Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5671 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 02/03/2021), n.5671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10224/2016 proposto da:

D.M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Mario Anzisi,

con l’Avv. Luciano Boccarusso, ed unitamente agli stessi domiciliato

in Roma alla via della Giuliana, n. 32, presso lo studio

Perrotta-Casagrande.

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, nella persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliato ope legis in via Dei Portoghesi, n. 12, Roma.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto del Tribunale di NAPOLI n. 5203/2015 del 24

novembre 2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 gennaio 2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 24 novembre 2015, il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno avanzata da D.M.A. ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, non ritenendo sussistente una situazione riconducibile alla detenzione inumana per il periodo in cui era stato ristretto presso la Casa Circondariale di (OMISSIS) dal 23 novembre 2005 al 12 settembre 2008 e presso la Casa Circondariale di (OMISSIS) dal 12 settembre 2008 al 14 febbraio 2011.

2. Il Tribunale di Napoli, a sostegno della decisione impugnata, dopo avere qualificato la natura contrattuale della responsabilità in esame e avere ritenuto non decorso il termine prescrizionale di dieci anni, ha affermato che, dalla relazione dell’amministrazione penitenziaria della prima casa circondariale allegata agli atti dal Ministero della Giustizia, era emerso che la superficie della stanza, di mq. 9,50 mq per due persone, era obiettivamente sufficiente e che la cella era dotata di illuminazione naturale ed artificiale; che dalla relazione pervenuta dalla Casa circondariale di (OMISSIS) era risultato che la stanza era di circa 9 mq e che soltanto per il periodo in cui la stanza era stata condivisa con un altro detenuto (dal 18 settembre 2009 al 25 settembre 2009), lo spazio a disposizione si era ridotto al di sotto dei 4 mq, detratti lo spazio occupato dal letto; che si trattava, tuttavia, di un periodo al di sotto dei 15 giorni previsti della L. n. 354 del 1975, art. 1, comma 1 e art. 35 ter; che occorreva anche considerare il complessivo habitat a disposizione del detenuto, ovvero la stanza singola a disposizione, le ore di passeggio, la fruizione di doccia con acqua calda e la presenza di una finestra di m 1,20 x 1,50) e che l’affermazione di locali fatiscenti delle docce era eccessivamente generica.

3. D.M.A. ricorre in cassazione avverso detto decreto con atto affidato ad un unico motivo.

4. Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso e ricorso incidentale.

5. D.M.A. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione della L. n. 354 del 1975, art. 1, comma 2 e art. 35 ter, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato il Tribunale ad applicare il comma 1 e non già il comma 2 della L. n. 354 del 1975, art. 35 ter e così ritenendo non raggiunto il periodo minimo di quindici giorni.

Il ricorrente si duole, altresì, che il Tribunale non abbia valutato correttamente la soglia di spazio minimo vitale (meno di 3 mq per ciascun detenuto), non avendo considerato lo spazio occupato dal mobilio fisso presente nella stanza.

1.1 In via preliminare deve essere esaminata la questione dell’idoneità della procura rilasciata al difensore come procura speciale per il giudizio di legittimità.

1.2 In merito alle modalità di rilascio della procura speciale, questa Corte ha avuto modo di chiarire che:

-il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, è, per sua natura, speciale e non richiede alcuno specifico riferimento al processo in corso, sicchè è irrilevante la mancanza di un espresso richiamo al giudizio di legittimità ovvero che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al procedimento di merito (Cass., 18 febbraio 2020, n. 4069);

– ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale in capo al difensore iscritto nell’apposito albo, è essenziale che la procura sia conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, che investa il difensore espressamente del potere di proporre quest’ultimo e che sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione; ove sia apposta a margine del ricorso, tali requisiti possono desumersi, rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione della sentenza gravata risultante dall’atto a margine del quale essa è apposta, restando, invece, irrilevante che la procura sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità (Cass., 28 luglio 2020, n. 16040; Cass., 26 febbraio 2019, n. 5577);

– è inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e non materialmente congiunta al ricorso, sia conferita con scrittura privata autenticata nella sottoscrizione dal difensore in violazione dell’art. 83 c.p.c., comma 3, dal momento che la norma non prevede un conferimento autonomo rispetto agli atti processuali a cui il mandato si riferisce (salvo che per la memoria di costituzione di nuovo difensore in sostituzione del precedente) e nemmeno è possibile una sanatoria dell’atto mediante rinnovazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c., poichè l’art. 365 c.p.c., prescrive l’esistenza di una valida procura speciale come requisito di ammissibilità del ricorso (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1255);

– è inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ex art. 83 c.p.c., comma 2, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione ed univocamente dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali (Cass., 28 luglio 2020, n. 16040).

