Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5673 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, (ud. 05/02/2021, dep. 02/03/2021), n.5673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9629/2015 r.g. proposto da:

COMPAGNIA TIRRENA DI ASSICURAZIONI S.P.A., in liquidazione coatta

amministrativa (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del commissario liquidatore Avv. L.A.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine

del ricorso, dall’Avvocato Prof. Enrico del Prato, presso il cui

studio elettivamente domicilia in Roma, al viale Bruno Buozzi n. 10.

– ricorrente e controricorrente in via incidentale –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del procuratore speciale Avv. M.D.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dagli Avvocati Franco M. Mastracchio, e Giorgio

Assumma, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, alla via Giovanni Nicotera n. 29.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

17/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 05/02/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 22 aprile 2004, n. 12673, il Tribunale di Roma, in accoglimento, per quanto di ragione, della corrispondente opposizione, L. Fall., ex artt. 209 e 98, promossa dalla banca San Paolo Imi s.p.a. (oggi Intesa Sanpaolo s.p.a., idem per il prosieguo), così ammise quest’ultima allo stato passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa della compagnia Tirrena Assicurazioni s.p.a. (d’ora in avanti, breviter Procedura): i) in chirografo, nella misura del controvalore in Euro di Lire 14.374.080.000, da cui andava detratto il controvalore di Ecu 1.382.750; ii) in chirografo, per interessi come in motivazione, dal 16 ottobre 1991 al 31 maggio 1993, in misura pari al controvalore in Euro di Lire 1.165.678.000 e, dal 30 dicembre 1991 al 31 maggio 1993, in misura pari al controvalore in Euro di Lire 951.052.142, da cui andava detratta la somma pari al controvalore in Euro di ECU 460.917. La relativa pretesa creditoria si fondava su lettres de patronage del 2 ottobre e 15 dicembre 1989, rilasciate dalla menzionata compagnia in bonis (unitamente ed in solido alle altre compagnie assicurative SIDA, Unione Euro Americana e Lloyd Internazionale, quest’ultima, poi, fusasi, per incorporazione nella Milano Assicurazioni s.p.a.) per garantire ad Intesa Sanpaolo s.p.a. la restituzione, da parte della propria controllata Edilizia Borghese s.p.a., di due finanziamenti di quattro milioni di ECU ciascuno erogati il 10 ottobre ed il 18 dicembre 1989.

2. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 4 febbraio 2008, n. 431, rigettò l’appello proposto dalla Procedura contro quella decisione, reputando, per quanto qui di interesse, che fosse infondata la pretesa del commissario liquidatore di profittare di una transazione in precedenza stipulata da Intesa Sanpaolo s.p.a. con un altro debitore in solido, la Milano Assicurazioni s.p.a., avendo le parti dell’accordo transattivo espressamente limitato gli effetti di detto accordo ai reciproci rapporti, e che il credito dell’opponente/appellata era stato ammesso al passivo previa detrazione di quanto già riscosso in adempimento della surriferita transazione.

3. Questa Suprema Corte, decidendo sul ricorso per cassazione proposto dalla medesima Procedura avverso la descritta statuizione, con sentenza del 30 dicembre 2011, n. 30174, resa a Sezioni Unite, ne accolse i motivi quarto (che, sotto il profilo della violazione di legge e della motivazione omessa, aveva censurato la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che la Procedura non potesse beneficiare, ai sensi dell’art. 1304 c.c., della transazione stipulata tra Intesa ed uno dei coobbligati solidali) e quinto (formulato subordinatamente al rigetto degli altri, con cui si era dedotto che il giudice di merito aveva errato nel calcolo del credito da ammettere al passivo della liquidazione coatta: da tale importo, infatti, si sarebbe dovuto detrarre quanto già percepito da Intesa per effetto della transazioni stipulate con l’altro condebitore, ma tale importo – risultante da due diverse quietanze – era stato detratto solo per la metà), rigettando gli altri. Cassò la sentenza impugnata e rinviò la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui fissò i seguenti principi di diritto: “Il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in solido non può profittarne se, trattandosi di un’obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà prevista nell’interesse del creditore, l’applicazione dei criteri legali d’interpretazione dei contratti porti alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l’intero debito ma solo la quota di esso riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario il condebitore ha diritto a profittare della transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo. Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto”.

