Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5662 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 02/03/2021), n.5662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22884/2015 proposto da:

Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Benevento –

I.A.C.P., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via della Giuliana n. 37, presso

lo studio dell’avvocato Capece Michele, rappresentato e difeso

dall’avvocato Intorcia Stefano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

LA.RA.COL S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Cesare Federici n. 2, presso

lo studio dell’avvocato Alessandrini Maria C., rappresentata e

difesa dall’avvocato Dè Longis Andrea, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2142/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2142/2015 pubblicata il 12-5-2015 la Corte d’appello di Napoli ha in parte dichiarato inammissibile e in parte rigettato l’appello proposto dall’I.A.P.C. della Provincia di (OMISSIS) nei confronti della LA.RA.COL. s.n.c., confermando la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione, proposta dall’I.A.C.P., avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Benevento avente ad oggetto il pagamento di Euro 9.812,34 preteso nei confronti dell’opponente da LA.RA.COL. s.n.c. a titolo di corrispettivi per prestazioni di manutenzione riguardanti gli impianti fognari di proprietà dell’Istituto. La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile il motivo d’appello relativo alla mancanza di certificazione di regolarità contributiva dell’impresa appaltatrice, in quanto implicante questioni non introdotte in primo grado. La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile anche il motivo d’appello relativo alla mancanza di forma scritta ad substantiam del contratto e all’inapplicabilità del foglio di patti e condizioni, sul rilievo che il contratto di data 12-12-2002 era stato redatto nella prescritta pubblico-amministrativa e all’art. 5 prevedeva espressamente il rinvio al foglio patti e condizioni, allegato allo stesso contratto, per la regolamentazione delle modalità di esecuzione dei lavori, della loro contabilizzazione e dei relativi pagamenti, nonchè sul rilievo che lo stesso istituto appellante, pur basando le proprie contestazioni, ad altri fini, proprio sulle previsioni del foglio patti e condizioni, non aveva spiegato per quali ragioni il suddetto foglio non fosse da ritenersi la fonte regolatrice del rapporto. La Corte d’appello ha ritenuto infondati i motivi concernenti: i) la dedotta illegittimità di proroghe alla durata del contratto, rilevando che l’art. 2 del foglio di patti e condizioni prevedeva la protrazione dell’originario contratto fino all’esperimento di nuova gara d’appalto per un periodo massimo pari a giorni 75, la disposta protrazione fino al 14-1-2003 aveva rispettato detto termine ed era stato, altresì, rispettato l’aumento dell’importo contrattuale entro i sei quinti; ii) la mancata prova dell’esecuzione delle prestazioni, dimostrata dalle schede di servizio prodotte dall’impresa e redatte dall’istituto appaltante, con analitica descrizione degli interventi di manutenzione, sottoscritte dal rappresentante del fabbricato; iii) il mancato rispetto della normativa sul trasporto e sullo smaltimento dei rifiuti, per non essere dimostrato in causa che gli interventi eseguiti dall’appaltatrice, di disotturazione e non di svuotamento delle fosse o di raccolta e trasporto di fanghi e liquami, richiedessero lo smaltimento di sostanze generanti rifiuti; iv) il difetto di collaudo, per non essere dimostrato in causa che il mancato collaudo fosse dipeso da inadempienze dell’appaltatrice, essendo, peraltro, il collaudo delle opere o comunque il certificato di regolare esecuzione dei lavori di competenza della direzione dei lavori e, quindi, di competenza dell’Istituto appaltante.

2. Avverso questa sentenza l’I.A.C.P. propone ricorso, affidato a cinque motivi, resistito con controricorso dalla LA.RA.COL. s.n.c..

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1350 e 1418 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello erroneamente ha ritenuto che la forma scritta non fosse necessaria, poichè si trattava di protrazione dell’originario contratto, secondo quanto previsto dall’art. 2 del foglio di Patti e condizioni. Deduce che il contratto richiamato dalla società appaltatrice non era stato sottoscritto dal legale rappresentante dell’Ente, ma dal dirigente del servizio tecnico G.A., il quale non aveva la capacità di rappresentare l’Ente, non poteva manifestarne legittimamente la volontà, e, quindi, vincolarla al rispetto del contratto. Richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il requisito della forma scritta non può dedursi per implicito da singoli atti o documenti. Inoltre, ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello non ha applicato l’ulteriore principio giuridico secondo il quale, in tema di attività di diritto civile della p.a., vi è un divieto assoluto di rinnovo o proroga tacita dei contratti. Deduce che nel caso di specie l’art. 2 del foglio patti e condizioni prevedeva solo la possibilità di prorogare il termine di scadenza del contratto fino alla data di aggiudicazione del successivo contratto nella medesima zona, e, comunque, fino alla concorrenza di un importo massimo dei lavori pari a sei quinti dell’importo contrattuale, ma nulla statuiva circa le modalità con le quali la proroga doveva essere effettuata. In altre parole, il “foglio patti”, pur legittimando la scelta di prorogare il contratto in essere in attesa della stipula del successivo, non autorizzava una proroga tacita e priva di alcuna motivazione, in spregio dei principi giuridici che disciplinano l’attività contrattuale della P.A..

