bolle di accompagnamento rinvenute”.

A giudizio della societa’ “i giudici di seconda istanza”, “nonostante l’illegittimita’ della pretesa tributaria”, “ignorando totalmente quanto emerso dagli atti di causa e dallo stesso riconoscimento dell’Ufficio”, hanno accolto l’appello “in aperta violazione dei principi secondo cui il giudice deve decidere iusta alligata et probata, ed in spregio al disposto di cui all’art. 2697 c.c. in ordine alla prova ed al relativo onere”, “spingendosi… a delle valutazioni di verosimiglianza circa il fatto che le fatture esibite si riferissero… alle cessioni di grano riportate nelle bolle d’accompagnamento… assolutamente estranee al processo ed ai principi che lo regolano” per cui “la scarna motivazione… della sentenza impugnata risulta inutile e fuorviante atteso che l’Ufficio aveva l’onere di provare che le fatture esibite alla Guardia di Finanza ed… in giudizio si riferissero a distinte operazioni commerciali”.

Secondo la ricorrente, poi, “il fatto che i giudici di secondo grado abbiano totalmente disatteso le risultanze del processo e violato i principi evocati dalle norme in epigrafe… e distorto le stesse risultanze del processo, risulta conclamato nel richiamo operato circa le conclusioni della consulenza tecnica dr ufficio” avendo “il CTU… concluso che le fatture prodotte potessero ben riferirsi alle bolle richiamate nel PVC”: la “Commissione di secondo grado”, pertanto, “ha citato proprio tali conclusioni, travisandole, per sostenere, senza alcun riferimento di prova, l’esatto contrario”.

C. In terzo luogo la societa’ denunzia “illegittimita’ e/o nullita’ della sentenza” per “violazione del giudicato interno”; per la ricorrente, infatti, “la sentenza impugnata” e’ “stata emessa in violazione del principio tra chiesto e pronunciato” atteso che, “come risulta dagli atti di causa”, “l’Ufficio… non ha espresso alcuna doglianza in ordine all’annullamento della contestazione di mancata fatturazione di operazioni imponibili con conseguente formazione di giudicato interno sul punto”: di conseguenza la contribuente sostiene che i giudici di secondo grado sono incorsi nel “vizio di ultrapetizione” laddove hanno “riformato totalmente la sentenza emessa dalla Commissione provinciale dichiarando legittimo l’intero accertamento”.

D. Nell’ultima censura la ricorrente denunzia “difetto assoluto di motivazione in ordine alla declaratoria di legittimita’ dell’accertamento della contestazione afferente alla mancata fatturazione di operazioni imponibili” esponendo che “alcuna argomentazione viene fornita… in ordine alla legittimita’ della contestazione di mancata fatturazione di operazioni imponibili”.

5. Il ricorso della societa’ deve essere respinto perche’ infondato.

A. Prima di procedere all’esame del gravame e’ opportuno ricordare che:

(a) il ricorso per Cassazione – in ragione del principio, desumibile dall’art. 366 c.p.c., detto di autosufficienza – deve contenere in se’ (Cass, 3^, 24 maggio 2006 n. 12362; id., 2^, 4 aprile 2006 n. 7825; id., 3^, 20 gennaio 2006 n. 1113, tra le recenti), a espressa “pena di inammissibilita’”, tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresi’, a permettere a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio o di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o ad atti attinenti al pregresso giudizio di merito: tale onere, percio’ (Cass., 1^, 21 ottobre 2005 n. 20454), non puo’ essere assolto per relationem, con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto;

(b) il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste (Cass., trib., 10 febbraio 2006 n. 2935; id., trib., 20 gennaio 2006 n. 1127; id., 9 novembre 2005 n. 21767; id., 1^, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di un’ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione c.d. nomifilachia di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65) mentre l’allegazione di un’ erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) e’ segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;

(c) detto vizio, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilita’ (Cass., 2^, 12 febbraio 2004 n. 2707; id., 2^, 26 gennaio 2004 n. 1317), dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

B. L’infondatezza del primo motivo di ricorso discende dall’applicazione della “nozione”, illustrata al precedente punto A. (b), di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” atteso che la ricorrente non indica il punto della sentenza impugnata nel quale il giudice di appello abbia, sia pure per implicito, interpretato il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 (in particolare: il comma 3) in modo difforme anche solo dal tenore testuale della norma.

Questa, invero, diversamente da quanto sostenuto dalla societa’, consente comunque all’Ufficio di “procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilita’ del contribuente” tutte le volte che “l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione” (come “l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione”) risulti – “in modo certo e diretto, e non in via presuntiva” -, “da verbali, questionari e fatture di cui all’art. 51, comma 2, nn. 2), 3) e 4), dagli elenchi allegati atte dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonche’ da altri atti e documenti in suo possesso”.

