Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5664 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 02/03/2021), n.5664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27031/2015 proposto da:

FCCD Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Salaria n. 259, presso lo

studio dell’avvocato Passalacqua Marco, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Allavena Vittorio, Barretta Adiutrice, Ielo

Domenico, Sacchi Lodispoto Giuseppe, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, e Dipartimento della Protezione Civile,

Sottosegretario di Stato per l’emergenza rifiuti – Unità Stralcio

D.L. n. 195 del 2009, ex art. 2, comma 1, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta

e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3524/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2020 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA Giovanni Battista, che si riporta alla requisitoria

scritta e conclude per il rigetto del primo e secondo motivo,

accoglimento del terzo, rigetto del quarto, accoglimento del quinto,

assorbito il sesto;

udito, per la ricorrente, l’avvocato Passalacqua Marco che si

riporta;

udito, per le controricorrenti, l’avvocato Pucciariello Pasquale

dell’Avvocatura che si riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con decreto ingiuntivo in data 18.5.2010, il Tribunale di Napoli ingiungeva alla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Protezione Civile, Sottosegretariato di Stato per l’emergenza rifiuti (di seguito, “PCM”) D.L. 30 dicembre 2009, n. 195, ex art. 2, comma 1, conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 26, di pagare a FCCD Limited (di seguito, “FCCD”) la somma di Euro 26.052.657,49, oltre accessori.

2.- Il credito monitoriamente azionato aveva ad oggetto i corrispettivi per il servizio di smaltimento rifiuti prestato, nel periodo dal 2001 al 2006, in favore della “PCM” dalla Pomigliano Ambiente spa (di seguito, “Pomigliano”), società a totale partecipazione pubblica, in virtù delle seguenti cessioni dei crediti (nascenti da ordinanze commissariali, risultanti da fatture emesse da “Pomigliano”) a favore della “FCCD”: a) atto di cessione pro solvendo da “Pomigliano” a San Paolo Banco di Napoli mediante scambio di corrispondenza in data 6 giugno 2002, 15 luglio 2002, 29 ottobre 2002, 29 dicembre 2003 e 22 gennaio 2004 e successiva cessione pro-soluto dei medesimi crediti (pari a Euro 10579855,16 oltre accessori) con atto notarile in data 23 aprile 2007 da “San Paolo” a “FCCD”, notificata al debitore ceduto in data 3 maggio 2007 a mezzo di ufficiale giudiziario; b) atto notarile di cessione diretta pro soluto, in pari data 23 aprile 2007, da “Pomigliano” a “FCCD” dei crediti (pari a Euro 6261481,29 oltre accessori) vantati nei confronti della “PCM”.

3.- Il Tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri, revocava il decreto ingiuntivo e rigettava le domande della “FCCD”.

4.- La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 28 agosto 2015, rigettava l’appello principale proposto da “FCCD” e dichiarava assorbito l’appello incidentale della “PCM”.

4.1.- La Corte richiamava la giurisprudenza delle Sezioni Unite (n. 26243 del 2014) sulla facoltà del giudice di rilevare d’ufficio in grado d’appello le cause di nullità diverse da quelle dedotte dalle parti in primo grado e osservava che le questioni inerenti alla nullità delle cessioni, sebbene sollevate dalla “PCM” per la prima volta con appello incidentale, erano dunque esaminabili nel merito. Tanto premesso, rilevava d’ufficio la nullità sia dell’atto di cessione (sub a) da “Pomigliano” a “San Paolo” per violazione dell’onere di forma per atto pubblico di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70, cui conseguiva l’inefficacia del successivo atto di cessione da “San Paolo” a “FCCD”; sia dell’atto di cessione diretta (sub b) da “Pomigliano” a “FCCD”, sul presupposto che, essendo un organismo di diritto pubblico, la “Pomigliano” era venuta meno all’obbligo di selezionare il cessionario mediante procedura di evidenza pubblica o, comunque, procedura competitiva con invito di almeno cinque concorrenti, a norma dell’art. 27 del D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163 (applicabile ratione temporis). Con riguardo a questa seconda operazione (sub b), la Corte osservava che la cessione di credito si configura come un contratto avente ad oggetto un servizio finanziario di tipo oneroso, consistente in un’anticipazione di capitale, e non rientra tra i contratti “esclusi” dall’applicazione del codice degli appalti, di cui al D.Lgs. del 2006, art. 19, comma 1, lett. d), (non essendo realizzato tramite emissione, vendita e trasferimento di strumenti finanziari), essendo per altro verso incluso tra i “servizi bancari e finanziari” soggetti alle disposizioni del codice (Allegato II A richiamato dall’art. 20, comma 2); e comunque, l’obbligo di evidenza pubblica è previsto anche per i contratti “esclusi”, a norma dell’art. 27 del medesimo D.Lgs. 2006.