4. La corte di rinvio, con sentenza dell’1/17 luglio 2014, n. 4841, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 12673/2004, ha ammesso, in via chirografaria, il complessivo credito di Intesa Sanpaolo s.p.a. di Euro 5.094.617,95, così rideterminato: i) in linea capitale, per un controvalore in Euro di Lire 14.374.080.000 (cioè Euro 7.423.592,78), meno il controvalore in Euro di ECU 2.765.500 (pari ad Euro 2.566.349,24), per un totale di Euro 4.857.349,54; ii) per interessi dal 16 ottobre 1991 al 31 maggio 1993, pari al controvalore in Euro di Lire 1.165.678.000 (cioè Euro 602.022,45) e, dal 30 dicembre 1991 al 31 maggio 1993, pari al controvalore in Euro di Lire 950.052.142 (cioè Euro 490.660,98) meno il controvalore in Euro di ECU 921.834 (pari ad e 855.415,02) per un totale di Euro 237.268,41. Ha altresì compensato tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio nella misura del 25%, e condannato la Procedura al pagamento del residuo 75% in favore di Intesa Sanpaolo s.p.a., come ivi liquidato per ciascun grado.

4.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel giudice, posto che l’oggetto del giudizio di rinvio doveva intendersi “limitato all’accertamento dell’incidenza della transazione intercorsa tra Intesa e Milano Assicurazioni, quest’ultima condebitrice in solido della Compagnia Tirrena, sul credito dell’appellante nei confronti della Procedura e sulla sua quantificazione”, e che detto accertamento doveva “avvenire sulla base dei motivi di appello contro la sentenza di primo grado proposti dalla Procedura sul punto”, ha ritenuto che: i) l’accordo transattivo tra Intesa Sanpaolo s.p.a. e la Milano Assicurazioni era già stato “oggetto d’interpretazione da parte di questa Corte con la sentenza n. 4891/2012 pronunciata, con applicazione dei principi di diritto affermati dalla sentenza della Corte di cassazione n. 30174/2011, in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della compagnia assicurativa SIDA che, quale coobbligato solidale, aveva sottoscritto le lettere di patronage insieme alla Tirrena, al Lloyd Nazionale e alla Unione Euroamericana”. In quella decisione, la corte capitolina, ricordati i principi di diritto affermati dalla richiamata sentenza di legittimità, vincolanti pure nel presente giudizio, aveva affermato che “….l’interpretazione delle transazioni stipulate tra la Milano Assicurazioni (all’epoca della sottoscrizione delle lettere di patronage denominata Lloyd Nazionale) e la spa Intesa Sanpaolo è assai semplice, atteso l’inequivocabile tenore delle stesse. Le due transazioni riguardano esclusivamente la quota di debito gravante sulla Milano. I conteggi esplicitati nelle scritture hanno sempre ad oggetto solo le quote di debito gravanti sulla Milano e mai l’intero debito. Inoltre nelle scritture si legge che la Milano pagherà alla spa Intesa Sanpaolo “a saldo, stralcio e transazione delle pretese fatte valere dalla Banca nei confronti della sola Milano Assicurazioni (…). La Banca rinuncia, nei soli confronti di Milano Assicurazioni, alle domande ed alle pretese ad essa spettanti ai sensi del Finanziamento e della lettera di patronage fermi restando i diritti e i crediti della Banca nei confronti degli altri obbligati in solido…che saranno esercitati dalla Banca nelle sedi competenti””; tale valutazione era “condivisa da questo collegio

atteso che, sulla base dell’indicato tenore degli accordi, alla luce dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., è da escludere che la Milano e la Intesa Sanpaolo abbiano inteso pattuire la riduzione dell’intero debito”; iii) in relazione alla “seconda questione oggetto di rinvio da parte della Suprema Corte, concernente il mancato chiarimento da parte della sentenza cassata dei criteri con i quali era stato quantificato il debito residuo” della Procedura, che, “…ogni questione sull’assenza di specifico motivo d’appello riguardante l’erroneità della quantificazione degli importi da detrarsi è superata avendo la Corte di cassazione disposto che questo giudice di rinvio precisi i criteri di quantificazione del debito residuo gravante sulla Procedura. Ciò posto, l’appello appare fondato sul punto atteso che dalle quietanze prodotte da Intesa Sanpaolo emerge che, in adempimento delle transazioni relative alle garanzie prestate per i finanziamenti del 10 ottobre e del 18 dicembre 1989, la Milano ha corrisposto gli importi di ECU 1.382.750 per capitale di finanziamento e di ECU 460.917 per interessi fino al 31 maggio 1993 per ciascuna delle due transazioni. Gli importi da detrarre ammontano, quindi, come correttamente evidenziato in sede di ricorso per cassazione, al doppio di quelli quantificati dal giudice di primo grado. Sul punto è poi irrilevante quanto dedotto da Intesa sul fatto che, in base alla L. Fall., artt. 61 e 62, la stessa avrebbe diritto di vedere il proprio credito ammesso al passivo per intero nonostante i pagamenti ricevuti dal condebitore solidale. La sentenza di primo grado ha stabilito sul punto che i pagamenti eseguiti dalla Milano debbano essere scomputati, con statuizione ormai coperta da giudicato mentre è rimasto sub indice, in quanto oggetto di rinvio, solo l’ammontare degli importi da scomputare dall’intero”.

5. Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Procedura, affidandosi a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, Intesa Sanpaolo s.p.a., che propone pure ricorso incidentale, con un motivo, a sua volta resistito dalla Procedura. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c. di entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le censure formulate dalla Procedura denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Muovendosi dall’assunto che la corte territoriale si era limitata ad affermare di avere già esaminato, in un’altra sentenza, le transazioni oggetto dell’odierno giudizio, e che, pertanto, aveva ritenuto di ribadirne la ivi già resa interpretazione quanto al loro contenuto, si ascrive a quel giudice di avere del tutto tralasciato di considerare gli argomenti addotti dall’odierna ricorrente principale a supporto della conclusione che dette transazioni, intervenute tra Intesa Sanpaolo e Milano Assicurazioni s.p.a., in relazione al loro contenuto ed alla corretta interpretazione del principio di diritto formulato da Cass., SU, n. 30174 del 2011, non potevano che avere ad oggetto l’intero debito solidale, e non la sola quota della condebitrice Milano Assicurazioni s.p.a.;

II) “Violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Ferme le deduzioni contenute nel primo motivo, si sostiene che l’omesso esame delle difese della Procedura, da parte del giudice di rinvio, aveva comportato la violazione, ad opera di quest’ultimo, del principio della disponibilità delle prove, essendo stato dato per acquisito al giudizio ciò che, invece, era contestato e, pertanto, avrebbe dovuto formare oggetto di prova;

III) “Violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si afferma che le argomentazioni esposte nel primo motivo denotavano pure che la corte di merito, in sede di rinvio, si era sostanzialmente sottratta al dovere di uniformarsi ai principi fissatile dalla menzionata Cass., SU, n. 30174 del 2011;

IV) “Violazione degli artt. 1292-1298, 1304 c.c., art. 1322 c.c., comma 1, artt. 1362,1363,1364 ed 1965 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si contestano le argomentazioni e le conclusioni raggiunte dalla corte di rinvio in ordine all’effettivo contenuto delle transazioni predette, da intendersi riferite, invece, secondo la ricorrente principale, all’intero debito solidale, piuttosto che alla sola quota della condebitrice Milano Assicurazioni s.p.a..

2. L’unico motivo del ricorso incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a., rubricato “Violazione o falsa applicazione degli artt. 112,324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 342 e 384 c.p.c., nonchè del R.D. n. 267 del 1942, artt. 61 e 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, investe l’avvenuta rideterminazione del proprio credito ammesso al passivo della suddetta Procedura, e contesta alla corte territoriale di non aver preso in considerazione l’eccezione di Intesa Sanpaolo s.p.a. volta a paralizzare la domanda subordinata della Procedura stessa di rideterminazione suo del debito residuo per effetto del giudicato formatosi in difetto di specifica impugnazione del corrispondente capo della sentenza del giudice di primo grado. Si censura, inoltre, la mancata applicazione della L. Fall., artt. 61 e 62, sul presupposto, da considerarsi erroneo, del giudicato formatosi sulla statuizione del tribunale circa lo scomputo dei pagamenti effettuati da Milano Assicurazioni s.p.a..

3. Ancor prima di procedere allo scrutinio delle doglianze tutte finora riportate, è utile ricordare che il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento, od il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione (cfr. Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione; Cass. n. 392 del 2021).

3.1. Inoltre, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la decisione di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione (cfr. Cass. n. 12817 del 2014; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 392 del 2021), come sostanzialmente avvenuto nel caso che ci occupa. Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla pronuncia della Cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (cfr. Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass. n. 3572 del 1987; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione); nella seconda, invece, egli non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi già censurati del provvedimento impugnato e con la preclusione rispetto ai fatti che il principio di diritto eventualmente enunciato presuppone come pacifici o accertati definitivamente (cfr. Cass., SU, n. 18303 del 2020; Cass. n. 31901 del 2018); nella terza ipotesi, infine, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (cfr. Cass. n. 6707 del 2004; Cass. n. 22989 del 2018; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 392 del 2021).

3.1.1. Inoltre, come ancora ribadito da Cass. n. 11202 del 2018 (cfr. in motivazione. Si veda pure, sempre in motivazione, Cass. n. 392 del 2021), il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente – rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015). In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico-giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (cfr. Cass. n. 7656 del 2011, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019). Ciò perchè il giudizio di rinvio è un “processo chiuso”, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese nè formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale (cfr. Cass. n. 26200 del 2014; Cass. n. 18600 del 2015. In senso sostanzialmente conforme si veda anche la più recente Cass. n. 5137 del 2019).

