Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5679 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 5679 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 20202-2009 proposto da:
IPM SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
GAVINANA 4, presso lo studio dell’avvocato ANGELINI
DOMENICO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato TUMMINELLI MICHELE giusta delega a
margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 12/03/2014

’ STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controrícorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI COMO;
– intimato –

di MILANO, depositata il 26/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. LAURA
TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ANGELINI che si
riporta;
udito per il controricorrente l’Avvocato MADDALO che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 46/2008 della COMM.TRIB.REG.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di due processi verbali di constatazione, il primo della Guardia di
Finanza in data 17.12.2002 ed il secondo dell’Agenzia delle Entrate — Ufficio di
Como — in data 22.10.2004, veniva accertato nei confronti della I.P.M SRL in

a)

una maggiore IVA a debito per euro 17.145,37 (p.v.c. G. di F.) per

erronea applicazione dello speciale “regime del margine” in sede di acquisto e
rivendita di autovetture usate;
b)

una maggiore IVA a debito per euro 24.474,10 (p.v.c. Agenzia delle

Entrate) per il mancato versamento dell’IVA sulla cessione di 8 autovetture alla
“Best Cars” società con sede in Francia;
c)

una maggiore IVA a debito per euro 90.540,00 (p.v.c. Agenzia delle

Entrate) per vendita di autoveicoli alla ditta Autopiazza di Piazza Luciano, che aveva
rilasciato “la dichiarazione di intenti” prevista dall’ art.8 comma 2 del DPR 633/72
attestante lo status di esportatore abituale senza però aver mai presentato
dichiarazione IVA e senza mai aver eseguito alcun versamento della detta imposta.
L’impugnazione del relativo avviso di accertamento proposto dalla società
contribuente veniva accolto dalla CTP di Como limitatamente all’accertamento di
maggior IVA di euro 17.146,37, di cui sub a).
Tale decisione era impugnata in via principale dalla Agenzie delle Entrate ed in
via incidentale dalla I.P.M. SRL in liquidazione.
La Commissione Tributaria Regionale di Milano, previo rigetto dell’appello
incidentale ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava l’avviso
di accertamento.
R.G.N.20202/2009

Cons. estensore Laura Tricorni

liquidazione, società operante nel commercio di autoveicoli:

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In merito all’accertamento sub a) la Commissione sottolineava che le
indagini svolte dalla G. di F., sulla scorta della assistenza amministrativa degli organi
statali del Belgio, avevano evidenziato che gli autoveicoli acquistati dalla I.P.M. non
erano assoggettabili al regime del margine in quanto gli ultimi intestatari esteri erano

automobilistiche che non rientravano nella categoria dei cedenti che potevano
consentire alla concessionaria italiana, anche tramite la cedente società belga JR
AUTO SPRL, l’applicazione del regime del margine ed avevano rilevato una
difformità tra le fatture in possesso della società belga – che recavano la dicitura
“consegna intracomunitaria esente da IVA” – e quelle possedute dalla società italiana
che presentavano un timbro con la dicitura “consegna soggetta al regime di
imposizione del margine IVA non deducibile”, difformità che deponeva per la
esenzione dell’imposta nello stato di origine, ma per l’imposizione della medesima
nello stato di destinazione al regime ordinario. In particolare la Commissione
affermava che la società contribuente avrebbe dovuto pervenire alla medesima
conclusione sulla scorta della documentazione amministrativa e fiscale ed in
particolare in base all’esame dei libretti e delle carte di circolazione che avrebbero
evidenziato la carenza dei presupposti indispensabili per l’applicazione del regime
del margine, nonostante il tenore letterale della fatturazione consegnata alla
cessionaria, posto che incombe al cessionario come soggetto passivo di imposta
l’obbligo di verificare il regime IVA applicabile.
In merito all’accertamento sub b) e c) la CTR affermava la irrilevanza della
sentenza penale di assoluzione emessa a favore dell’amministratore della società
I.P.M. SRL in liquidazione dall’imputazione di frode fiscale in ordine al regime

R.G.N.20202/2009

Cons. estensore Laura Tricorni

società di autonoleggio, leasing, special service, transport, etc o addirittura case