5.- Avverso questa sentenza la “FCCD” propone ricorso, affidato a sei motivi, cui resiste la “PCM” con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Seguendo l’ordine logico definito in coerenza con il percorso motivazionale, devono essere esaminati prioritariamente il terzo, quarto e quinto motivo, risultando gli altri motivi assorbiti per le ragioni che si esporranno.

2.- Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70, e art. 1421 c.c., per avere dichiarato la nullità della cessione “Pomigliano”/”San Paolo” stipulata mediante scambio di corrispondenza e, dunque, per difetto di forma ad substantiam e, in via consequenziale, della successiva cessione “San Paolo”/”FCCD”, mentre la forma imposta dalle suddette disposizioni non costituisce un presupposto di validità ma di mera opponibilità o inefficacia del negozio dispositivo del credito verso la pubblica amministrazione, con la conseguenza che la Corte territoriale non avrebbe potuto rilevare d’ufficio la nullità; e inoltre, per non avere considerato che la “PCM”, con note del 22 dicembre 2003 e 23 maggio 2002, aveva accettato l’atto di cessione “Pomigliano”/”San Paolo” e riconosciuto i crediti indicati nelle fatture.

2.1.- Il motivo è fondato in entrambe le sue articolazioni.

2.1.1.- La Corte territoriale ha rilevato espressamente d’ufficio e dichiarato la nullità – eccepita dalla “PCM” per la prima volta in appello – della cessione del credito di “Pomigliano” alla cessionaria “San Paolo” e, in via consequenziale, l’inefficacia del successivo atto di cessione da “San Paolo” a “FCCD” per difetto di forma scritta per atto notarile, a norma del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69.

Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità è da tempo acquisito il principio secondo cui la suddetta disposizione, disponendo che la cessione di un credito di un privato verso una pubblica amministrazione statale (cfr. Cass. n. 32788 del 2019, n. 30658 del 2017) risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato e che il relativo atto sia notificato nei modi di legge, prevede che, ove una tale cessione sia realizzata in forme diverse, essa è valida nei rapporti tra cedente e cessionario, trattandosi di atto avente natura consensuale, ma è inefficace nei confronti della (quindi inopponibile alla) P.A. medesima (cfr. Cass. n. del 21747 del 2016, n. 5493 del 2013, n. 12901 del 2004; a norma del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 117, comma 1, “Ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti (…) le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate (…)”).

Non si tratta dunque di una nullità ma di una ipotesi di inefficacia della cessione nell’interesse esclusivo del debitore ceduto, che permette di considerare liberatorio il pagamento eventualmente effettuato in buona fede al cedente anzichè al cessionario, pur dopo che la cessione, non effettuata nelle forme indicate, gli sia stata notificata (cfr. Cass. n. 15153 del 2000). Il debitore ceduto, pertanto, è il solo titolato a farla valere – proponendo una eccezione in senso stretto nei modi e tempi processuali consentiti – con la conseguenza che il rilievo d’ufficio della carenza di forma da parte della Corte territoriale ha comportato il vizio denunciato di ultra o extra petizione (cfr. Cass. n. 12616 del 2017, n. 12901 del 2004).

2.1.2.- In secondo luogo, la Corte di merito, ritenendo “del tutto irrilevante” l’eventuale “ricognizione di debito” o accettazione operata dalla “PCM”, non ha tenuto conto che da tempo la giurisprudenza di legittimità ritiene che se la cessione, seppure non effettuata nelle forme indicate, è comunque accettata dalla pubblica amministrazione, il successivo pagamento effettuato al cedente non la libera nei confronti del cessionario (cfr. Cass. n. 15153 del 2000), essendo sempre salva la facoltà di accettazione da parte della stessa amministrazione (cfr. Cass. n. 21747 del 2016, n. 5493 del 2013, n. 12901 del 2004).

Resta assorbito l’ulteriore profilo concernente l’eventuale conferma implicita della cessione da parte della cedente “Pomigliano” per effetto della partecipazione al successivo atto di cessione stipulato in forma notarile tra “San Paolo” e “FCCD”.