3.1.2. In definitiva, come opportunamente ribadito da Cass. n. 636 del 2019, allorquando avanti a questa Corte “…si faccia questione della “uniformazione” del giudice del rinvio al principio di diritto enunciato dalla Corte che abbia proceduto alla cassazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e sia perciò in discussione, in rapporto all’entità del petitum concretamente individuata dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di cassazione, “il giudice di legittimità deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può essersi posta in contrasto” (Cass., Sez. I, 19/02/2018, n. 3955; Cass., Sez. I, 30/09/2005, n. 19212; Cass., Sez. IV, 1/09/2004, n. 17564). Dunque le coordinate entro le quali la Corte è qui chiamata a vagliare se la sentenza impugnata abbia ottemperato o meno all’obbligo di “uniformazione” discendente dal citato art. 384 c.p.c., comma 2, ed abbia perciò correttamente tracciato il perimetro del thema decidendum demandatogli dalla sentenza cassatoria sono costituite, da un lato, dalla domanda della parte, intendendosi per tale, in rapporto alla specialità del giudizio di cassazione, l’arco delle istanze che, in guisa di censura, vengono veicolate a mezzo dei motivi di ricorso avanti alla Corte onde ottenere la cassazione della sentenza impugnata; dall’altro, dalla questione decisa ovvero dalla censura o dalle censure che tra quelle articolate dalla parte nel ricorso la Corte abbia giudicato fondate ed abbia accolto, cassando la sentenza impugnata e mandando al giudice del rinvio perchè, uniformandosi al principio di diritto enunciato, provveda a regolare la vicenda al suo esame secundum ius”.

4. Tanto premesso, il primo motivo del ricorso principale è complessivamente infondato.

4.1. In esso, come si è già anticipato, si ascrive al giudice di rinvio di essersi limitato a ripetere quanto affermato in un suo recente precedente in cui aveva interpretato la medesima transazione di cui la Procedura intenderebbe profittare in questo giudizio, tralasciando di considerare i seguenti argomenti addotti dalla difesa di quest’ultima per dimostrare che l’accordo transattivo in questione avesse ad oggetto l’intero debito solidale: a) è inibito ai transigenti stipulare una transazione solo formalmente sulla quota (ad onta dell’oggetto della lite, concernente l’intero debito solidale, e della transazione stessa, volta a definire la lite sorta sull’intero debito solidale) al solo scopo di menomare il diritto potestativo attribuito agli altri debitori solidali dall’art. 1304 c.c.; b) se la concessione transattiva del debitore transigente è superiore alla sua quota ideale di debito solidale (nella fattispecie in esame Milano Assicurazioni s.p.a., pagò un importo superiore a quello corrispondente alla sua quota astratta, indicata nel 25%, essendo quattro le società che sottoscrissero la garanzia dedotta in giudizio), la transazione non potrà che vertere sull’intero debito, o, quanto meno, dovrebbe esserci un forte indizio interpretativo in tal senso; c) per circoscrivere la transazione alla quota di un condebitore non basta l’intento delle parti: occorre aver riguardo al nesso tra lite e transazione. Per cui la transazione riguarda senz’altro l’intero debito se la lite transatta verteva sull’intero debito (e nella specie la banca aveva agito, per l’intero debito, contro tutti gli obbligati in solido); d) ad analoga conclusione deve giungersi laddove il titolo dell’obbligazione del debitore transigente sia comune ad altri debitori solidali: anche in tal caso l’accordo transattivo (soprattutto laddove l’importo versato è superiore alla quota ideale del debitore transigente) non può che riguardare l’intero debito riferito ai soggetti solidalmente obbligati in virtù dello stesso titolo (nella specie: la lettera di garanzia rilasciata dalle quattro compagnie).

4.2. Orbene, rileva il Collegio che, alla stregua dei già riportati principi di diritto sanciti dalla rescindente Cass., SU, n. 30174 del 2011, al giudice del rinvio era stato demandato, innanzitutto, di stabilire, facendo applicazione “dei criteri legali d’interpretazione dei contratti”, se la transazione de qua avesse avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota di esso riferibile al condebitore solidale (La Milano Assicurazioni s.p.a.) che aveva transatto, per poi decidere, all’esito di tale accertamento, se la Procedura potesse, o meno, profittarne ai sensi dell’art. 1304 c.c., comma 1 (così le Sezioni Unite alla pag. 11 della motivazione della menzionata pronuncia: “Lo stabilire poi se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 c.c. e segg.”). E non vi è dubbio che tale compito sia stato assolto dalla corte romana (senza che rilevi, almeno per ora, attesa la peculiare tipologia di censura in esame, la condivisibilità, o meno, dell’esito del suo scrutinio), essendo sufficiente qui osservare soltanto, da un lato, che il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto (cfr., ex multis, Cass. n. 18545 del 2020, in motivazione; Cass. n. 24830 del 2017; Cass. n. 13716 del 2016) e che, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016); dall’altro, che, in ogni caso, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (pure formalmente invocato dalla Procedura con la doglianza in esame), nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 17 luglio 2014), nel testo, indicato in precedenza, qui applicabile, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

4.3. A tanto deve aggiungersi, peraltro, che tutte le suddette argomentazioni del cui mancato esame oggi ancora si duole la ricorrente si rivelano, come si avrà modo di riferire più approfonditamente scrutinando, congiuntamente, gli altri motivi del ricorso principale, non decisive o comunque ripetitive di tesi già proposte nella precedente fase di legittimità e, tuttavia, disattese dalla sentenza rescindente resa da Cass., SU, n. 30174 del 2011.

