Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5671 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. III, 09/03/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 09/03/2010), n.5671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11867/2005 proposto da:

S.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato FALVO

D’URSO FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIAMMARINO

Raffaele giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AXA ASSICURAZIONI (OMISSIS) in persona del suo legale

rappresentante pro tempore Dott. C.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VESPASIANO 17-A, presso lo studio

dell’avvocato INCANNO’ Giuseppe, che la rappresenta e difende giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

I.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 226/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 19/2/2004, depositata il 20/03/2004, R.G.N. 694/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/02/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato RAFFAELE GIAMMARINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.F., per la parte che ancora interessa, conveniva davanti al Tribunale di Ascoli Piceno I.R. e la AXA Assicurazioni s.p.a. al risarcimento del danno subito a causa di un sinistro stradale verificatosi il (OMISSIS), per colpa esclusiva dell’ I..

Il Tribunale, con sentenza depositata il 26.5.2001 condannava i convenuti al pagamento nei confronti della S. della somma di L. 2.500.000 per danni all’autovettura, Euro 13.962.000 per spese sostenute, oltre interessi legali, e, per gli altri danni L. 153.538.000 attualizzati e comprensivi di interessi al netto degli acconti ricevuti e rivalutati.

Proponevano appello la S. ed appello incidentale l’Axa Assicurazioni.

La Corte di appello di Ancona, con sentenza depositata il 20,3.2004, rigettava l’appello relativo alla richiesta di rivalutazione ed interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento, in quanto la liquidazione era avvenuta con riferimento alla data attuale e comprensiva di interessi; che, in accoglimento dell’appello incidentale, nulla era dovuto, a titolo di spese mediche, in quanto non era stati ritualmente prodotti i documenti a sostegno di tali spese; che, quanto al danno patrimoniale, non era stato provato il nesso causale tra le lesioni subite nell’incidente stradale e la revoca della S. dalla sua carica di amministratrice della s.r.l. SEA. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.F..

Resiste con controricorso la AXA Assicurazioni s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1223 c.c., e art. 1219 c.c., comma 2, n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza, per avere la corte di merito rigettato il motivo di appello con cui si chiedeva il riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione in relazione alle somme liquidate.

Assume la ricorrente che erroneamente la corte di merito riteneva non dovute tali voci, per il solo fatto che le somme erano state liquidate con riferimento all’attualità; che, invece, gli interessi e la rivalutazione andavano calcolati con decorrenza dall’evento fino alla data del versamento in acconto e successivamente solo sulla differenza, mentre nella fattispecie il primo giudice aveva detratto la somma di L. 65 milioni, quali acconti versati alla S., pari a L. 46.500.000, maggiorati questi della rivalutazione monetaria.

2.1. Il motivo è fondato solo in relazione al mancato risarcimento del danno da ritardata corresponsione della somma liquidata.

L’obbligazione di risarcimento del danno determinato da un fatto illecito è un debito di valore e la sua liquidazione per equivalente, espressa in termini monetari, deve essere attualizzata alla data della decisione definitiva.

Ciò avviene generalmente in due modi: o liquidando il danno al momento in cui esso è stato prodotto (quindi in valore monetario dell’epoca) e poi rivalutando la somma alla data della decisione, ovvero liquidando il danno alla data della decisione, o come anche si dice comunemente, all’attualità, e quindi in moneta già rivalutata.

In quest’ultimo caso solo apparentemente vi è una liquidazione globale del capitale e della rivalutazione: in effetti in questo caso non vi è stata una liquidazione globale del capitale e della rivalutazione, come se fossero due voci di danno, ma si è solo adottata una moneta che pure avendo un valore c.d. facciale o monetario identico, ha – per effetto del fenomeno inflattivo – un valore intrinseco (o c.d. potere di acquisto) inferiore, per cui la moneta liquidata, per essere equivalente nel valore al danno inflitto, deve essere maggiore nella quantità a quella che il danneggiante avrebbe dovuto corrispondere nell’immediatezza del danno con la moneta dell’epoca.

In presenza di un ambiente monetario esente dal fenomeno inflativo, e quindi di identità del valore reale della moneta tra la data del danno e quella della liquidazione definitiva dello stesso, la quantità di moneta da corrispondere sarebbe identica.

2.2. Qualora il debitore di un debito di valore abbia nel corso del giudizio o anteriormente ad esso, corrisposto degli acconti, il giudice in sede di liquidazione finale deve provvedere all’omogeizzazione dei dati, componenti il calcolo del dovuto.