3.- Il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., per avere rilevato d’ufficio la nullità dell’atto di cessione diretta, da “Pomigliano” a “FCCD”, dei crediti vantati nei confronti della “PCM”, per violazione di norma imperativa in tema di evidenza pubblica per la scelta del contraente-cessionario, senza un adeguato accertamento dei presupposti fattuali giustificativi.

3.1.- Il motivo è infondato. Il convincimento del giudice in relazione ai suddetti presupposti, concernenti la compagine e struttura sociale della “Pomigliano”, in termini idonei a configurare un organismo di diritto pubblico, e la mancata effettuazione di una gara pubblica per la scelta del cessionario (salvo quanto si dirà sub 4.3.3.), si è formato su documenti acquisiti al giudizio e nella disponibilità delle parti, quindi nel rispetto del contraddittorio. La critica genericamente svolta nel motivo è finalizzata alla rivisitazione di apprezzamenti di fatto incensurabili in questa sede.

4.- Con il quinto motivo (proposto nella ipotesi di non accoglimento del quarto motivo), la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 20, comma 2, e Allegato 2 A), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 27, e D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, art. 3, comma 1, per avere dichiarato la nullità dell’atto di cessione “Pomigliano”/”FCCD” per violazione di norma imperativa che imponeva l’evidenza pubblica o una procedura competitiva per la selezione del cessionario, facendo erronea applicazione della normativa sui contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006) riguardante i cd. contratti passivi, non applicabile, invece, ai contratti attivi in cui, come nella cessione di credito, non avviene un esborso ma un’entrata per la pubblica amministrazione. Il giudice d’appello avrebbe confuso la cessione del bene con l’acquisizione del servizio, perchè avrebbe considerato la cessione non come un contratto con cui il cedente cede un proprio diritto in cambio di un corrispettivo, ma come un contratto con cui il cedente acquista dal concessionario un ipotetico e inesistente “servizio”. Perciò, considerando la cessione come un contratto passivo, il giudice erroneamente avrebbe applicato la normativa che impone agli organismi di diritto pubblico di svolgere la gara pubblica qualora intendano acquisire servizi, mentre si trattava di una cessione di beni, dunque di un contratto attivo per il quale l’obbligo di gara vige soltanto per le amministrazioni statali e gli enti territoriali e non per le società private costituenti organismi di diritto pubblico.

4.1.- Il motivo è fondato nei termini seguenti.

4.2.- A sostegno della statuizione impugnata, la Corte territoriale ha sviluppato, in sintesi, i seguenti passaggi argomentativi:

– la cessione del credito da “Pomigliano” a “FCCD” è un contratto, da un lato, “incluso” nel codice degli appalti, in quanto concernente “servizi” “di cui all’Allegato II” (richiamato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 10) analoghi ai “servizi finanziari” (Allegato II A richiamato dall’art. 20, comma 2), nonchè oneroso, consistendo in una anticipazione di capitale per la quale il cedente deve pagare un prezzo; dall’altro, è un contratto non “escluso” dal codice, trattandosi di servizi finanziari non effettuati tramite strumenti finanziari (come da elenco dei “Contratti di servizi esclusi” di cui all’art. 19 D.Lgs. citato);

– vige dunque la prescrizione di scelta del contraente mediante procedura di evidenza pubblica da parte della “Pomigliano”, quale organismo di diritto pubblico, o comunque, nel caso si trattasse di un contratto “escluso” dalla disciplina del codice, mediante procedura concorrenziale rispettosa dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento ecc., di derivazione comunitaria, con previo invito ad almeno cinque concorrenti (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 27);

– di conseguenza, la Corte ha ritenuto nulla la suddetta cessione, a norma dell’art. 1418 c.c., comma 1, per contrarietà alle norme imperative che prescrivono il ricorso alle regole dell’evidenza pubblica per la scelta del contraente.

Questa impostazione ha trovato riscontro in un precedente di questa Corte, secondo cui “la cessione di credito è un contratto a prestazioni corrispettive in quanto, a fronte dell’apporto anticipato di liquidità, il cedente deve pagare al cessionario un prezzo concordato, di regola detraendolo dall’importo del credito anticipato, sicchè la scelta del contraente da parte di un organismo pubblico deve avvenire attraverso la procedura dell’evidenza pubblica la quale assicura il rispetto dei principi imperativi di imparzialità e buon andamento della P.A., di cui all’art. 97 Cost., nonchè la concorrenza (ex art. 117 Cost., comma 2, lett. e), realizzando l’interesse pubblico al miglior vantaggio economico e garantendo, al contempo, ai soggetti abilitati, il diritto di esercitare attività economica senza discriminazione” (cfr. Cass. n. 11202 del 2019).