4.3.1. Ne deriva, quindi, che, in relazione a quest’ultimo aspetto, la censura in esame si scontra pure con i limiti del giudizio di rinvio che, come si è già chiarito, è un procedimento chiuso nel quale non è ammesso – anche soltanto implicitamente rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex multis, Cass. n. 16171 del 2015), sicchè quel procedimento deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico-giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (cfr. Cass. n. 7656 del 2011, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019).

5. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, di cui è possibile l’esame unitario in ragione della loro connessione, sono parimenti insuscettibili di accoglimento.

5.1. Appare utile, preliminarmente, riportare il passo motivazionale con cui la suddetta pronuncia delle Sezioni Unite ha inteso dare soluzione alla questione di massima di particolare importanza, ad esse sottoposta, relativa alla possibilità che il creditore ed uno dei debitori in solido, nel transigere la lite tra loro insorta, escludano la potestà degli altri debitori in solido di profittare degli effetti della transazione, a norma dell’art. 1304 c.c., comma 1.

5.1.1. Al riguardo si è rilevato (cfr. pag. 10-11 di quella decisione) “…come l’apparente contrasto riscontrabile nella lettura di alcune massime estratte da sentenze di questa corte (…) sembra in realtà agevolmente componibile in base alla diversa portata che, di volta in volta, può assumere la transazione intervenuta tra il creditore ed uno di più condebitori solidali. Decisiva in tal senso, come è stato sottolineato anche dalla dottrina maggioritaria, appare la circostanza che la transazione riguardi l’intero debito o che invece abbia ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui è stipulata. Ipotesi, quest’ultima, certamente configurabile – sempre che, beninteso, l’obbligazione sia per sua natura scindibile e che non si tratti di solidarietà pattuita nell’interesse di uno dei condebitori – quando vi consenta il creditore nel cui interesse il vincolo della solidarietà passiva è concepito, senza che sia necessario postulare un preventivo scioglimento della solidarietà, che ben può invece realizzarsi nel contesto medesimo della transazione. Nè occorre a tal fine postulare un’indispensabile diversità dei titoli da cui dipendono le diverse obbligazioni legate dal vincolo della solidarietà, volta che tale vincolo sia unicamente funzionale ad una migliore realizzazione del credito e nulla perciò valga ad ostacolare la libera esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti che intendono escluderlo per una quota parte del credito stesso. La transazione pro quota, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce, non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali, dunque, nessun titolo avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente. La previsione dell’art. 1304 c.c., comma 1, non si riferisce a questa fattispecie (…1. E’ la transazione riguardante l’intero debito quella cui, viceversa, detta norma si riferisce, perchè è la comunanza dell’oggetto della transazione a far sì che di questa possa avvalersi il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e quindi in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti. La riduzione dell’ammontare del debito eventualmente pattuita in via transattiva con uno solo dei debitori opererà, in tal caso, anche per gli altri che dichiarino di volersene avvalere, non diversamente da quel che sarebbe accaduto se anch’essi avessero sottoscritto la medesima transazione. Nè tale conseguenza potrebbe essere evitata introducendo nella transazione per l’intero debito una clausola di contrario tenore, per l’ovvia considerazione che una simile clausola sarebbe destinata ad incidere su un diritto potestativo che la legge attribuisce ad un soggetto terzo, rispetto ai contraenti, e del quale perciò questi ultimi non sarebbero legittimati a disporre. Lo stabilire poi se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 c.c. e segg….”.