1.3 Ciò posto, nel caso in esame, il mandato defensionale risulta conferito non in calce o a margine del ricorso, ma su un foglio separato, è privo di una qualsiasi data successiva al deposito del decreto impugnato e non contiene alcun riferimento al ricorso introduttivo del presente giudizio, al provvedimento impugnato o al giudizio di cassazione, essendo stato compilato con esclusivo riferimento ad incombenti processuali tipici dei gradi di merito (“vi nomino e vi costituisco miei procuratori nel procedimento di cui al presente atto e in quelli che dovessero seguirgli, ivi comprese le fasi esecutive e di appello, conferendoVi all’uopo, ogni più ampia facoltà di legge, ed in particolar modo, il potere di cui all’art. 84 c.p.c., nonchè quello di transigere, conciliare, rilasciare quietanze liberatorie, farsi sostituire, nominare procuratori domiciliatari e revocarli, eleggere domicili, richiedere il giudizio di equità, rinunciare agli atti del giudizio ed alla domanda giudiziaria, accettare la rinuncia, disconoscere scritture, chiamare in causa un terzo od anche in garanzia, deferire e/o riferire giuramento, anche quello decisorio, spiegare intervento volontario e/o domande riconvenzionali, richiedere provvedimenti di urgenza e/o cautelari, riassumere la causa, proporre impugnazioni, proporre appelli, proporre revocazioni di sentenze, domande incidentali ed accessorie, nonchè quella di sottoscrivere il presente atto”).

1.4. La procura non contiene, quindi, alcun riferimento al consapevole conferimento, da parte del cliente, dell’incarico al difensore per la proposizione del giudizio di legittimità e, pertanto, non solo è priva di specialità ma presenta indicazioni incompatibili con il giudizio di cassazione che, lungi dal costituire un gravame o “un grado” rispetto alla pronuncia di merito, configura uno speciale mezzo di impugnazione svolto attraverso un ricorso a critica vincolata, secondo l’impostazione del sistema processuale vigente che deve essere preservata soprattutto in questa sede, non a scopo deflattivo ma per garantire l’uniforme applicazione della legge.

1.5 Ne consegue l’inammissibilità del ricorso principale.

2. Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo con il quale deduce la violazione degli artt. 2935 e 2947 c.c. e della L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè il Tribunale aveva ritenuto erroneamente che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno fosse di 10 anni e non di 5 anni e che il rimedio di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, era espressione della più generale azione di cui all’art. 2043 c.c..

2.1 Il motivo è infondato.

2.2 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “Il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della CEDU, previsto della L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, comma 3, come introdotto dal D.L. n. 92 del 2014, art. 1, conv. con modif. dalla L. n. 117 del 2014, si prescrive in dieci anni, trattandosi di un indennizzo che ha origine nella violazione di obblighi gravanti “ex lege” sull’amministrazione penitenziaria. Il termine di prescrizione decorre dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni, salvo che per coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del D.L. cit., rispetto ai quali, se non sono incorsi nelle decadenze previste dal D.L. n. 92 del 2014, art. 2, il termine comincia a decorrere solo da tale data” (Cass., Sez. U., 8 maggio 2018, n. 11018).

In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che:

– la nuova disciplina prevista dalla L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, ha introdotto un mero “indennizzo” in una logica di forfetizzazione della liquidazione;

– la natura di mero indennizzo e il fondarsi della responsabilità nella violazione di obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione penitenziaria nei confronti dei soggetti sottoposti alla custodia carceraria depongono in senso concorde al fine di escludere l’applicabilità della regola specifica prevista dall’art. 2947 c.c., comma 1, per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, di modo che vale la regola generale della prescrizione decennale;

– il rimedio enucleato dal legislatore italiano con l’introduzione della L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, ha carattere retroattivo, come si può evincere, oltre che dalla premessa e dal senso complessivo della nuova normativa, finalizzata a definire anche le situazioni pregresse, dalla disciplina intertemporale dettata dall’art. 2, che, in tema di decadenza, fa inequivocabilmente riferimento, sia nel primo che nel comma 2, a detenzioni degradanti ed inumane già conclusesi (e quindi anteriori) al momento dell’entrata in vigore della legge;

– con riferimento alle situazioni in cui la detenzione sia cessata prima dell’entrata in vigore della legge il termine di prescrizione decorre da quest’ultima data, e cioè dal momento in cui la nuova disciplina è stata introdotta nell’ordinamento, poichè il rimedio risarcitorio in esame non era prospettabile in epoca antecedente; questa assenza di un precedente strumento di tutela, accessibile ed effettivo, “integra un impedimento all’esercizio del diritto rilevante ai sensi del generale principio di cui all’art. 2935 c.c., in base al quale la prescrizione decorre soltanto dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, formula da intendersi con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul corso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto;

– se nell’ambito della disciplina transitoria dettata dal D.L. n. 92 del 2014, art. 2, la prescrizione decorre dall’entrata in vigore della legge, questa forma di estinzione rimarrà assorbita in tutti i casi in cui il diritto viene meno, perchè l’azione non è stata proposta nel termine di decadenza di sei mesi dalla entrata in vigore della legge.

2.3 Le statuizioni del Tribunale di Napoli sulla natura della responsabilità e sulla prescrizione non si prestano, quindi, ad alcuna censura.

3. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale.

Compensa interamente tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale e del ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari per ciascuna parte a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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