Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5682 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 5682 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: FERRO MASSIMO

Data pubblicazione: 12/03/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente Contro

EREDI di MIGLIETTA PALMA, Maglio Silvana, Maglio Corrado, Maglio
Sergio, rappr. e dif. dall’avv. Antonio Bolognese del foro di Lecce, elett. dom. in
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estensore

ferro

Roma, via G.G.Porro n.18 presso e nello studio dell’avv. Jacopo Vivaldi, come da
procura in calce all’atto
-controricorrenteper la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Bari, Sez.dist. Lecce
27.4.2006;

uditi l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per la ricorrente e l’avvocato Jacopo
Vivaldi per i controricorrenti;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.ssa Paola
Mastroberardino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale di Bari, sezione distaccata di Lecce, 27.4.2006 che, in conferma della
sentenza C.T.P. di Lecce n. 176/06/2005, ebbe a respingere l’appello dell’Ufficio,
ribadendo la illegittimità dell’avviso di accertamento, già emesso ai fini IRPEF ed
ILOR, con riguardo all’anno d’imposta 1987 in capo a Palma Miglietta e per il quale,
anche a giudizio del giudice di secondo grado, l’Ufficio si era avvalso della procedura
di cui gli artt. 42 e 39 d.P.R. n.600/1973, ma sulla base di elementi insufficienti a
dimostrare l’ipotesi di maggiori ricavi, da cui sarebbero scaturiti maggiori IRPEF ed
ILOR.
Ritenne in particolare la C.T.R. che erano giustificate l’omessa tenuta del libro
magazzino (seguendo la contribuente il criterio del commercio al minuto, gerito negli
stessi locali insieme al commercio all’ingrosso e comunque avendo condonato le
irregolarità formali ex art.21 d.l. n. 69/1989, oltre che aderito al condono integrativo
semplice di cui all’art.36 1. n.413/1991) ed altresì la imputazione all’impresa
individuale della Miglietta (subentrata a quella di Maglio Ettore, deceduto, e del quale
aveva acquisito la partita IVA) dei costi riferiti a canoni dei contratti di leasing in
subentro, oltre che delle quote di ammortamento annotate sui libri dell’impresa
Eredi di Ettore Maglio da cui l’azienda era pervenuta mortis causa.
Il ricorso è affidato a due motivi e resistito con controricorso dagli eredi di
Palma Miglietta, a sua volta deceduta il 3.4.2007.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione di legge quanto all’art.
39, co. 2 d.P.R. n.600/1973 112 cod.proc.civ., per avere la C.T.R. erroneamente
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estensore co

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 17 gennaio
2014 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

Con il secondo motivo, si deduce la violazione di legge con riguardo all’art.74,
ult.co., d.P.R. n. 597/1973 e l’illogica motivazione su punto decisivo, con riferimento
agli ammortamenti avendo la C.T.R. ritenuto fosse sufficiente la loro indicazione nel
registro contabile dell’impresa del dante causa, omettendo invece di considerare che
la mancata contabilizzazione di essi tra le poste passive dell’impresa della
contribuente ne precludeva la deducibilità.
1. Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato, contravvenendo in più
punti la censura a principi consolidati in materia ed in particolare errando ove
disconosce che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il discrimine tra
l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile (rivendicato dalla
ricorrente Agenzia) e quello condotto con metodo induttivo (invero affermato dalla
C.T.R.) sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti
dalle scritture contabili: nel primo caso, /a incompletezza, falsità od inesattezza degli
elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili,
essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a completare le lacune riscontrate,
utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito
non dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729
cod.civ.; nel secondo caso, invece, le omissioni o le false od inesatte indicazioni risultano tali
da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche
degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che
l’amministrazione finanziaria può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e
delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base
ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex
artt. 2727 e 2729 cod. civ. Secondo l’indirizzo di questa Corte “ne consegue che l’eventuale
errore qualificatorio del giudice di merito, sul tipo di accertamento, non rileva ex se come violazione
di legge, ma refluisce in un errore sull’attività processuale ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc.
civ. o in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio, ex art. 360, primo comma,
n. 5 cod. proc. civ. (Cass. 17952/2013). Nella specie, inoltre, si deve aggiungere che la
presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità
dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo
comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma solo qualora la contabilità
stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i
criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del
comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’Ufficio
dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di
presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori
costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali
di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del
contribuente (Cas s. 7871/2012).
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estensore

qualificato come induttivo, anziché analitico con integrazione presuntiva
extracontabile, il metodo di verifica dei maggiori ricavi applicato all’impresa della
contribuente, dalla cui contabilità infatti erano state estratte le statistiche impiegate
per ricostruire il ricarico più probabile sul venduto.

2. Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Osserva invero il Collegio
che la S.C. già ha statuito, con indirizzo cui si aderisce, che “nel ricorso per cassazione, il
motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla
elencazione delle norme che si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è
inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla
compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio
di violazione di legge o del vizio di motivazione.” (Cass. 21611/2013). In ogni caso, la
censura nemmeno si è accompagnata alla distinta formulazione, “per il primo vizio, del
quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice
previsione di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.” (Cass. 12248/2013), così pregiudicando il
dispiegamento della funzione nomofilattica del giudice di legittimità. Tale sintesi non
si identifica invero con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 comma 1, n. 4
cod. proc. civ., ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del
nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto
determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al
ricorrente (Cass. 5858/2013).
La incerta individuazione del punto decisivo consegue d’altro canto al rinvenimento
nel motivo di una fattispecie concreta (l’apprezzamento degli ammortamenti) in realtà
considerata da parte della C.T.R, che con valutazione analitica ha dato conto che essi
già risultavano come costi nella contabilità originariamente formata dal dante causa
della contribuente la quale, assumendone la medesima partita IVA, aveva anche in tal
modo espresso una continuità di gestione piena altresì dal punto di vista contabile,
incompatibile con la nozione di incompletezza che avrebbe giustificato anche solo
l’accertamento analitico di cui all’art.39, co.1, lett.d) d.P.R. n. 600/1973.
Il ricorso va pertanto respinto, con condanna alle spese secondo le regole della
soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

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est

E tuttavia, da un lato, l’Ufficio ha omesso, in questa finale sede della controversia, di
riportare almeno per passi salienti o trascrivere l’avviso di accertamento, così
impedendo a questo Giudice il riconoscimento dell’erronea interpretazione quale
ipotizzata nel ricorso, richiamo descrittivo puntuale tanto più necessario (Cass.
9536/2013) – per un atto non processuale ma amministrativo – quanto più molteplici
elementi dell’accertamento sarebbero stati viziati da inconferenza o difetto di valore
presuntivo al fine della ripresa di ricavi non dichiarati. Dall’altro lato, l’apprezzamento
di fatto espresso dalla C.T.R. per il complesso delle circostanze elevate dall’Ufficio a
fattori di dubbio, e conseguente ragione di ricalcolo, dei ricavi, appare descritto in
puntuali passaggi esplicativi, senza che la decisione, per tale parte, risulti
analiticamente censurata ed affrontata criticamente dalla ricorrente.

ESENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. N. 5
MATERIA TRIBUTARIA

La Corte rigetta il ricorso, per l’effetto condannando il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento, liquidate in Euro 6.200, oltre ad Euro 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 gennaio 2014.

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