Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5664 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. III, 09/03/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 09/03/2010), n.5664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ASSOCIAZIONE SPORTIVA CENTRO IPPICO AMBROSIANO (OMISSIS) nella

qualita’ di Presidente il Sig. L.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 36, presso lo studio

dell’avvocato BUSCEMI CORRADO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FIORE CRISTIANO ANGELO con delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 162, presso lo studio dell’avvocato SCALONE

DI MONTELAURO LUCIA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DI NICUOLO FRANCO con delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3120/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Prima Sezione Civile, emessa l’08/06/2004; depositata il 30/11/2004;

r.g.n. 1038/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

03/02/2010 dal Consigliere Dott. UCCELLA Fulvio;

udito l’Avvocato BUSCEMI CORRADO; udito l’Avvocato SCALONE DI

MONTELAURO LUCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18 febbraio 2002 il Tribunale di Milano dichiarava la esclusiva responsabilita’ dell’Associazione sportiva Centro Ippico Ambrosiano per le lesioni (frattura tibia destra) patite da S. R., mentre, montato un altro cavallo e procedendo in fila indiana secondo le istruzioni impartite dall’istruttrice, il cavallo che lo precedeva di asserita proprieta’ del Centro sferrava improvvisamente un calcio.

Il Tribunale, riconosciuta la responsabilita’ del Centro ex art. 2052 c.c. condannava il Centro convenuto al pagamento in favore del S. della somma di Euro 10.242,99 e alle spese di lite; rigettava la domanda di manleva proposta dal Centro nei confronti della SAI e della Sportass.

Avverso siffatta decisione proponevano appello principale il Centro Ippico e appello incidentale il S. nella parte in cui il primo giudice non aveva dichiarato la responsabilita’ del Centro Ippico anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2043 c.c..

La Corte di appello di Milano, con sentenza del 3 dicembre 2004, rigettava entrambi gli appelli e condannava l’appellante principale alle spese di lite.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione l’Associazione Sportiva Centro ippico Ambrosiano affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in quante asserisce che il giudice dell’appello avrebbe erroneamente individuato le norme applicabili alla fattispecie in giudizio ed avrebbe erroneamente interpretato tali norme (p. 13 ricorso).

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la sussistenza nella decisione impugnata del vizio di omessa pronuncia, in quanto a suo avviso, il giudice dell’appello avrebbe statuito solo su alcuni capi della domanda senza rigettare espressamente gli altri e “senza che le domande non decise possano ritenersi assorbite dalle statuizioni pronunziate”.

Con il terzo motivo (insussistenza, omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e comunque rilevabile di ufficio) la ricorrente lamenta la mancanza di un criterio logico a sostegno della decisione adottata (p. 27 ricorso).

2.- Osserva il Collegio che i tre motivi di doglianza vanno esaminati congiuntamente: il primo e il terzo per la loro stretta interconnessione; il secondo in via di logica consequenzialita’ e che la questione centrale del ricorso attenga alla applicabilita’ o meno nel caso di specie dell’art. 2052 c.c..

2.1.- In linea di dritto, e per fattispecie analoghe, questa Corte ha avuto modo di statuire che l’attivita’ sportiva svolta da allievi piu’ esperti rispetto ad altri partecipanti a lezioni di equitazione, e’ soggetta alla presunzione di responsabilita’ ex art. 2052 c.c. con la conseguenza che spetta al gestore dell’animale (utilizzatore o proprietario) che ha cagionato il danno di fornire non solo la propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno e’ stato cagionato dal caso fortuito ( da ultimo Cass. n. 16637/08).

Infatti, cio’ che rileva a tal fine non e’ gia’ il proprio comportamento o la propria attivita’, ma la mera relazione (di proprieta’ o di uso) intercorrente tra il proprietario o l’utilizzatore e l’animale nonche’ il nesso di causalita’ tra il comportamento di quest’ultimo e l’evento dannoso (di recente Cass. n. 6454/07; Cass. n. 1210/06).

Applicando questi principi ermeneutici alla vicenda in esame, va affermato che il giudice dell’appello ha individuato gli esatti termini della stessa, dopo aver esaminato tutti gli elementi fattuali, processualmente acquisiti.

