Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5688 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/03/2010, (ud. 22/01/2010, dep. 09/03/2010), n.5688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15688/2005 proposto da:

D.L., D.A.G., elettivamente domiciliati in

ROMA VIA SS. PIETRO E PAOLO 50, presso lo studio dell’avvocato

TOMASSINI CLAUDIO, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCIOSI

Giovanni, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 31/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 05/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/01/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

D.L. e D.A.G. ricorrono per cassazione (notificando il ricorso all’Agenzia delle Entrate, che non si è costituita) avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente avviso di accertamento Irpef 1993 (di rettifica dei redditi diversi dichiarati in relazione all’accertamento di un maggiore imponibile conseguente alla cessione della quota di partecipazione in una società di persone), la C.T.R. Lazio confermava la sentenza di primo grado (che aveva respinto il ricorso dei contribuenti), rilevando: che all’accertamento e alla verifica delle imposte sostitutive non dichiarate e non versate si applicano le disposizioni in materia di imposta sui redditi e quindi il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38; che nella specie sussistono indizi gravi, precisi e concordanti della realizzazione di un maggior reddito dalla cessione delle quote, essendo innanzitutto contraddittoria la cessione onerosa delle quote (non contestata dai contribuente) e la pretesa di parte di attribuire alle suddette quote solo il valore nominale; che non esiste un metodo di calcolo tassativamente disciplinato dalla legge per determinare il valore delle quote cedute; che La natura dell’attività aziendale svolta non incide sulla percentuale di redditività o sull’indice di capitalizzazione, essendo essi coefficienti numerici astratti validi per qualunque tipo di attività; che nel caso di specie i coefficienti numerici sono stati applicati su valori economici dedotti dalle dichiarazioni aziendali; infine che i contribuenti non hanno fornito alcuna prova di uno stato reddituale dell’azienda diverso da quello rilevato dall’Ufficio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 817 del 1986, artt. 81 e 82 nonchè D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, i ricorrenti sostengono che i giudici d’appello avrebbero erroneamente ritenuto che l’imposta sui redditi di capitale debba essere commisurata al valore di mercato della quota ceduta e non al differenziale tra il corrispettivo percepito e il costo di acquisto, vigendo in materia il principio di tassazione per cassa sul realizzato.

Aggiungono i ricorrenti che i giudici d’appello avrebbero errato nell’utilizzare coefficienti standard da applicare ai risultati economici aggregati dell’impresa per determinare la valutazione dell’azienda, non essendo possibile cogliere in modo attendibile il valore del complesso d’impresa organizzato prescindendo dall’analisi di bilancio.

Le censure sono in parte infondate e in parte inammissibili.

Come espressamente affermato in sentenza (e a differenza di quanto affermato in ricorso), l’imposta non è stata calcolata sul valore di mercato della quota ceduta, ma il presupposto di imposta è stato correttamente riferito a quanto realizzato in sede di cessione, determinando il realizzato con ragionamento presuntivo; in proposito, i giudici d’appello hanno espressamente affermato che all’accertamento e alla verifica delle imposte sostitutive non dichiarate e non versate si applicano le disposizioni in materia di imposta sui redditi e quindi il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e tale affermazione non risulta censurata in questa sede.

I suddetti giudici hanno altresì affermato che nella specie sussistono indizi gravi, precisi e concordanti della realizzazione dalla cessione delle quote di un reddito maggiore di quello dichiarato, ed anche questa affermazione non risulta censurata, dovendo peraltro rilevarsi che, secondo la univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo (nella specie non proposta) non può in ogni caso limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (v. tra le altre, da ultimo, Cass. n. 8023 del 2009).

E’ inoltre da rilevare che nella sentenza impugnata si è altresì affermato che non esiste un metodo di calcolo tassativamente disciplinato dalla legge per determinare il valore delle quote cedute e che la natura dell’attività aziendale svolta non incide sulla percentuale di redditività o sull’indice di capitalizzazione, essendo essi coefficienti numerici astratti validi per qualunque tipo di attività: nessuna ai tali affermazioni è stata censurata in questa sede, sicchè risulta assolutamente generica, e priva di ogni riscontro giuridico o fattuale, l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale i giudici d’appello non avrebbero dovuto utilizzare coefficienti standard da applicare ai risultati economici aggregati dell’impresa per determinare la valutazione dell’azienda, non essendo possibile cogliere in modo attendibile il valore del complesso d’impresa organizzato prescindendo dall’analisi di bilancio.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza ai attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

 

 

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