Nei debiti di valore, allorchè il responsabile abbia corrisposto delle somme nell’intervallo di tempo intercorso tra il fatto produttivo del danno e la liquidazione definitiva, al fine di stabilire l’eventuale debito residuo ed il suo ammontare, occorre procedere alla comparazione fra valori omogenei (Cass. 10 marzo 1999, n. 2074).

Il metodo più agevole è quello di esprimere in moneta attuale entrambi i valori, rivalutando dall’epoca del fatto la somma originariamente equivalente all’entità del danno e quella corrisposta in acconto dalla data in cui è stata effettivamente versata.

La differenza esprimerà, in moneta attuale, il residuo credito (o anche l’eventuale debito restitutorio) del danneggiato. Ma può anche ridursi l’acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, esso avrebbe avuto all’epoca del fatto produttivo del danno, effettuarsi la comparazione di cui s’è detto e rivalutarsi poi la differenza dalla stessa data all’attualità.

E’ anche possibile rivalutare l’importo originariamente equivalente al danno sino all’epoca dell’acconto, fare a quel punto un raffronto tra valori omogenei in relazione a quella data e rivalutare la differenza da tale data all’attualità, ovvero rapportare il valore monetario di acconto e danno ad una data intermedia (come la decisione di primo grado) e quindi effettuare il calcolo tra il dare ed avere.

Ciò da cui non può prescindersi è che i dati siano stati preventivamente resi omogenei in termini di valore reale, prima di procedere ad ogni forma di calcolo.

2.3. Nella fattispecie il giudice di appello ha correttamente ritenuto esatto il criterio di liquidazione adottato dal primo giudice che aveva attualizzato alla data della sentenza sia l’ammontare complessivo della somma liquidata sia gli acconti versati nelle more dell’assicuratrice debitrice.

Ne conseguenze che la sentenza impugnata non ha violato il principio dell’omogeneizzazione dei dati al fine di ottenere un risultato unico e che correttamente non ha riconosciuto la rivalutazione, perchè ha liquidato il danno all’attualità.

3.1. Diversa è la questione relativa ai c.d. interessi compensativi sulla somma liquidata.

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale le ragioni creditorie non possono ritenersi soddisfatte dalla mera attualizzazione (eventualmente con il criterio della rivalutazione) della somma dovuta, in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva, essendo dovuto al danneggiato anche il danno da ritardo e cioè il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento di detta somma.

Gli interessi compensativi in questione adempiono quindi solo alla funzione di tecnica liquidatoria del danno da ritardo. Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per capitale e rivalutata sino al momento della decisione, dovendo, invece, essere computati o con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente per effetto dei prescelti indici medi di rivalutazione monetaria, ovvero anche in base ad un indice medio, tenuto conto che la liquidazione del danno da ritardo rientra pur sempre nello schema liquidatorio di cui all’art. 2056 c.c., in cui è ricompresa la valutazione equitativa del danno stesso ex art. 1226 c.c. (Cass. 24/10/2007, n. 22347 ; Cass. 23/01/2006, n. 1215).

3.2. Quindi, proprio al fine di individuare il percorso logico argomentativo seguito dal giudice, nonchè il rispetto del predetto principio in tema di liquidazione del danno da ritardo con la tecnica degli interessi compensativi, gli stessi vanno specificamente enucleati dal giudice rispetto alla liquidazione della somma attualizzata, fissata come equivalente del danno subito.

Anche in questo caso di attualizzazione della somma liquidata il risarcimento del danno da ritardo può avvenire attraverso la liquidazione di interessi ad un tasso stabilito dal giudice del merito, valutando tutte le circostanze del caso, ma gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma rivalutata, perchè la somma dovuta – il cui mancato godimento va risarcito – va aumentata gradualmente nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione (Cass. 03/08/2005, n. 16237).

3.3. In definitiva, quanto al motivo di appello relativo alla censurata mancata corresponsione degli interessi legali dalla data del sinistro sulla somma liquidata, la sentenza impugnata avrebbe dovuto esaminare la domanda di risarcimento per il ritardato pagamento della somma dovuta, ed, ove l’avesse ritenuto sussistente e risarcibile con il criterio di liquidazione degli interessi compensativi (S.U. 17 febbraio 1995, n. 1712), gli stessi, pur decorrendo dal giorno del sinistro, avrebbero dovuto essere commisurati non all’importo del danno liquidato all’attualità, ma a tale importo, progressivamente raggiunto nel tempo intercorso tra il prodursi del danno e la sua liquidazione.

Va quindi accolta la censura sul punto, poichè a questo principio di diritto non si è attenuta la sentenza impugnata (e dovrà, invece, uniformarsi ad esso il giudice di rinvio).

4. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. ed art. 87 disp. att. c.p.c., nonchè l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Assume la ricorrente che erroneamente il giudice di appello, in riforma della sentenza del tribunale che le aveva riconosciuto un danno da spese mediche pari a L. 13.962000, aveva rigettato il motivo di appello con cui chiedeva che tali spese fossero riconosciute per L. 21.962.000, ed in accoglimento dell’appello incidentale dell’assicuratrice, aveva rigettato la domanda relativa a tale voce di danno.

Secondo la ricorrente è errata la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che i documenti relativi a tali spese non fossero stati ritualmente prodotti, in quanto essi lo furono all’udienza dell’11.5.1989 ed il procuratore di controparte chiese termine per esaminarli.

5.1.11 motivo è fondato e va accolto.

Ai sensi degli art. 74 ed 87 disp. att. c.p.c., gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell’indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto dal cancelliere), di guisa che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al giudice di merito di esaminarli, semprechè la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione (Cass. 30/05/1997, n. 4822; Cass. 20.11.1995, n. 12015).

5.2. Le predette norme sono dirette ad assicurare che la produzione di documenti in giudizio da parte di un contendente avvenga in forme ed in tempi idonei a rendere possibile e certa la conoscenza alle altre parti del contraddittorio (Cass. n. 4374/1983). Ciò comporta che non sussiste la violazione del principio del contraddittorio allorchè la produzione dei documenti sia avvenuta in udienza, pur in assenza delle prescrizioni dell’art. 74 c.p.c., e la controparte presente non abbia sollevato alcuna tempestiva opposizione (Cass. n. 821 del 1983).

Infatti, a norma dell’art. 157 c.p.c., comma 2, soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successivo all’atto o alla notizia di esso.

5.3. Nella fattispecie la documentazione per le spese mediche fu prodotta all’udienza dell’11.5.1989 davanti al tribunale di Ascoli Piceno. Il ricorso riporta il verbale di udienza da cui risulta che:

“Il Dr. Proc. G.R. produce prospetto di spesa con relative fatture, dichiarazioni redditi della S., verbali ditta Lattanzi e delle persone che hanno assistito i minore. L’avv. Travaglini, data la quantità della documentazione, chiede rinvio. Il presidente istruttore rinvia al 6.7.1989”. L’avv. Travaglini era il difensore della convenuta assicuratrice, con la conseguenza che nessuna nullità della produzione documentale poteva essere fatta valere dalla convenuta successivamente in sede di appello incidentale, (invece erroneamente accolto sul punto dalla corte di merito).

6. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del terzo motivo per violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., nell’aver – la corte di merito – accolto l’appello incidentale e rigettato la domanda di risarcimento per le spese mediche.

6. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2057 c.c., nonchè il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza, a norma dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non aver accolto la domanda risarcitoria del danno patrimoniale, per la perdita della carica sociale di amministratrice della s.r.l. SEA, per un importo di L. 135 milioni.

Assume la ricorrente che erroneamente la corte di merito aveva escluso il nesso causale tra la delibera di revoca dell’incarico e le lesioni riportate nell’incidente.

7.1. Il motivo è infondato.

In tema di illecito aquiliano, l’accertamento del nesso causale tra la condotta e l’evento dannoso rappresenta un’indagine di fatto devoluta al giudice del merito ed è soggetto ad un sindacato limitato da parte del giudice di legittimità, il quale può solo controllare, nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., l’idoneità delle ragioni poste a fondamento della decisione di merito, verificando la congruenza logica e la sufficienza delle argomentazioni relative alla potenzialità dannosa del comportamento illecito e l’effettiva attuazione in concreto di tale potenzialità (Cass. civ., Sez. 3^, 16/05/2003, n. 7637).

7.2. Nella fattispecie non sussiste la violazione delle norme citate dalla ricorrente nè sussiste il lamentato vizio motivazionale nei termini rilevabili in questa sede di sindacato di legittimità.

Infatti la corte territoriale ha ritenuto che la delibera assembleare adottata dalla società il 10.12.1986, comportante la revoca della ricorrente dall’incarico di amministratrice della s.r.l. SEA per incapacità fisica determinata dalla necessità di cure riabilitative ed intervento chirurgico, si pone in contrasto con la c.t.u., che ha stimato un’inabilità solo temporanea, assoluta e parziale, per complessivi giorni 380 (entro i quali limiti era liquidato il danno da inabilità totale e parziale).

8. In definitiva va accolto in parte il primo motivo di ricorso, nonchè il secondo, rigettato il quarto e dichiarato assorbito il terzo. Va cassata in relazione l’impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, che si uniformerà ai principi di diritto indicati ai punti:3.3 e 5.2..

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso in parte, nonchè il secondo;

rigetta il quarto e dichiara assorbito il terzo. Cassa in relazione l’impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

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