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fiscale agevolativo applicato dalla IPM SRL, che aveva giudicato circa la ricorrenza
o meno di una condotta penalmente rilevante e non sulla esistenza o meno della
pretesa tributaria; sottolineava quindi che la questione della mancanza di danno
erariale, sollevata dalla società appellante, era del tutto improponibile ed

estranei al giudizio.
Precisava, nel prosieguo, che le otto fatture relative alla vendita di autoveicoli
alla società francese Best Cars “concernevano vendite simulate, in quanto le
autovetture, oggetto delle cessioni, non hanno mai lasciato il suolo italiano e le
operazioni di immatricolazione a nome di acquirenti finali residenti in Italia, sono
avvenute prima dell’emissione delle fatture da parte della società contribuente alla
società francese” e che la ditta Autopiazza risultava essere evasore totale in
relazione alle cessioni intercorse con la società contribuente.
Avverso la sentenza n.46/32/08 della CTR di Milano, non notificata, la I.P.M.
SRL in liquidazione ha proposto ricorso per la cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt.36, comma 1 e 10, della L 85/1995, 6
comma 8 del DLGS 471/1997 (anche con riferimento all’art.46, comma 5, e 53,
comma 3, del DL 331/1993) e 54 DPR 633/72 in relazione all’art.360, comma 1 n.
3, cpc.
Afferma infatti che non è stata contestata la regolarità della sua condotta, in
quanto aveva usufruito del regime del “margine” in ragione delle fatture fiscali
R.G.N.20202/2009

Cons. estensore Laura Tricomi

inammissibile nel giudizio in quanto relativa ad un rapporto giuridico con soggetti

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ricevute dalle ditte fornitrici, che attestavano l’esistenza delle condizioni oggettive e
soggettive previste dall’art.36 della L 85/1995 per l’acquisto di autoveicoli usati, e
che la Commissione ha errato nel ritenere che la società fosse obbligata a sindacare
le condizioni di sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del regime del margine

fosse già attestato nella documentazione fiscale ricevuta dall’emittente.
Sostiene quindi che, in ipotesi di emissione di fattura irregolare doveva essere
utilizzato l’art. 6, comma 8, del DLGS 471/1997, applicabile anche alle transazioni
tra soggetti comunitari ai sensi dell’art.46, comma 2, del DL 331/1993, che non
prevede la responsabilità tributaria del cessionario, ma la possibilità di
regolarizzazione da parte del cessionario, senza porre a suo carico un dovere di
controllo e di verifica dei titoli di esenzione vantati dal cedente; secondo la ricorrente
peraltro le fatture erano conformi alle prescrizioni previste dall’art.21, comma 2, del
DPR 633/1972 e dalle stesse risultava che gli autoveicoli erano soggetti al regime del
margine. Inoltre non era previsto alcun maggior onere di controllo e sindacato delle
valutazioni espresse dall’emittente nelle fatture a carico della cessionaria, controllo
che era stata possibile all’Ufficio solo con la collaborazione dell’autorità fiscale del
Belgio.
Formula il seguente quesito di diritto: “Dica Codesta Corte se il cessionario
italiano che abbia effettuato acquisti intracomunitari di autoveicoli usati, con
applicazione del regime del margine previsto dagli artt. 36 comma 1 e 10 della
Legge 22 marzo 1995 n.85, e che riceva dal cedente la fattura contenete tutti gli
elementi previsti dall’art.21 comma 2 del DPR 633/72 (richiamato dall’art.46,
comma 2, del DL n.331/1993) rappresentativi dell’atto negoziale e dei dati di fatto
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Cons. estensore Laura Tricorni

in ragione di un principio generale di buona fede e di diligenza, al di là di quanto

fiscalmente rilevanti per l’applicazione di tale regime, sia comunque obbligato a
regolarizzare la fattura ai sensi dell’art.6, comma 8, del DLGS 471/1997 ed a
versare il tributo ed a presentare la dichiarazione esponente le operazioni
regolarizzate, qualora gli elementi identificativi della cessione dei beni descritta