5.2. Le riportate argomentazioni consentono, dunque, agevolmente di ricavare che, in quella sede:

i) è stata ritenuta assolutamente lecita una transazione tra creditore (nel cui interesse sia prevista la solidarietà passiva) ed uno soltanto dei condebitori solidali avente ad oggetto non l’intero debito ma esclusivamente la quota di esso riferibile, nei rapporti interni tra i condebitori medesimi, a quello, tra loro, transigente. Altro sarebbe a dirsi, come è intuitivo, che una transazione come quella da ultimo descritta ne simuli, in realtà, un’altra, riguardante l’intero debito solidale, che le parti hanno voluto occultare allo scopo di precludere agli altri condebitori solidali di avvalersene. Non è di questo, però, che si è discusso nelle precedenti fasi del giudizio, mai essendo stata specificamente allegata, dalla Procedura, la natura simulata, nei sensi predetti, della transazione intervenuta tra Intesa Sanpaolo s.p.a. e la Milano Assicurazioni s.p.a., controvertendosi, invece, esclusivamente sull’interpretazione del suo contenuto;

ii) è stata considerata, sebbene implicitamente, come pienamente configurabile una concessione transattiva del debitore transigente superiore alla sua quota ideale di debito solidale, altrimenti venendo meno il fondamento logico dell’ulteriore principio affermato, nella stessa occasione, dalle Sezioni Unite, secondo cui “Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito”. Del resto, come affatto condivisibilmente sottolineato pure dalla difesa di Intesa Sanpaolo s.p.a. (cfr. pag. 16-17 del suo controricorso), la ripartizione delle quote di debito nell’ambito dell’obbligazione solidale è un fatto “interno” ai condebitori, che rimane indifferente per il creditore e ben può essere da lui ignorato. Invero, quando il creditore decide di transigere con un solo debitore solidale, ragionevolmente si preoccupa, piuttosto che di calcolare la sua “quota”, di valutare la convenienza dell’accordo in relazione alla probabilità di ottenere da quel debitore – proseguendo la lite (che nulla vieta possa essere stata intrapresa in relazione all’intero e nei confronti di tutti i condebitori solidali) – più di quanto stabilito nella transazione ed alla possibilità di ottenere il residuo dagli altri condebitori. Dall’altra parte, il condebitore transigente ha come obiettivo, di regola, quello di chiudere la propria posizione debitoria in modo definitivo, sicchè non si rivelerebbe implausibile, a questo fine, il pagamento, da parte sua, di un importo maggiore della sua quota interna ove ciò lo liberi dal rischio di pagare l’intero debito, soprattutto laddove l’azione di regresso si presenti problematica. Non è affatto vero, pertanto – o, almeno, non lo è in termini assoluti, diversamente da quanto preteso dalla Procedura – che se la concessione transattiva del debitore transigente è superiore alla sua quota ideale di debito solidale, la transazione non potrà che vertere sull’intero debito, o, quanto meno dovrebbe esserci un forte indizio interpretativo in tal senso, nè è vero che la transazione riguarderebbe senz’altro l’intero debito se la lite transatta verteva su di esso, imponendosi, invece, in entrambe le ipotesi, come chiarito dalle Sezioni Unite, “un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 c.c. e segg….”;

iii) è stato espressamente escluso che la transazione sulla quota sia ipotizzabile solo in presenza di diversità di titoli tra il condebitore transigente e gli altri condebitori solidali (“Nè occorre a tal fine postulare un’indispensabile diversità dei titoli da cui dipendono le diverse obbligazioni legate dal vincolo della solidarietà, volta che tale vincolo sia unicamente funzionale ad una migliore realizzazione del credito e nulla perciò valga ad ostacolare la libera esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti che intendono escluderlo per una quota parte del credito stesso”).

5.2.1. Ecco, dunque, che le argomentazioni e le tesi interpretative del cui mancato esame oggi ancora si duole la Procedura, imputando alla corte di rinvio di aver disatteso il principio postole, sul punto, dalla menzionata decisione rescindente delle Sezioni Unite, si rivelano non decisive o, comunque, ripetitive di tesi già proposte nella precedente fase di legittimità e, tuttavia, ivi disattese.

5.2.2. Poco plausibile, del resto, appare anche la doglianza, esplicitata nel secondo motivo del ricorso de quo, secondo cui il giudice non avrebbe tenuto conto che la difesa della procedura aveva contestato che le transazioni esaminate nel diverso giudizio riguardante la SIDA fossero proprio quelle dedotte in questa causa, trattandosi di assunto strumentale posto che le transazioni tra Intesa Sanpaolo s.p.a. e la Milano Assicurazioni s.p.a. del cui voler profittare si è discusso nei due giudizi sono state chiaramente le stesse, relative ai medesimi finanziamenti ed alle stesse garanzie.

5.3. Al giudice di rinvio, come si è già ampiamente riferito, era stato affidato il compito di accertare l’incidenza della transazione intercorsa tra Intesa Sanpaolo s.p.a. e Milano Assicurazioni s.p.a. sul credito della prima nei confronti della Procedura e sulla sua quantificazione, con la precisazione che detto accertamento doveva comportare “un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 c.c. e segg.” (cfr. Cass., SU, n. 30174 del 2011, pag. 11 della motivazione).