La disposizione, peraltro, va necessariamente letta in correlazione con le altre dettate negli ulteriori commi della stessa norma: per il comma 2, in ispecie, “l’infedelta’ della dichiarazione” puo’ “essere accertata” anche “mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicita’ delle registrazioni sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti nell’art. 51”.

La “condizione” prevista dal comma 3, quindi, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, non costituisce affatto l’unica ipotesi di “infedelta’ della dichiarazione” che legittimi la “rettifica” dell’Ufficio.

In detto contesto normativo, pertanto, al fine di stabilire se “l’esibizione”, da parte della contribuente, delle “fatture (OMISSIS) emesse dalla ILPA” nei suoi “confronti” sia idonea a far venir meno il presupposto in presenza del quale l’Ufficio deve procedere alla doverosa “rettifica” della dichiarazione, e’ indispensabile acquisire, preliminarmente, la certezza che quelle due fatture riflettessero tutte le “cessioni di grano duro” che dalla “verifica fiscale eseguita… presso la ILPA” risultavano essere state da questa effettuate in favore della ricorrente: tanto, come evidente, impinge nell’afferente accertamento fattuale, la cui “contestata valutazione” rende ontologicamente inesistente la denunziata di legge dedotta dalla ricorrente.

C. Nella sentenza impugnata, inoltre, non si riscontra la violazione dell’art. 2697 c.c. denunziata nel secondo motivo di ricorso atteso che tale vizio si configura (Cass.: trib., 20 gennaio 2006 n. 1131;

3^, 22 luglio 2004 n. 13618; 2^, 24 febbraio 2004 n. 3642; trib., 14 aprile 2003 n. 6055; 3^, 14 febbraio 2001 n. 2155) “soltanto nell’ipotesi… in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne e’ gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una eventualmente incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiche’ in questo caso vi e’ un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimita’ unicamente per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

In caso di rettifica della dichiarazione IVA, nondimeno, l’Ufficio – in presenza degli elementi fattuali prescritti dalla norma per l’esercizio del suo potere di rettifica – “non e’ tenuto ad offrire altre prove concrete a conforto della presunzione ed a giustificazione del suo operato” perche’ (Cass., trib., 10 giugno 2008 n. 15299) “il relativo onere” si sposta sul contribuente, il quale “e’ ammesso a fornire la prova contraria (Cass. nn. 1575/2007, 19920/2006)”: l'”Ufficio finanziario”, quindi, non doveva affatto provare che “le fatture esibite… si riferissero a distinte operazioni commerciali e non potessero, pertanto, giustificare le cessioni indicate nelle bolle di accompagnamento rinvenute” essendo, invece, onere della contribuente dimostrare che le “fatture (OMISSIS)” riflettessero tutto il quantitativo di grano ceduto dalla ILPA, quale risultante dalle bolle di accompagnamento rinvenute dalla Guardia di Finanza.

Le restanti doglianze contenute nel motivo, infine, si rivelano inammissibili (per evidente violazione dell’art. 366 c.p.c.) non avendo la ricorrente indicato, nel ricorso per Cassazione, quali siano le “risultanze del processo” disattese e/o violate dalla Commissione Tributaria Regionale ne’ “le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio” che sarebbero state travisate od, ancora, cosa sia Semerso” a suo favore “dagli atti di causa e dallo stesso riconoscimento dell’Ufficio” ne’ quali elementi fattuali (non allegati ne’ provati) il giudice di appello abbia posto a fondamento della sua decisione violando l’art. 115 c.p.c. (per il quale, fondamentalmente, “il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti”, quindi decidere iusta alligata et probata).

D. La decisione impugnata, infine, non e’ incorsa in nessuno dei vizi denunziati negli ultimi due motivi di ricorso (scrutinabili congiuntamente attesa l’inerenza di entrambi alla “omessa fatturazione di operazioni imponibili” contestata dall’Ufficio).

D.1. Siffatta omissione, invero, giusta l’esposizione fattuale contenuta nel ricorso per Cassazione, costituisce l’aspetto ulteriore della contestazione relativa all'”acquisto di beni… senza la prescritta fattura”: la stessa, infatti, ha ad oggetto la mancata fatturazione delle cessioni, al “destinatario finale”, dello stesso grano ricevuto dalla ILPA, ovverosia le cessioni di tal bene operate dalla ricorrente per conto dell’Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo (AIMA).