4.3.- Ai sovraesposti argomenti è possibile opporre le seguenti repliche.

4.3.1.- Innanzitutto, è arduo sostenere che una singola cessione onerosa, non inserita in un’attività di servizio più ampia a beneficio dell’organismo di diritto pubblico, possa rientrare tra i “servizi bancari e finanziari” cui fa riferimento l’Allegato II A) richiamato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 20, comma 2 (e art. 3, comma 10), diversamente da quanto potrebbe in astratto predicarsi rispetto al contratto atipico e complesso di factoring che prevede un accordo in forza del quale una impresa specializzata si obbliga ad acquistare, per un periodo di tempo determinato e rinnovabile, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare. E’ significativo che la L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 1, comma 2, (richiamata nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 117, comma 1) preveda l’applicabilità delle norme del codice civile in tema di cessioni di credito prive dei requisiti propri del factoring, il cui scopo è, di regola, il finanziamento dell’impresa.

L’appalto di servizi, diversamente dall’appalto di opere, è di regola un contratto ad esecuzione continuata (Cass., sez. un., n. 26298 del 2008 e 13892 del 2009; n. 4818 del 1977), non configurabile rispetto

ad un atto singolo di cessione di un credito. Non è chiaro, inoltre, quale sia il “servizio” prestato dal cessionario se non quello di acquistare un bene (il credito) che è oggetto del contratto e di corrispondere il relativo importo, analogamente a quanto accade per i contratti (“attivi”) con cui la pubblica amministrazione realizza entrate (ad esempio, vendendo un immobile). E’ dunque condivisibile la requisitoria svolta dal Procuratore Generale sul punto.

Neppure giova porre l’accento sul prezzo della cessione per l’amministrazione cedente che dovrà detrarlo dall’importo anticipato di liquidità ottenuta, così “da circoscrivere l’approvigionamento di liquidità” (in tal senso, invece, Cass. n. 11202 del 2019 cit.), trattandosi di una caratteristica della generalità dei contratti a prestazioni corrispettive, non sufficiente, tuttavia, ad attrarli tutti nell’orbita della disciplina del codice degli appalti, la quale si riferisce pur sempre agli “appalti” (nei diversi settori), cioè a contratti “passivi”.

La nozione di “servizi finanziari”, quand’anche ampia, non pare possa ricomprendere l’atto di cessione di crediti, una diversa conclusione non trovando riscontri specifici nel t.u.f. (D.Lgs. n. 24 febbraio 1998, n. 58) che non menziona la cessione di credito tra i servizi finanziari (cfr. art. 1, commi 5 e 5 quinquies), nè nella giurisprudenza amministrativa (non essendo utile il riferimento alla ben diversa categoria del mutuo). Per altro verso, la direttiva 2004/18/CE, in tema di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, stabilisce al Considerando XXVII che “i servizi finanziari soggetti alla presente direttiva non comprendono (…) le operazioni di approvvigionamento di denaro o capitale delle amministrazioni aggiudicatrici”.

4.3.2.- Se è pur vero che regole definite “minimali” di evidenza pubblica a tutela della concorrenza e del mercato secondo i principi dei trattati dell’Unione riguardano anche i contratti “attivi”, tale estensione è stata prevista dalla normativa sopravvenuta di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, (art. 4, come modificato dal D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, art. 5, comma 1) che, nella specie, è inapplicabile ratione temporis, sicchè il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 27, richiamato dalla Corte territoriale che tali regole prevedeva per i “contratti esclusi” non è estensibile ai contratti “attivi”.

4.3.3.- Non gioverebbe obiettare che la previsione dei “pubblici incanti” era già contenuta nel R.D. n. 2440 del 1923, art. 3, in relazione a tutti i contratti pubblici, anche attivi, dovendosi infatti osservare che tale previsione, da un lato, non era incondizionata ma suscettibile di deroga in base a una opzione motivata dell’amministrazione in favore della trattativa privata (profilo quest’ultimo che avrebbe richiesto una indagine fattuale diversa da quella compita dai giudici di merito, v. sub 3.1); dall’altro, tale previsione concerneva i contratti dello Stato, non essendo dunque applicabile ad una società di diritto privato come la “Pomigliano”, seppure costituente organismo di diritto pubblico per i soli effetti e nei limiti previsti dal codice degli appalti.