che comporti l’inesistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi di applicazione del
regime del margine, non risulti dalle indicazioni contenute nella fattura e sia
acclarabile esclusivamente a mezzo di controlli fiscali diversi e che le sole Autorità
fiscali comunitarie hanno il potere di eseguire presso il cedente”
1.2. L’Agenzia delle Entrate, contro ricorrente, contesta la ammissibilità del
motivo, o comunque la fondatezza, e ne chiede il rigetto.
1.3. Il motivo è infondato e va respinto.
1.4. Come più volte affermato da questa Corte, con argomenti che si
condividono “In tema di IVA, il regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l.
23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, siccome
rappresenta un regime speciale rispetto all’ordinario regime impositivo riguardante
gli acquisti intracomunitari, impone al contribuente di provare la sussistenza dei
presupposti che ne consentono l’applicazione, e, quindi, la mancata detrazione
dell’IVA all’acquisto da parte del cedente, tutte le volte in cui la contestazione
dell’Amministrazione trovi fondamento in elementi oggettivi che privino di
attendibilità le indicazioni contenute nella fattura emessa nei confronti del
cessionario.” (Cass. Sent. n. 8828/2012). In particolare va ribadito che “In tema di
IVA, ai fini dell’applicazione negli acquisti intra-comunitari del regime del margine
di utile di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22
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Cons. estensore Laura Tricorni

nella fattura ricevuta siano divergenti da quella effettiva e reale, e tale divergenza,

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marzo 1995, n. 85, non costituisce unica condizione la regolarità formale della fattura
emessa dal cedente, poiché in tal modo si attribuirebbe a tale documento un’efficacia
probatoria, in realtà non prevista, in relazione all’esistenza dei presupposti

giustificativi di tale regime fiscale, e cioè che il cedente abbia assolto l’imposta in

disposizione, configurandosi o come privato consumatore, o come soggetto che non
abbia potuto detrarre l’imposta per aver destinato i beni ad attività esente, ovvero che
agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro, ovvero ancora che abbia a
sua volta assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.” (Cass. Sent.
n. 8828/2012).
Pertanto, come nel caso in esame, “Colui il quale intenda avvalersi, per il
pagamento dell’IVA su beni acquistati da soggetti residenti in altro Stato membro,
dello speciale regime del “margine di utile”, ha l’obbligo di accertarsi della
sussistenza dei presupposti di applicabilità di quel regime, tra i quali la circostanza
che il cedente del bene non abbia potuto esercitare, nel suo Paese, alcuna rivalsa per
l’imposta versata quando acquistò quel bene. Tale accertamento non può limitarsi ad
un mero controllo di regolarità formale delle fatture emesse dal cedente, ma deve
estendersi al controllo della regolarità sostanziale dell’operazione, a condizione che
esso sia possibile alla stregua dell’ordinaria diligenza esigibile dal cessionario” (Cass.
Sent. n. 8636/2012).
Nel caso di specie va osservato che la qualità della società ricorrente,
professionalmente dedita al commercio di autoveicoli usati di provenienza estera,
per quanto interessa, ben le avrebbe consentito di accertare, in base all’esame dei
rispettivi documenti di circolazione e della documentazione accompagnatoria dei

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Cons. estensore Laura Tricorni

modo definitivo e risponda ad uno dei requisiti soggettivi indicati dalla medesima

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veicoli e di quanto ritenuto utile a tal fine, l’uso cui erano stati destinati dal cedente
straniero, dai suoi danti causa e le loro qualità soggettive, e di conseguenza, stabilire
se fosse verosimile che questi non avesse esercitato il diritto di rivalsa per l’IVA
pagata sull’acquisto, come d’altronde era suo dovere fare, in considerazione della