In ordine alla stessa la Commissione Tributaria Regionale riporta aver l’Ufficio espressamente denunziato, con l’appello, “la nullita’ della sentenza” di primo grado sul punto contestando l’affermazione della stessa secondo cui “il rapporto tributario concerne l’IVA” relative alle operazione di “vendita” del grano, in quanto “facevano capo all’AIMA”, “non puo’ riguardare altri soggetti”: di conseguenza, il giudice regionale ha affermato che il “primo punto” cui “rispondere” afferiva al problema se “per le cessioni del grano, la societa’ PODELLA era comunque tenuta ad emettere fatture”.

A fronte di tanto, l’eventuale erroneita’ di siffatta interpretazione dell’atto di appello non puo’ ritenersi idoneamente censurata con la mera asserzione della ricorrente secondo la quale “come risulta dagli atti di causa… l’Ufficio… non ha espresso alcuna doglianza in ordine all’annullamento della contestazione” detta: l’accertata sussistenza di una espressa impugnazione del punto da parte dell’Ufficio, pertanto, esclude che si sia potuto formare qualsivoglia “giudicato interno” sullo stesso per cui deve affermarsi che correttamente la Commissione Tributaria Regionale ha esaminato la questione, individuata come “primo punto”, se “per le cessioni di grano” la societa’ “Podella era comunque tenuta ad emettere fatture”.

D.2. La risposta data dal giudice di appello alla “questione” detta (“ai sensi del D.M. 12 aprile 1984, art. 19… il grano posseduto avrebbe, comunque, dovuto essere fatturato dalla Podella” perche’ “in forza di tale disposizione tutti gli oneri fiscali sono a carico dell’assuntore”), infine, si rivela (1) corretta, perche’ effettivamente per il D.M. Agricoltura e delle Foreste 12 aprile 1984, art. 19 “istituzione dell’albo degli assuntori per le operazioni demandate all’AIMA della L. 14 agosto 1982, n. 610, art. 3, lett. a e b”; “condizioni generali delle convenzioni di assuntoria relative alle operazioni esecutive d’intervento nel mercato agricolo”; “requisiti di idoneita’ tecnica e modalita’ per l’iscrizione all’albo degli assuntori dell’AIMA”) “I rischi e gli oneri, compresi quelli fiscali, derivanti dall’adempimento delle obbligazioni che sono oggetto delle presenti norme, sono a totale ed esclusivo carico dell’assuntore del servizio” (“salvo quanto stabilito al comma 1 del precedente art. 10” e (2) idoneamente, nonche’ esaustivamente, motivata con il richiamo di detto disposto perche’ questo costituisce, di per se’ solo, idonea argomentazione giustificativa della “legittimita’ della contestazione di mancata fatturazione di operazioni imponibili”.

In proposito, peraltro, e’ sufficiente aggiungere che per il secondo comma dell’art. 12 delle “Condizioni generali delle convenzioni di assuntoria relative alle operazioni esecutive d’intervento nel mercato agricolo”, contenute nel medesimo D.M. del 1984 – in coerenza alle ed in conformita’ delle norme che regolano le cessioni di beni ai fini dell’IVA – “ogni vendita dovra’ essere documentata da apposita fattura’ che viene emessa dall’assuntore del servizio conformemente alle vigenti disposizioni sull’IVA e secondo le condizioni di vendita stabilite dall’AIMA”.

E. La richiesta – avanzata dalla (difesa della) contribuente nella discussione orale – di applicazione della “nuova normativa sanzionatoria”, infine, e’ inammissibile perche’ la stessa – a prescindere dal suo fondamento – integra comunque (atteso che della questione non vi e’ traccia nella sentenza impugnata) una domanda del tutto nuova perche’ non compresa, neppure implicitamente, nella richiesta (peraltro infondata) di cassazione della sentenza impugnata ne’ in quella di disporre “conseguentemente” alla auspicata cassazione.

6. L’Agenzia – premesso che il giudice di primo grado (con ordinanza del 24 ottobre 2002, emessa su istanza del consulente tecnico, correttiva della sentenza n. 41/03/02 pubblicata dallo stesso il 24 gennaio 2002, di accoglimento del ricorso con compensazione delle spese processuali) aveva posto a carico dell’Ufficio la somma di L. 6.643.000 liquidata dalla stessa Commissione, a titolo di onorario, a detto consulente da essa stessa nominato -, dal suo canto, censura la medesima decisione di appello con tre motivi.

