Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5665 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. III, 09/03/2010, (ud. 08/02/2010, dep. 09/03/2010), n.5665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONCESSIONARIA SILVESTRI DI ANTONIO SILVESTRI SAS, in persona del

legale rappresentante p.t. sig. S.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PROPERZIO 27, presso lo studio dell’avvocato

ALLOCCA DANIELA, rappresentata e difesa dall’avvocato LAURI BIAGIO,

con studio in 80036 Palma Campania (NA), Via Roma 285, giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SIPRO SRL, in persona del legale rappresentante p.t., considerata

domiciliata “ex lege” in Roma, presso Cancelleria Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato CATALANO ANTONIO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, Terza

Sezione Civile, emessa il 14/01/2005, depositata il 16/02/2005;

R.G.N. 2622/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

08/02/2010 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per la inammissibilita’ o il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14 gennaio – 16 febbraio 2005 la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello principale proposto dalla Concessionaria Silvestri di Silvestri Antonio s.a.s. con atto notificato il 23 maggio 2003, avverso la decisione del locale Tribunale n. 3895 del 2003, ed in accoglimento dell’appello incidentale della s.r.l. SIPRO, condannava la Concessionaria Silvestri al ripristino dell’immobile come sin dall’origine locato, a sue cure e spese, nonche’ al risarcimento del danno – per tutti i lavori eseguiti senza il consenso del locatore – da liquidarsi in separata sede.

La Corte territoriale osservava, preliminarmente, che nel caso di specie non vi era stata novazione oggettiva dell’originario contratto di locazione del 1975, avente ad oggetto un capannone e antistante spiazzo in (OMISSIS).

I vari contratti che si erano susseguiti nel corso degli anni tra la concessionaria Silvestri e la SIPRO dovevano essere considerati come un unico contratto, rinnovatosi nel corso degli anni.

La modificazione di alcuni elementi accessori, come la durata o la scadenza della locazione e la misura del canone, non configuravano la novazione della obbligazione originaria (ex art. 1231 c.c.), mancando qualsiasi elemento da quale poter desumere, in modo inequivoco, la volonta’ delle parti di estinguere la precedente obbligazione e di sostituirla con una nuova.

In questo – unico – contratto era presente la clausola che richiedeva il consenso del locatore per le opere che il conduttore intendesse eseguire nell’immobile locato.

Del tutto irrilevante era dunque la circostanza che l’immobile, nel contratto del 1987, fosse stato locato nello stato di fatto in cui si trovava e l’accertamento dell’epoca dei commessi abusi.

In ogni caso, poiche’ era espressamente richiesto il consenso scritto del locatore, tale consenso non era ravvisabile nella richiesta di condono ne’ nella stipula del contratto del 1987.

Il rilevante numero e la portata delle opere piu’ volte eseguite dalla conduttrice, sempre senza il consenso della locatrice, inducevano i giudici di appello a ritenere grave l’inadempimento della concessionaria Silvestri, con le conseguenze di cui all’art. 1590 c.c..

Avverso tale decisione la Concessionaria Silvestri ha proposto ricorso per Cassazione, sorretto da due distinti motivi.

Resiste la SIPRO con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1230 e 1231 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte territoriale aveva ritenuto che l’ultimo contratto intervenuto tra le parti costituisse rinnovazione di un unico rapporto locatizio, iniziato nel 1975 ed ha considerato, pertanto, irrilevante l’epoca nella quale erano stati effettuati gli interventi sull’immobile, espressamente vietati al conduttore senza il consenso del locatore (ritenendo pertanto irrilevante la circostanza che nell’ultimo contratto figurasse la clausola dalla quale risultava che l’immobile fosse “locato nello stato di fatto in cui si trova”).

In tal modo, i giudici di appello avevano violato le regole ermeneutiche dettate dagli articoli richiamati, incorrendo nella falsa applicazione delle norme relative alla novazione.

Il senso letterale delle parole contenute nel contratto del 1987 non consentiva di giungere a conclusioni diverse da quelle indicate dalla ricorrente.

Numerosi elementi (quali la misura del canone) dovevano portare alla conclusione che il nuovo contratto non conteneva solo una diversa misura del canone ma intendeva “azzerare” il contratto pregresso, portando ad una diversa regolazione del rapporto. Tra l’altro, sottolineava la ricorrente, le parti non avrebbero avuto bisogno di pattuire una durata ulteriore del contratto, considerato che quello immediatamente precedente (1981) si sarebbe rinnovato automaticamente in mancanza di disdetta.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La prova testimoniale, gia’ formulata in primo grado e reiterata nel giudizio di appello, diretta ad accertare l’epoca degli interventi effettuati dalla conduttrice sull’immobile, era necessaria al fine di escludere l’inadempimento grave lamentato dalla societa’ locatrice.

La prova per testi tendeva ad accertare che nessun intervento era stato eseguito dopo la stipulazione del nuovo contratto del 1987. I testi indicati, tutti dipendenti della societa’ Concessionaria Silvestri fino dal 1975, erano perfettamente a conoscenza dei singoli interventi edili realizzati nell’immobile locato e dell’epoca di realizzazione degli stessi.