considerato dalla CTR.
Del tutto inconferente è il richiamo alla disciplina della regolarizzazione delle
fatture, invece ampiamente invocata dalla ricorrente, atteso che nel caso in esame si
controverte sul regime fiscale applicabile in concreto alle specifiche operazioni
commerciali, e non su questioni formali di formazione delle fatture.
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente società deduce il vizio di violazione di
legge per falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, DPR 633/1972 in relazione
all’art.360, comma 1 n.3, cpc.
In particolare la ricorrente sostiene, con riferimento alla vendita a favore della
Autopiazza (accertamento sub c), che la disciplina di cui all’art.8, comma 2, DPR
633/1972 era stata rispettata dalla società cedente poiché la Autopiazza, dichiaratasi
esportatore abituale aveva rilasciato la dichiarazione di intenti, senza che alcun
rilievo potesse assumere a suo carico la circostanza che detto soggetto avesse omesso
la presentazione della dichiarazione e non avesse provveduto al versamento
dell’IVA, condotte che non potevano rientrare nella conoscibilità giuridica della
società cedente e richiama in proposito la sentenza della Corte di Cassazione
n.28948/2008.
Formula il seguente quesito di diritto: “Dica Codesta Corte se il cedente, che
riceva dal cessionario la dichiarazione di cui all’art.8, comma 2, DPR n.633 del

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Cons. estensore Laura Tricorni

richiesta di accedere ad un regime fiscale speciale, così come correttamente

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1972, riscontrata la conformità alle disposizioni di legge della dichiarazione di
intento null’altro sia tenuto ad eseguire se non l’emissione della fattura senza
pagamento dell’imposta, rimanendo la responsabilità derivante da una eventuale
falsità dell’attestazione totalmente a carico di colui che emetta tale dichiarazione”.

motivo di ricorso non espressamente formulato in sede di appello incidentale, o
comunque la infondatezza, e ne chiede il rigetto.
2.3. Il motivo è inammissibile e va respinto.
Dalle lettura della impugnata sentenza risulta che i motivi di appello
incidentale proposti dalla I.P.M. SRL in liquidazione, in merito agli accertamenti sub
b) e c), riguardavano solo l’effetto della intervenuta assoluzione in sede penale del
legale rappresentante della società stessa rispetto alla posizione tributaria della
società e la mancanza di danno erariale, né la ricorrente ha dedotto una omessa
motivazione da parte del giudice di seconde cure in merito a tale doglianza.
In applicazione del principio già affermato da questa Corte, secondo il quale
“Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia
cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una
statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta
loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio
precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis”
la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.”
(Cass. Sent. n.23675/2013), il motivo va dichiarato inammissibile. Nel caso in
esame, infatti, dalla lettura della sentenza impugnata non emerge la prospettazione

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Cons. estensore Laura Tricorni

2.2. La Agenzia delle Entrate, contro ricorrente, eccepisce la novità di questo

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dell’odierno motivo di impugnazione relativo alla differente posizione del cedente
rispetto al cessionario in relazione all’applicazione dell’art.8, comma 2, DPR
633/1972, né il ricorrente ha indicato in quale specifico atto del giudizio precedente
la abbia fatto.

ricorrente non può essere condiviso.
La Corte ha affermato che la non imponibilità delle cessioni all’esportazione
fatte nei confronti di esportatori abituali – prevista dal l’art. 8, comma 1, lett. c) DPR
633/72 – è subordinata, nella disciplina del DL 746/1983, all’emissione di specifica
“dichiarazione d’intento” da parte dell’esportatore (art. 1, comma 1, lett. c), mentre il
soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non
è tenuto ad eseguire alcun altro controllo, rimanendo a carico di chi emette tale
dichiarazione la responsabilità, anche penale, derivante dall”eventuale falsità (C.
21956/2010). Quindi ha precisato che, solo quando la dichiarazione stessa esista e
non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale
falsità (cioè non abbia la consapevolezza che l’operazione non sia destinata
all’esportazione, ma abbia una destinazione nazionale), per detto cedente l’operazione
deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell’effettiva avvenuta
esportazione della merce (ult. cit.). In caso contrario, viene meno la fattispecie
delineata dall’art. 8 DPR 633/72 per mancanza originaria dell’elemento che
caratterizza quel modello legale; ciò comporta che l’operazione commerciale posta in
essere, non potendosi considerare in regime di esenzione, obblighi il cedente, ai sensi
dell’art. 17 DPR 633/72, a versare egli stesso l’imposta (cfr. anche Cass. Sent.
16819/2008). Più di recente, la Corte di legittimità ha approfonditamente chiarito
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Cons. estensore Laura Tricorni