5.3.1. La corte capitolina ha proceduto a tanto richiamando, ed espressamente facendola propria, l’interpretazione che proprio di quella transazione era stata fornita da una diversa pronuncia della Corte di appello di Roma (la sentenza n. 4891/2012, peraltro confermata, poi, da Cass. n. 6831 del 2016, allegata da Intesa Sanpaolo alla sua memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.) resa “…con applicazione dei principi di diritto affermati dalla sentenza della Corte di cassazione n. 30174/2011, in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della compagnia assicurativa SIDA che, quale coobbligato solidale, aveva sottoscritto le lettere di patronage insieme alla Tirrena, al Lloyd Nazionale e alla Unione Euroamericana”. E’ così giunta alla conclusione che, atteso l’inequivocabile tenore della stessa (pure riportato nelle sue parti essenziali, come si è già precedentemente esposto nel p. 4.1. dei “Fatti di causa”, da intendersi, qui, per brevità, interamente riprodotto) ed alla luce dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., doveva escludersi che la Milano Assicurazioni s.p.a. e la Intesa Sanpaolo s.p.a. avessero inteso transigere l’intero debito solidale gravante, oltre che sulla prima, sulle altre compagnia assicurative SIDA, Unione Euroamericana e Tirrena di Assicurazioni.

5.3.2. Da questa conclusione ha fatto conseguire, poi, affatto coerentemente, l’infondatezza del motivo di appello della Procedura afferente l’asserita violazione dell’art. 1304 c.c., comma 1, posto che, come gli aveva imposto di tener conto la decisione rescindente di Cass., SU, n. 30174 del 2011, il diritto di un condebitore solidale di profittare della transazione stipulata, con il creditore, da un altro condebitore può essere esercitato solo in presenza di una transazione sull’intero debito, e non, come nella specie, allorquando la transazione insista solo sulla quota di quest’ultimo.

5.3.3. In altri termini, l’iter logico-procedimentale correttamente seguito dal giudice di rinvio ha fatto sì che quest’ultimo prima accertasse, avvalendosi dei criteri interpretativo di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., l’insussistenza di una transazione sull’intero debito solidale, per poi successivamente opinare nel senso della inapplicabilità dell’art. 1304 c.c., comma 1: disposizione, questa, che, come pure significativamente osservato dalla difesa di Intesa Sanpaolo s.p.a. (cfr. pag. 19 del suo controricorso), “agisce a valle dell’interpretazione e della qualificazione giuridica, non a monte delle stesse”. In altri termini, tale norma non condiziona la qualificazione e l’essenza della transazione, nè l’interpretazione del contratto, limitandosi a disciplinare un peculiare effetto nei confronti di terzi solo in presenza di una transazione riguardante (diversamente da quanto accaduto nell’odierna vicenda) l’intero debito solidale.

5.4. Per il resto, le censure in esame si risolvono, sostanzialmente, nella contestazione del risultato dell’indagine interpretativa sul significato della transazione in esame come effettuato dalla corte di rinvio.

5.4.1. Occorre, però, ricordare che, come ancora recentemente ribadito, nelle rispettive motivazioni, da Cass. n. 25432 del 2020, Cass. n. 14938 del 2018 e Cass. n. 25470 del 2019, il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sè (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).

5.4.2. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016; con la precisazione che quando, come nella specie, è applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto neppure è riconducibile a detto vizio, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi. Cfr. Cass. n. 5795 del 2017).

5.4.3. La censura neppure può, poi, essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).

5.4.4. Nella specie, la corte distrettuale ha offerto una ricostruzione del contenuto della transazione tra Intesa Sanpaolo s.p.a. e Milano Assicurazioni s.p.a., fornendo una motivazione argomentata, non sindacabile in ordine alle ragioni dell’esito dell’interpretazione, che si sottrae, quindi, a verifiche in questa sede.

6. Può passarsi, dunque, allo scrutinio del ricorso incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a., il cui unico motivo, diretto a contestare l’avvenuta rideterminazione del proprio credito ammesso al passivo della Procedura, ascrive alla corte suddetta di non aver preso in considerazione l’eccezione della medesima Intesa Sanpaolo s.p.a. volta a paralizzare la domanda subordinata della Procedura stessa di rideterminazione suo del debito residuo per effetto del giudicato formatosi in difetto di specifica impugnazione del corrispondente capo della sentenza del giudice di primo grado. Si censura, altresì, la mancata applicazione della L. Fall., artt. 61 e 62, sul presupposto, da considerarsi erroneo, del giudicato formatosi sulla statuizione del tribunale circa lo scomputo dei pagamenti effettuati da Milano Assicurazioni s.p.a.. Trattasi di doglianza infondata nel suo complesso.

6.1. Invero, giova immediatamente ricordare che la decisione rescindente resa da Cass., SU, n. 30174 del 2011, aveva indicato specificamente al giudice di rinvio, con apposito principio di diritto, il criterio da utilizzare per determinare il residuo debito gravante sugli altri condebitori solidali ove fosse risultato – come poi è concretamente accaduto – che la transazione di cui si è ampiamente riferito in precedenza aveva riguardato solo la quota del condebitore che l’aveva stipulata (“il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto”. Cfr. pag. 13 della predetta decisione).