4.3.4.- La Corte territoriale ha osservato che poichè “i servizi bancari e finanziari sono “esclusi” solo se effettuati tramite strumenti finanziari (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 19, lett. d))” e poichè “manca qualsiasi riferimento ad una esclusione delle attività bancarie o finanziarie non connesse ad operazioni su titoli e strumenti finanziari”, ne consegue che “non (si deve) escludere l’applicazione delle norme generali sui contratti pubblici quanto, piuttosto (…) escludere la norma di esenzione che è di stretta interpretazione”.

Tuttavia, se con questa affermazione – che esclude che si tratti di servizi finanziari connessi alle operazioni su strumenti finanziari tipizzate tra i “servizi esclusi” di cui all’art. 19, lett. d) – si intende generalizzare la soggezione al codice (e ai principi di evidenza pubblica per la selezione del contraente) di tutti i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari non connessi a tali operazioni (su strumenti finanziari) sino al punto di ricomprendervi anche le operazioni di cessione di credito, questa conclusione non sarebbe condivisibile.

Ed infatti, si dovrebbe pur sempre considerare, come rilevato dall’Adunanza Plenaria con riferimento all’art. 27 del codice del 2006, che tale disposizione “estende l’applicazione dei principi dei trattati Europei a tutela della concorrenza anche ai contratti “esclusi in tutto” dal codice (e) tali sono, ad avviso del Collegio, solo i contratti dallo stesso codice “nominati”, ancorchè al solo scopo di escluderli dal proprio ambito, e non anche quelli da esso non menzionati neppure per escluderli. Infatti sarebbe paradossale che il codice apprestasse una disciplina per una categoria residuale e (sostanzialmente) illimitata di contratti da esso non contemplati. Così intesa la norma intende porre un principio di rispetto di regole minimali di evidenza pubblica, a tutela della concorrenza e del mercato, ma tali regole minimali vengono imposte: da un lato, solo ai soggetti che ricadono nell’ambito di applicazione del codice e delle direttive comunitarie e per i contratti “esclusi” comunque menzionati nel codice; dall’altro, ai contratti “nominati ma esenti” (cioè esclusi) e non anche ai contratti “estranei”. In altre parole, i “contratti esclusi in tutto o in parte” sono pur sempre quelli che si agganciano ai settori ordinari o speciali di attività contemplati dal codice (cioè) contratti che in astratto potrebbero rientrare nel settore di attività, ma che vengono eccettuati con norme di esenzione per le ragioni più disparate” (in tal senso, Cons. di Stato, Ad. PI., n. 16 del 2011).

Erra dunque la Corte territoriale ad affermare che, non essendo i “servizi bancari e finanziari” ricompresi tra i contratti “esclusi” di cui alla norma speciale (art. 19 del codice del 2006), essi sarebbero in via consequenziale assoggettati al codice interamente o in via ordinaria. Tale conclusione non tiene conto che “nei “genus” esclusioni (possono) individuarsi almeno due tipologie, aventi una diversa ratio, gli appalti “esenti” e gli appalti “estranei”” (Ad. PI. cit.).

Occorre dunque pur sempre dimostrare, non solo, che si tratti di contratto (cessione di credito) rientrante nella categoria dei contratti “esclusi” (o “esenti”) per poter applicare i principi Europei a tutela della concorrenza per la selezione del contraente (cfr. art. 27 codice del 2006) – conclusione tuttavia negata dalla stessa Corte laddove ha affermato non trattarsi di servizi relativi a “strumenti finanziari” (cfr. art. 19, comma 1, lett. d) -, ma anche dimostrare che esso non sia comunque “estraneo” all’ambito applicativo del codice poichè avente ad oggetto attività ed operazioni al di fuori dei settori di intervento delle direttive Europee. La selezione del cessionario non costituisce invero un’attività sensibile per il diritto comunitario degli appalti, non essendo propedeutica alla prestazione di un servizio (nella specie, di smaltimento dei rifiuti) che è stata già compiuta in esecuzione di un appalto (di servizi) costituente solo la fonte genetica del credito. Non varrebbe sostenere che i principi dei trattati Europei devono trovare applicazione in tutti quei casi in cui, essendovi occasione di guadagno, può essere suscitato l’interesse concorrenziale delle imprese, non essendo sufficiente a tal fine che si tratti di “contratti onerosi e finalizzati a rapporti di servizio e di fornitura” (cfr. Cass., sez. un., n. 17935 del 2013).