E’ comunque, opportuno ricordare nel merito che quanto affermato dalla

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che, la non imponibilità delle cessioni di beni asseritamente destinati all’esportazione,
subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario sulla
destinazione del bene fuori del territorio comunitario e al possesso dei requisiti
soggettivi e oggettivi previsti dalla norma, viene meno qualora si accerti che i beni

falsa. In questo caso l’obbligo del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali
beni può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato
tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione
effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode (Cass. Sent. 12751/2011, arg. ex
Corte Giust. CE, 27 settembre 2007, C-409/04, 68 e 72, in tema cessione e acquisto
intracomunitari; Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7389 del 11/05/2012), secondo il
principio correttamente applicato dalla CTR.
3.1. Con il terzo motivo, relativo all’accertamento sub b), la ricorrente lamenta
la violazione per falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cc (con riferimento
all’art.41 DL 331/1993 e 22 Direttiva 17.05.1977 n.388) in relazione all’art.360,
comma 1 n.3 cpc; l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio in relazione all’art.360 n.5 cpc. In particolare la ricorrente
afferma di avere venduto otto autoveicoli alla società francese Best Cars San l senza
assoggettarle al tributo IVA in applicazione del citato art.41 e di avere provveduto al
deposito presso la Dogana di Como — Ufficio IVA Intracomunitaria – degli elenchi
riepilogativi delle cessioni intracomunitarie (Modelli INTRA) secondo le
disposizioni vigenti. Contesta quindi quanto posto a base dell’accertamento dalla
Agenzia delle Entrate, e cioè che le autovetture non sarebbero state vendute in
Francia, ma in Italia, affermando che tale conclusione non era stata provata con la
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Cons. estensore Laura Tricorni

non siano stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione sia ideologicamente

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produzione delle carte di circolazione degli autoveicoli e che la decisione della CTR
era fondata su mere allegazioni in violazione degli oneri probatori ricadenti sulla
Amministrazione.
Formula il seguente quesito di diritto: “Dica Codesta Corte se il soggetto che

l’avvenuta esportazione dei beni oggetto della vendita a mezzo dei modelli Intrastat
redatti in conformità della Direttiva 17 maggio 1977 n.388 e depositati presso la
competente Dogana e se sia sufficiente ai fini dell’articolazione della prova
contraria ex art. 2697 cc, la mera produzione in giudizio del verbale di constatazione
(nel quale si contesti l ‘immatricolazione delle autovetture nel territorio italiano)
ovvero dei certificati di immatricolazione attestanti l’esistenza del fatto costitutivo
della pretesa tributaria, anche con la connotazione della del fatto-noto
ai fini dell’articolazione della prova presuntiva ex art. 2727 e 2729 cc”.
3.2. La Agenzia delle Entrate eccepisce l’inammissibilità del motivo perché
attinente a mere questioni di fatto, peraltro documentalmente smentite, a suo dire, dal
contenuto del p.v.c e dalla documentazione probatoria ad esso allegata.
3.3. Il motivo è infondato e va respinto.
Come più volte affermato da questa Corte va osservato che l’art.50 del DL
331/1993 – che descrive gli obblighi connessi agli scambi intracomunitari e, nel
primo comma, recita: “le cessioni intracomunitarie… sono effettuate senza
applicazione dell’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano
comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dallo Stato membro di
appartenenza” – opera su un piano distinto dalla identificazione degli elementi
costituivi della fattispecie descritti dalla norma che individua i presupposti della
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Cons. estensore Laura Tricorni

esegua una vendita intracomunitaria di autoveicoli assolva all’obbligo di dimostrare