2.2.- Infatti, e’ emerso che:

1) il S. – danneggiato -, per stesso riconoscimento del Centro Ippico era socio del Centro in qualita’ di cavaliere – adulto nella terza classe di addestramento (p. 15 – 16 ricorso nota 8);

2) i due cavalieri coinvolti avevano un certo grado di competenza nella pratica sportiva, per cui “cio’ vale ad escludere l’applicabilita’ dell’art. 2050 c.c.” (p. 12 sentenza impugnata);

3) l’incidente si e’ verificato mentre la “lezione” si svolgeva in presenza e su direttive della istruttrice, escussa in giudizio (v.

anche p. 19 – 20 ricorso), per cui il S. non si trovava “nella condizione di cavalcare in assoluta autonomia” (p. 12 sentenza impugnata);

4) il cavallo, che ha sferrato il calcio, era gestito dal Centro che, contrariamente a quanto afferma – p – 15 ricorso e poi riprende a p. 28 – svolgeva attivita’ imprenditoriale se e’ vero, come, peraltro, e’ risultato che ospitava “oltre quaranta cavalli” sia di proprieta’ altrui e a pensione, sia di proprieta’ del circolo con una struttura dotata di maneggio coperto, rettangolo di equitazione e campo – ostacoli con galoppatoio (p. 12 – 13 sentenza impugnata).

Infatti, a nulla rileva la denominazione di un ente, sulla quale insiste il Centro – Associazione sportiva Centro Ippico Ambrosiano -, perche’ ai fini della qualita’ imprenditoriale dal punto di vista giuridico vale l’attivita’ nel concreto esplicitata, non solo, per quanto nulla ha allegato (statuto,ad esempio) che consentisse al giudice dell’appello di rinvenire in tale complessa e ben strutturata Associazione l’assenza, nella sua attivita’, di ogni fine di lucro, come era suo diritto, oltre che onere fare, al fine di fugare ogni dubbio sulla utilita’ economica della “gestione del cavallo”;

5) il Centro aveva dato all’amazzone da montare il cavallo (testimonianza della stessa) : uno dei tanti, perche’ ricoverava “le cavalcature di proprieta’ altrui”, onde soddisfare “appunto quelle ragioni di custodia, cura, governo o mantenimento”, anche se, assume il Centro, queste attivita’ non trasferirebbero in capo ad esso le responsabilita’ presunte delle condotte dell’animale (p. 30 ricorso);

6) nessuna condotta imprudente del S., che procedeva in fila indiana sotto la supervisione della istruttrice, ha cagionato l’evento dannoso.

2.3. – Alla luce di questi elementi il giudice dell’appello ha ritenuto sussistente in capo al Centro Ippico la esclusiva responsabilita’ dell’incidente, non avendo lo stesso fornito la prova liberatoria, mentre il danneggiato ha dimostrato la interferenza della posizione del maneggio nel nesso di causalita’.

Infatti, e’ emerso – e non e’ contestato – che l’evento dannoso si e’ verificato nel corso di una “ripresa”, che si svolgeva in presenza della istruttrice del Centro ed in seguito ad ordini dalla stessa impartiti al S., da parte di un cavallo gestito dal maneggio, per cui il nesso di causalita’ e’ stato ritenuto sussistente, escludendo la interruzione dello stesso per fatti colposi del danneggiato (p. 15 – 16 sentenza impugnata).

Ne’ nel ricorso, nel quale si pone in evidenza il significato tecnico nella pratica sportiva della equitazione di “ripresa”, si allegano elementi idonei a far ritenere che il S. non si era attenuto alla ovvia regola di prudenza di non avvicinarsi troppo all’equino che lo precedeva, pur rinvenendosi in esso tale affermazione, che, quindi, risulta apodittica.

Peraltro, e’ stato accertato, in corso di causa, che il cavallo che precedeva il S., il quale era in fila indiana con il proprio animale, ebbe un impulso istintivo in una seduta. di pratica sportiva (p. 12 sentenza impugnata), che si svolgeva alla presenza e sotto la direzione dell’istruttrice.