4.3.5.- L’orientamento seguito nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11446 del 2017 e sez. un. 5446 del 2012), secondo cui la mancata osservanza della evidenza pubblica nella selezione del contraente è causa di nullità del contratto per violazione di norma imperativa, riguarda i casi in cui l’evidenza pubblica sia specificamente prevista dalla legge nelle singole fattispecie (come, ad esempio, in quelle indicate nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 116 e 120, in tema di scelta del socio nelle società partecipate e, artt. 201 e 210, in tema di assunzione di mutui per il finanziamento di opere pubbliche; nel D.L. 25 settembre 2001, n. 351, conv. in L. 23 novembre 2001, n. 410, art. 3 bis, comma 4, in tema di concessioni e locazioni di immobili per scopi di riqualificazione e riconversione), tanto più in presenza di segnali normativi volti a rivitalizzare il metodo negoziale nella stipulazione dei contratti pubblici (cfR. D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con L. 11 settembre 2020, n. 120, art. 1, comma 2).

Per attrarre i negozi di cessione del credito nell’orbita del codice degli appalti non sembra sufficiente evocare ragioni finalistiche o di connessione con il contratto di base (che è un appalto di servizi), venendo in rilievo, a tal fine, una scelta riservata al legislatore, al quale spetterebbe di delineare anche i contorni e i limiti di una simile estensione applicativa.

4.3.6.- Peraltro, la previsione dell’evidenza pubblica nella selezione del contraente con una pubblica amministrazione o un soggetto equiparato in tanto può integrare una norma imperativa la cui violazione sia causa di nullità del contratto stipulato in assenza, in quanto si tratti di una regola di “validità” dell’atto negoziale. E se ciò può dirsi con riferimento alle cosiddette procedure aperte o ristrette con previa pubblicazione di bando (cosiddetta procedura di evidenza pubblica in senso proprio), è arduo sostenerlo (oltre che nei casi in cui la scelta di seguire l’evidenza pubblica sia oggetto di un’autonoma decisione discrezionale dell’ente) rispetto a regole che, seppure talora definite di evidenza pubblica in termini “minimali”, consistono in realtà in “regole di comportamento” dell’agire della pubblica amministrazione, la cui violazione non è causa di invalidità del negozio (cfr., in altra materia ma di rilievo sistematico, Cass., sez. un., n. 26724 del 2007). Tali sono, in effetti, quelle poste a garanzia dei principi proconcorrenziali, desumibili dai trattati Europei, di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e proporzionalità dell’azione amministrativa (cfr., in relazione ai contratti “esclusi”, art. 27, del codice del 2006 e art. 4 del codice del 2016).

4.3.7.- Ne consegue che, ai fini della validità della cessione del credito da parte di una società privata, qualificabile come organismo di diritto pubblico, per il corrispettivo dell’esecuzione di un appalto di servizi, non è richiesto da norme imperative, dunque a pena di nullità, che la selezione del contraente (cessionario) avvenga mediante procedimento di evidenza pubblica, non rientrando la predetta cessione nè tra i “servizi bancari e finanziari” di cui all’Allegato II A), richiamato dall’art. 20, comma 2, e art. 3, comma 10, del codice degli appalti del 2006 (D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163), nè tra i “servizi esclusi” cui si applicano i principi proconcorrenziali derivanti dai trattati Europei, ai sensi dell’art. 27 del medesimo codice (applicabile ratione temporis); inoltre, la cessione di credito è un contratto “attivo” al quale i suddetti principi sono stati estesi da normativa entrata in vigore solo successivamente (art. 4 del codice del 2016, come modificato dal D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, art. 5, comma 1), inoltre applicabile alle sole amministrazioni statali, a norma del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 3.

5.- Sono estranee all’ambito oggettivo del presente giudizio le questioni concernenti la validità del rapporto sostanziale, inerente alla prestazione di servizi in favore della “PCM”, e la sussistenza dei crediti cui si riferiscono le contestate cessioni.

6.- Gli altri motivi sono assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del terzo e quinto motivo: il primo concerne doglianze di violazione della Cedu e del Protocollo Addizionale, nonchè questioni di legittimità costituzionale delle pertinenti disposizioni del codice del 2006, per come interpretate dalla Corte territoriale; il secondo concerne sempre la validità delle cessioni; il sesto, proposto in via subordinata, concerne la violazione del contraddittorio nella rilevazione della nullità delle cessioni).

7.- In conclusione, in relazione ai motivi accolti (terzo e quinto), la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

PQM

La Corte accoglie il terzo e quinto motivo, rigetta il quarto e dichiara assorbiti gli altri motivi; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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