I giudici di appello, sull’erroneo presupposto della irrilevanza dell’epoca di realizzazione dei lavori, avevano rigettato la richiesta di ammissione di tale prova, senza alcuna motivazione, in tal modo impedendo alla attuale ricorrente la possibilita’ di provare la verita’ dei fatti dedotti.

Osserva il Collegio:

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati.

La Corte territoriale ha accolto l’appello incidentale della SIPRO (avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto che le opere concretanti il grave inadempimento fossero state effettuate esclusivamente nella vigenza dell’ultimo del contratto del 1987) sottolineando che le numerose opere abusivamente eseguite dalla Concessionaria Silvestri durante l’intero arco dell’unico rapporto di locazione dovevano considerarsi rilevanti ai fini dell’inadempimento della conduttrice, in considerazione del loro numero e della loro importanza, e del fatto che la esecuzione di ogni modifica dell’immobile, secondo l’originario contratto (ma anche in quelli successivi) era consentita solo previo consenso scritto della locatrice.

La valutazione circa la gravita dell’inadempimento della societa’ conduttrice non e’ stata sottoposta a censure da parte della ricorrente.

La decisione cui sono pervenuti i giudici di appello e’ in tutto conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’apprezzamento giudice di merito sulla sussistenza di elementi comprova l’inadempimento e la sua gravita’ nel quadro dell’economia contrattuale, implicando la risoluzione di questioni di fatto, e’ insindacabile in Cassazione se immune da errori logici o giuridici; il giudice di merito non e’, infatti, tenuto ad analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo e adempie all’obbligo della motivazione quando giustifica compiutamente la propria decisione in base alle risultanze probatorie che ritiene risolutive ai fini della statuizione adottata.

In particolare, i giudici di appello hanno rilevato che:

1) il contratto di locazione vietava espressamente ogni modifica dell’immobile locato senza il consenso del locatore: non vi era alcuna prova dalla quale desumere la esistenza del consenso della locatrice al compimento delle opere eseguite dalla conduttrice;

2) in particolare, non era possibile ravvisare una prova di questo genere nella richiesta di condono presentata dalla locatrice ne’ nella stipula del contratto del 1987 (anche nella ipotesi in cui si volesse riconoscere a questo la natura di nuovo contratto);

3) non poteva neppure condividersi la tesi della conduttrice secondo la quale, essendo state alcune opere effettuate prima della stipula del contratto del 1987 ed essendo stato, in questo ultimo contratto, locato l’immobile “nello stato di fatto in cui si trovava” la locatrice avrebbe approvato l’abuso e ratificato la autorizzazione tacita gia’ data in precedenza;

4) anche a prescindere dalla considerazione che si trattava di un unico contratto risalente al 1975, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il consenso non puo’ consistere un una semplice tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volonta’, volta ad approvare le eseguite innovazioni: manifestazione di volonta’ non ravvisabile nel caso di specie.

Sulla base di tali premesse la Corte territoriale precisava che nel caso di specie “la volonta’ delle parti, invero, era quella di rinnovare il contratto di locazione, non gia’ quella di sanare pregresse situazioni che, in ogni caso, avrebbero potuto essere considerate alla fine del rapporto”.

Si tratta di un accertamento di merito, logicamente motivato, che sfugge pertanto a qualsiasi violazione di norme di legge e di vizi di motivazione.

Le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per se’ indice della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione o di modalita’ non rilevanti ai fini della configurabilita’ della novazione.

La novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula, infatti, il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, ex art. 1230 c.c., mentre non e’ ricollegabile alle mere modificazioni accessorie, ai sensi dell’art. 1231 c.c..

Essa, inoltre, deve essere connotata non solo dall'”aliquid novi”, ma anche dagli elementi dell'”animus novandi” (inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo) e della causa “novandi” (intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo) e l’accertamento che su tali tre elementi (volonta’, causa ed oggetto del negozio) compia il giudice di merito e’ incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato (Cass. 6680 del 1998, cfr.

Cass. 6380 del 2001, 13294 del 2005, 15347 del 2006, 12946 del 2007).

La censura di violazione delle regole di interpretazione del contratto e’ inammissibile, non essendo stati riportati integralmente i contenuti dei contratti di locazione.

Anche in relazione a ricorsi proposti avverso decisioni pubblicate prima del 4 marzo 2006, deve affermarsi che qualora, in sede di giudizio di legittimita’, vengano denunciati vizi della sentenza impugnata per mancata considerazione della portata di alcune clausole di un contratto, il ricorrente ha l’onere – in forza del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione ed a pena di inammissibilita’ dello stesso – di riprodurre le clausole del contratto, in tutti i casi in cui le parti controvertano sul testo letterale delle clausole medesime e sulla interpretazione da attribuire alle stesse.

Anche la denuncia di vizi della motivazione e dell’art. 115 c.p.c. (relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale sull’epoca delle modifiche effettuate) si rivela inammissibile ed irrilevante, in conseguenza dell’accertamento della unicita’ del rapporto di locazione, contenuto nella sentenza impugnata.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00 (duemiladuecento/00), di cui Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

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