L’assunto della ricorrente, specificamente contenuto nel primo motivo, secondo cui la sentenza impugnata “equivoca tra attivita’ imprenditoriale commerciale ed attivita’ di pratica sportiva in forma associativa” (p. 16 ricorso), per cui al Centro Ippico non si potrebbe attribuire alcuna responsabilita’ rinvenibile in base all’art. 2052 c.c. appare, quindi, irrilevante solo che si consideri che il giudice dell’appello ha fondato la sua decisione sull’accertamento effettuato in corso di causa ed ha tenuto conto anche del principio generale per cui cuius comoda eius incommoda al quale l’art. 2052 c.c. e’ ispirato (p. 9 – 10 sentenza impugnata).

L’ulteriore argomento del ricorrente, secondo il quale la responsabilita’ avrebbe dovuto essere attribuita all’amazzone, che montava il cavallo, perche’ ella aveva “in uso l’animale e se ne serviva per una finalita’ sua (praticare l’equitazione) o del proprietario dell’equino (per muovere il cavallo) e non gia’ del Centro, di cui l’amazzone e il S. erano soci (p. 22 ricorso), e’ stato disatteso dal giudice dell’appello sulla base della circostanze, emerse nel giudizio, che di fatto hanno caratterizzato il caso (fol. 14 sentenza impugnata).

Infatti, il giudice dell’appello, con motivazione ineccepibile, ha affermato che, per vincere la presunzione di colpa, non puo’ attribuirsi efficacia liberatoria alla semplice prova dell’uso della normale diligenza nella custodia dell’animale o della mansuetudine di questo, essendo irrilevante che il suo comportamento sia stato causato da impulsi interni imprevisti ed imprevedibili ed essendo, invece, sufficiente al permanere della presunzione di colpa che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale da fatto proprio dell’animale, per cosi’ dire “gestito” o utilizzato – ai fini di addestramento – dal Centro (v. p. 14 sentenza impugnata).

Nella motivazione della sentenza, inoltre, si pone in rilievo che la presunzione non e’ stata vinta perche’ le dichiarazioni testimoniali relativamente alle posizioni dei cavalli, alle manovre dei cavalieri coinvolti erano contrastanti e perche’ era notoria nell’ambiente del Centro la irrequietezza dell’animale (teste B.) e nessuna interferenza con il suo improvviso scalciare aveva assunto la condotta del S. (p. 15 sentenza impugnata).

Deve, quindi, affermarsi che nessun error in judicando (primo motivo) ne’ nessun vizio di motivazione (terzo motivo) sono configurabili nella sentenza de qua. Ne’ tanto meno e’ rinvenibile nella decisione impugnata alcuna omessa pronuncia (secondo motivo).

Di vero, una volta accertati gli estremi della responsabilita’ esclusiva del Centro Ippico ex art. 2052 c.c. e la esclusione di ogni cooperazione colposa da parte di terzi (in questo caso anche del S.) nella produzione dell’evento, il giudice dell’appello non poteva non fondare la propria decisione sulla base della mera relazione intercorrente tra il Centro “gestore” dell’animale e l’animale stesso per cui non era tenuto ad esaminare le altre deduzioni dell’appellante Centro, per le risultanze sopra elencate, come quella concernente il c.d. rischio consentito.

Peraltro, su questa “esclusione” o, meglio, in ordine a questa omissione il ricorrente mostra solo di “dissentire vigorosamente” (p. 23 ricorso), proponendo, quindi, una valutazione della attivita’ praticata dal S. diversa da quella qualificata dal Tribunale prima e condivisa dal giudice dell’appello poi (v. sul punto Cass. n. 14743/00).

Infine, e per completezza, va ricordato che il Tribunale ebbe a rigettare la domanda di manleva nei confronti della SAI e della Sportass., dispiegata dal Centro Ippico, e contro tale capo della decisione di primo grado l’attuale ricorrente non propose impugnazione come si evince dai motivi di appello e dalle conclusioni ritrascritti nel ricorso, in virtu’ del principio di autosufficienza dello stesso (p. 2 – 13 ricorso), tanto e’ che la sentenza di appello ha riguardato solo il Centro Ippico e il S., che ebbe si’ a citare il Centro Ippico, ma non risulta che si sia opposto a quella chiamata (p. 26 del ricorso tace in proposito).

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida, in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, 3 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

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