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“operazione intracomunitaria non imponibile” (ossia l’art.41 del DL. 331/1993). Il
citato art.50, infatti, prescrive adempimenti formali (obbligo del cessionario di
comunicare il proprio numero identificativo: conferma della validità del codice da
parte dell’Amministrazione finanziaria; trasmissione degli elenchi riepilogativi delle

da parte degli Uffici finanziari ed a contenere il rischio di atti elusivi o di natura
fraudolenta, ma non detta alcuna disciplina in ordine alle modalità di soddisfazione,
da parte del cedente, dell’onere di provare la sussistenza dei presupposti applicativi
dell’esenzione e, in particolare, il presupposto della c.d. “territorialità”. Gli argomenti
svolti nel ricorso (motivo 3 ) – secondo cui per godere del regime di non imponibilità
al cedente sarebbe sufficiente avere redatto e depositato regolarmente il modello
INTRA – va dunque disatteso, perché la norma tributaria richiede espressamente,
quale presupposto della non imponibilità, che i beni abbiano fisicamente raggiunto il
territorio di un altro Stato membro e il principio generale di cui all’art. 2697 c.c. pone
a carico del soggetto che intende avvalersi dell’esenzione l’onere di fornire la prova
dei relativi fatti costitutivi.
Pertanto, qualora, come nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria
pretenda di recuperare l’IVA dal cedente contestando che i beni ceduti siano stati
introdotti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto di imposta
(e quindi negando la sussumibilità dell’operazione nello schema normativo della
cessione “intracomunitaria”), il fatto che il contribuente cedente abbia depositato
presso la Dogana – Ufficio IVA Intracomunitaria l’elenco riepilogativo delle
cessioni intracomunitarie non vale a sollevarlo dall’onere di provare la introduzione
dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro di destinazione.
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Cons. estensore Laura Tricorni

cessioni e degli acquisiti intracomunitari) volti ad agevolare il successivo controllo

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Deve quindi riaffermarsi e darsi seguito al principio di diritto già
reiteratamente espresso da questa Corte secondo cui in tema di IVA, nel caso in cui
l’Amministrazione finanziaria contesti, pretendendo il versamento dell’imposta non
versata, la non imponibilità – ai sensi del DL 30 agosto 1993, n. 331, art. 41, comma

intracomunitaria di beni a titolo oneroso, per difetto del presupposto dell’introduzione
dei beni ceduti nel territorio di altro Stato membro, grava sul cedente la prova dei
fatti costitutivi del diritto, che intende far valere in giudizio, di fruire della deroga
agevolativa rispetto al normale regime impositivo; ne’ è sufficiente, a tal fine, la
prova di aver depositato il modello INTRA e di avere debitamente indicato l’elenco
riepilogativo delle cessioni intracomunitarie, trattandosi dell’adempimento di
obblighi formali prescritti per agevolare il successivo controllo ed evitare atti elusivi
o di natura fraudolenta, ed occorrendo invece – avuto riguardo alla espressa
previsione del DL n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a), secondo cui la cessione
non imponibile si realizza mediante il trasporto o la spedizione dei beni nel territorio
di un altro Stato membro – la prova dell’effettiva destinazione dei beni ceduti nel
territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto di imposta ( così
Cass.13457/2012 e Cass. 20575/11; nello stesso senso, Cass. 3603/09, che
richiamano a supporto la giurisprudenza di questa Corte in materia di cessioni alla
esportazione disciplinate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, la quale costantemente
afferma che grava sul cedente la prova del trasporto o spedizione del bene ceduto sentenze nn. 6351/02, 9104/02, 12608/06-; si veda anche Cass. 21956/10, ove si
afferma che, sempre in tema di cessione all’esportazione, nel caso di c.d.

R.G.N.20202/2009

Cons. estensore Laura Tricorni

1, lett. a), prima parte, convertito nella L 29 ottobre 1993, n. 427 – della cessione

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triangolazione grava sul cedente l’onere della prova dell’avvenuta uscita della merce
dal territorio doganale dell’Unione).
Così definito l’argomento dei presupposti del regime di non imponibilità IVA
in materia di cessioni intracomunitarie, e relativo onere probatorio, il motivo, relativo

sopra precisato, l’onere di provare l’uscita delle merci dal territorio nazionale grava
sul contribuente cedente.
4. In conclusione il ricorso va integralmente disatteso con condanna della
ricorrente alle spese del presente giudizio, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese del
giudizio di legittimità in €.7.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, camera di consiglio del 14 gennaio 2014.

alla violazione degli art. 2697, 2727 e 2729 c.c., risulta infondato perché, come

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