Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5670 del 02/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 02/03/2020), n.5670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1573-2014 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121,

presso lo studio dell’avvocato CARMELA MARGHERITA RODA’, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE D’ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 30/2013 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 27/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il ricorrente V.G. si vedeva rettificato il suo reddito libero- professionale di geometra per l’anno 2004 con atto impositivo notificatogli il 27 ottobre 2008, all’esito di indagini bancarie – debitamente autorizzate – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51.

2. Il giudice di prossimità apprezzava le ragioni del contribuente, ma la sentenza veniva parzialmente riformata in appello, rimodulando il dovuto, ritenendo giustificati alcuni movimenti finanziari e, per il resto, riconoscendo legittimo l’impianto procedimentale operato dall’Amministrazione fiscale.

Ricorre per cassazione il contribuente proponendo due motivi di gravame, cui replica con controricorso il patrono erariale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, per non essere state indicate le ragioni a fondamento della pretesa impositiva. In verità, le norme citate elevano a presunzione di reddito (eventualmente da riprendere a tassazione) i movimenti bancari di cui il contribuente non sia in grado di dimostrare l’estraneità alla propria attività lavorativa o professionale. Con inversione legale dell’onere della prova, spetta al contribuente dar conto dei movimenti bancari che altrimenti restano ingiustificati e ripresi a tassazione. Con apprezzamento di merito, non scrutinabile in questa sede, la CTR ha ritenuto non adeguato l’apporto probatorio offerto dal contribuente al fine di superare la citata presunzione legale. E’ appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (ex pluribus: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

Il motivo è dunque infondato e va disatteso.

2. Con il secondo motivo si protesta vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, laddove sono stati equiparati i compensi professionali ai ricavi da reddito di impresa nell’attrazione della presunzione legale che tali ritiene i movimenti bancari di cui il contribuente non sia in grado di dare giustificazione. Più precisamente, la CTR, in parziale riforma (rispetto all’accoglimento in toto del ricorso del contribuente da parte della CTP) ha accolto l’appello dell’ufficio limitatamente a determinati incassi (e quindi ai “versamenti”), confermando, invece, l’accoglimento del ricorso del contribuente con riferimento ai “prelevamenti” (su cui trattandosi di reddito di lavoro professionale o autonomo (non d’impresa), Corte Cost. n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, seconda parte, con riferimento alla presunzione di “compenso” dei prelevamenti (effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo e professionale: cfr. Cass., V, n. 22931/2018 – Rv. 650334 01). Anche prima della novella legislativa che ne ha espressamente disposto l’equiparazione, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha inteso il formato normativo comprendente anche i compensi professionali. In questo senso si veda, da ultimo, Cass. V, n. 30790/2019 e precedenti ivi citati.

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

Il ricorso, in definitiva, è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro cinquemila/00 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020

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