Con il primo la ricorrente – assunto avere l’Ufficio lamentato in appello, con due motivi, “l’irritualita’ del procedimento di correzione di errore materiale svoltosi in totale assenza di contraddittorio” – denunzia “omessa pronuncia e conseguente nullita’ ex artt. 112 c.p.c.” (testualmente) adducendo:

– “la riforma della statuizione di correzione, divenuta parte integrante della sentenza di primo grado, e’ stata espressamente richiesta dall’Ufficio attraverso l’articolazione di due motivi di appello”;

– “poiche’ in assenza di ogni cenno da parte della C.T.R., l’Ufficio, pur vittorioso nel merito, si trova destinatario di un provvedimento azionabile da parte del perito.., il vizio denunziato… e’…

sorretto da un preciso suo interesse”.

Il motivo e’ fondato.

Nella stessa decisione di appello, invero, si legge:

“contro la sentenza e l’ordinanza proponeva appello… l’Ufficio…

eccependo, pregiudizialmente, la violazione dell’art. 281 c.p.c. e segg. perche’ il procedimento di correzione avrebbe dovuto essere attivato su ricorso delle parti… e nel rispetto del principio del contraddittorio” (“cosa che non era avvenuta nella specie”) nonche’ la nullita’ della “correzione.., in quanto non vi era stato errore nella manifestazione della volonta’ del giudice e per mancanza dei presupposti di cui all’art. 91 c.p.c. (violazione del principio della soccombenza)”.

Cio’ non ostante la Commissione Tributaria Regionale ha omesso qualsiasi, quand’anche implicita, pronuncia sulla violazione dedotta dall’Ufficio a censura, specificamente, della “ordinanza” con la quale il giudice di primo grado aveva rettificato “parzialmente il dispositivo della sentenza ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria le spese della CTU”: il giudice di appello, pertanto, e’ effettivamente incorso nel vizio lamentato dall’amministrazione pubblica; in conseguenza la sentenza impugnata deve essere aderentemente cassata. Tale provvedimento, intuitivamente, importa l’assorbimento di entrambe le censure poste con gli ulteriori due motivi di gravame dell’Agenzia – con l’uno dei quali l’ente pubblico denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 287 e 288 c.p.c.” sostenendo che la conferma (ove ritenuta implicita) “della statuizione adottata sul punto dalla CTP” da parte del giudice di appello e’ illegittima per “i motivi gia’ illustrati dall’Ufficio nel proprio appello” disponendo “l’art. 287 c.p.c. che la correzione di errore materiale avviene su ricorso di parte” e prevedendo “l’art. 288 c.p.c., ai commi 1 e 2,… che la procedura si svolga in contraddittorio” per cui “in nessun caso e’ ammesso che la correzione sia chiesta da soggetti diversi dalle parti quale e’ il consulente tecnico d’ufficio”; con l’altro, la stessa Agenzia denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 c.p.c. e dell’art. 195 c.p.c., comma 2” affermando che, essendo la “decisione definitiva sulla parte onerata delle spese di CTU… regolata” (“diversamente dalla liquidazione fatta in via di mera anticipazione provvisoria”) “dal principio della soccombenza nell’intera controversia, salva la compensazione di cui all’art. 92 c.p.c.”, “l’accoglimento dell’appello non poteva… avere altra conseguenza, in punto di spese di lite di primo grado, se non la rimozione del pregiudizievole capo di sentenza contenente la condanna al pagamento dell’onorario del CTU”, “tenuto conto” anche del fatto che, avendo “l’Ufficio… formulato apposito motivo di gravame volto a rappresentare la nullita’ della consulenza per violazione delle regole sul contraddittorio”, “la condanna al pagamento degli onorari di CTU si presenta ulteriormente ingiustificata” -, in quanto le stesse investono una insussistente pronuncia implicita negativa che sarebbe contenuta nella sentenza di appello ed hanno ad oggetto, propriamente, questioni il cui esame (omesso dal giudice a quo) va rimesso ad altra sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale che ha pronunciato la decisione cassata innanzi alla quale la causa deve essere rinviata anche per la regolamentazione delle spese processuali concernenti il (solo) giudizio di legittimita’ relativo al ricorso incidentale dell’Agenzia.

Nonostante il rigetto del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilita’ detta, nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali relative a tal ricorso, non avendo nessuna delle amministrazioni intimate svolto attivita’ difensiva nel relativo processo, ne’ su quelle concernenti il ricorso incidentale del Ministero atteso che la societa’ non si e’ difesa nell’afferente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce al ricorso della societa’ (iscritto al n. 29005/05 di RG) quello dell’AGENZIA (iscritto al n. 29780/05 di RG); rigetta il ricorso della societa’; dichiara inammissibile il ricorso incidentale del Ministero; accoglie il primo motivo del ricorso (incidentale) dell’AGENZIA e dichiara assorbiti gli altri due motivi di tale ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimita’ afferenti il ricorso incidentale, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Calabria.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

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