Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5671 del 02/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 02/03/2020), n.5671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14633-2014 proposto da:

B.M., Z.L.I., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

BROCHIERO MAGRONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA UFFICIO CONTROLLI

DI ROMA in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 263/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 04/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di indagini sulle movimentazioni bancarie, nella loro qualità, rispettivamente, di titolare e di collaboratore familiare di impresa di autodemolizioni, i ricorrenti erano individualmente destinatari di atti impositivi con ripresa a tassazione a fini Iva, Irpef e Irap per gli anni di imposta 2004, 2005, 2006 e 2007. Impugnati gli otto provvedimenti, erano parzialmente annullati dal giudice di prossimità, con sentenza impugnata dalla parte contribuente, mentre la parte pubblica prestava acquiescenza ai capi di propri soccombenza.

2. Nelle more del secondo grado, il solo contribuente B.M. profittava della definizione agevolata unicamente per gli anni 2004 e 2007, che uscivano così dal contenzioso, ma erroneamente il giudice dell’appello riteneva cessata la materia del contendere anche per gli altri sei provvedimenti impugnati e non solo sui due definiti, sicchè pronunciava l’estinzione del giudizio, cui reagiva la parte contribuente con ricorso per revocazione e riedizione delle doglianze d’appello. Investita nuovamente della questione, la CTR revocava la sentenza gravata e decideva anche il merito dell’appello, segnatamente accogliendo il terzo motivo di parte contribuente, relativo alla deducibilità di spese inerenti al disbrigo di adempimenti amministrativi per veicoli demoliti e rigettando gli altri.

Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la parte contribuente, affidandosi a due motivi, mentre la difesa erariale si è riservata di spiegare difese in udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa o insufficiente motivazione in reazione a fatti decisivi prospettati dalle parti.

Più precisamente, vengono riproposti i motivi di appello non accolti, primo, secondo e quarto, lamentando per ciascuno di essi che non sia stata data adeguata motivazione.

Il motivo non assolve l’onere dell’autosufficienza, non essendo riprodotti in ricorso i passi degli atti processuali dei gradi di merito ove le doglienze siano state rappresentate. Il motivo d’appello del quale si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione non risulta infatti compiutamente riportato nella sua integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass. n. 17049/2015; n. 29368/2017). E’ stato chiarito che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale, ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. 13 febbraio 2014, n. 3289; 28 giugno 2017, n. 16147). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poichè è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).

Il motivo è dunque inammissibile.

2. Con il secondo motivo, si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione art. 91 e 92 codice di rito civile, nella sostanza contestando la compensazione delle spese nel giudizio di revocazione. La sentenza gravata è un unicum che ha deciso il momento rescindente e quello rescissorio, concludendo per un parziale accoglimento dell’appello a fronte del quale ha ritenuto complessivamente legittima la compensazione, in ossequio al dettato normativo ed all’orientamento di questa Suprema Corte. Ed invero, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, pure nel testo applicabile ratione temporis prima della modifica introdotta dalla L. 28 dicembre 2005 n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), la scelta di compensare le spese processuali era riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass. n. 7763 del 17/05/2012; Cass. SU n. 20598 del 30/07/2008; di recente, Cass. n. 8346 del 04/04/2018).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

Il ricorso, in definitiva, è infondato e dev’essere rigettato.

Non vi è luogo s pronunciare sulle spese per assenza di attività difensiva dell’Avvocatura generale dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020

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