6.2. Dal canto suo, la corte romana ha dato atto, preliminarmente, essere “…ben vero che la Procedura con l’atto d’appello aveva lamentato solamente in modo generico la mancata considerazione delle somme già percepite dal creditore da parte del condebitore solidale senza censurare in modo specifico l’individuazione delle somme corrisposte operata dal giudice di primo grado. Detta specificazione da parte della Procedura è in realtà avvenuta solo con il ricorso per cassazione con il quale era evidenziato che il giudice di primo grado, nel calcolare l’importo da detrarre dal complessivo debito solidale, lo aveva determinato in ECU 1.382.750 per il capitale e in ECU 460.917 per interessi mentre, in realtà, le somme già riscosse da Intesa Sanpaolo ammontavano a importi superiori pari a ECU 2.765.500 per il capitale e a ECU 921.834 per gli interessi” (cfr. pag. 6 della sentenza oggi impugnata). Successivamente, però, la stessa ha considerato come “superata” “…ogni questione sull’assenza di specifico motivo d’appello riguardante l’erroneità della quantificazione degli importi da detrarsi”, avendo “la Corte di cassazione disposto che questo giudice di rinvio precisi i criteri di quantificazione del debito residuo gravante sulla Procedura” (cfr. pag. 6-7 della medesima sentenza).

6.3. Posto, allora, che il predetto principio delle Sezioni Unite riguardava proprio la quantificazione del debito residuo dei coobbligati diversi dal transigente in caso di transazione sulla quota, l’appena descritto modus procedendi della corte capitolina appare scevro dal vizio di asserita violazione degli artt. 112,324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 342 e 384 c.p.c., atteso che, ragionevolmente, quel tema (appunto, la rideterminazione del debito residuo ed i criteri a tal fine da seguire) non avrebbe formato oggetto di specifico esame, nè, addirittura, di accoglimento in sede di legittimità se non fosse stato ancora considerato controverso e sub iudice.

6.3.1. Diversamente da quanto opinato da Intesa Sanpaolo s.p.a., quindi, si sarebbe configurata una violazione dell’art. 384 c.p.c., se il giudice di rinvio non si fosse pronunciato pure sulla corrispondente domanda (subordinata) della Procedura. Nè, può, oggi, la ricorrente incidentale cercare di rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza rescindente della Cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015) attesi i già ricordati limiti del giudizio di rinvio, il quale deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico-giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (cfr. Cass. n. 7656 del 2011, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019).

6.4. Quanto, poi, all’ulteriore profilo della censura in esame riguardante la pretesa violazione della L. Fall., artt. 61 e 62, la stessa si rivela, a tacer d’altro, inammissibile, per difetto di autosufficienza.

6.4.1. Invero, a fronte dell’affermazione della corte di rinvio (cfr. pag. 7 della sentenza oggi impugnata) secondo cui era “…irrilevante quanto dedotto da Intesa sul fatto che, in base alla L. Fall., artt. 61 e 62, la stessa avrebbe diritto di vedere il proprio credito ammesso al passivo per intero nonostante i pagamenti ricevuti dal condebitore solidale”, in ragione del fatto che “la sentenza di primo grado ha stabilito sul punto che i pagamenti eseguiti dalla Milano debbano essere scomputati, con statuizione ormai coperta da giudicato mentre è rimasto sub iudice, in quanto oggetto di rinvio, solo l’ammontare degli importi da scomputare dall’intero”, Intesa Sanpaolo non ha oggi puntualmente dedotto, nè dimostrato (riproducendo il contenuto del corrispondente atto nel suo motivo di ricorso incidentale, ovvero adempiendo all’onere di localizzare esattamente quell’atto all’interno delle sue produzioni di parte), di aver proposto rituale e tempestiva impugnazione, anche in via incidentale, già avverso la riportata statuizione della sentenza di primo grado circa la necessità di scomputare i pagamenti eseguiti dalla Milano Assicurazioni s.p.a..

7. In definitiva, quindi, vanno respinti sia il ricorso principale della Procedura che quello incidentale della Intesa Sanpaolo s.p.a.. La reciproca soccombenza consente la compensazione tra le parti, in ragione del 50% (attesa la maggiore gravità di quella della Procedura), delle spese di questo giudizio di legittimità, ponendosene il residuo a carico della ricorrente principale e liquidato come in dispositivo.

7.1. Deve darsi atto, infine, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale della Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, nonchè quello incidentale della Intesa Sanpaolo s.p.a..

Condanna la Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che, compensate in ragione della metà, si liquidano, per il residuo, in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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