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1460 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Deduce che la Corte territoriale, nel rigettare i motivi di appello attinenti alla mancanza del collaudo, operava un’errata inversione dell’onere della prova, affermando che l’eventuale mancanza non era imputabile alla appaltatrice, essendo la direzione dei lavori un’attività riconducibile alla competenza dell’istituto appaltante. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello imponeva, pertanto, all’Ente appaltante di dar prova delle inadempienze dell’appaltatrice, disapplicando il principio per il quale è l’attore sostanziale del giudizio a dover dare prova dei fatti costituitivi del diritto invocato. L’art. 19 del foglio patti e condizioni, richiamato nella sentenza impugnata per affermare la competenza dell’Ente al rilascio del collaudo o del certificato di esecuzione lavori, esplicitamente condizionava il rilascio dei predetti documenti alla comunicazione di “regolare e completa ultimazione dei lavori previsti in contratto” e assume che la prova di detta comunicazione non fosse stata fornita dall’appaltatrice. Inoltre deduce che la Corte territoriale ha omesso di valutare un fatto decisivo ai fini della decisione, non avendo considerato che la mancanza del conto finale, di cui all’art. 19 del foglio patti e condizioni, non rendeva esigibile il credito azionato, per mancato avveramento di una condizione sospensiva.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 266 del 2002 e D.Lgs. n. 276 del 2003, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di Appello erroneamente giudicato circa l’eccezione relativa alla mancanza della documentazione attestante la regolarità contributiva, come richiesto dalla L. n. 266 del 2002 ed dal D.Lgs. n. 376 del 2003, in ordine alla necessità di un Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) attestante la regolarità delle posizioni dell’impresa nei confronti di INPS, INAIL e Cassa Edile. Ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello di Napoli ha errato nel ritenere inammissibile il motivo di appello relativo all’assenza della documentazione attestante la regolarità contributiva, ritenendolo motivo nuovo, poichè la mancanza del Durc comporta il mancato avveramento della condizione sospensiva a cui è subordinato il pagamento. Richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2214/2002), afferma il ricorrente che il mancato avveramento della condizione sospensiva concreta non un’eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa volta a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, che deve essere esaminata dal Giudice anche d’ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste delle parti.

4. Con il quarto motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Deduce che la Corte d’Appello ha omesso di valutare un fatto decisivo ai fini della risoluzione della controversia, non avendo tenuto conto “dell’esistenza di un giudicato esterno formatosi con la sentenza n. 1935 del 2011, resa dai giudice di primo grado, che ha emesso la decisione appellata, nella quale sì riconosce la bontà di altra sentenza del Tribunale di Benevento n. 1115/2008 resa tra le medesime parti, relativa ad una identica ipotesi rispetto a quella che qui ci occupa, tra le stesse parti per la medesima fattispecie ed in relazione agli stessi documenti, per assunte prestazioni di medesimo tenore”. Deduce di avere dato atto della sussistenza della sentenza del Tribunale di Benevento n. 1115/2008, allegata al tempo dell’appello.

5. Con il quinto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Rileva che la Corte d’Appello ha omesso di valutare che anche l’attività di disotturazione, in quanto consiste in interventi volti a liberare da ostruzioni gli impianti, produce rifiuti da smaltire. Deduce che l’appaltatrice non aveva prodotto la documentazione comprovante lo smaltimento e la gestione dei rifiuti a norma di legge e richiama tutto quanto rimarcato al riguardo nei precedenti gradi di giudizio, con riferimenti ai materiali provenienti da fosse settiche ed al trasporto e smaltimento dei rifiuti e alle prescrizioni imposte dalla normativa in tema di ambiente.

6. Il primo motivo è inammissibile.

6.1. La censura non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi il ricorrente a riproporre la propria tesi difensiva, senza confutare specificamente il percorso argomentativo della Corte territoriale.

I Giudici di merito, nel dichiarare inammissibile il motivo d’appello, hanno rimarcato che il contratto base, stipulato nelle forme prescritte, rinviava espressamente all’allegato “foglio patti e condizioni”, prevedendo, all’art. 5, che in esso fossero stabilite le modalità di esecuzione dei lavori, la loro contabilizzazione ed i relativi pagamenti. Hanno altresì rimarcato che lo stesso IACP richiamava il “foglio patti” a supporto delle contestazioni che avanzava. Il ricorrente non svolge una critica specifica riguardo a dette affermazioni, nè circa la declaratoria di inammissibilità.

Inoltre, la Corte d’appello non ha affatto ritenuto che la forma scritta ad substantiam non fosse necessaria, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ma che il requisito fosse sussistente, nei termini sopra precisati. Sulla durata del contratto, lo stesso ricorrente dà atto che era autorizzato il prolungamento di durata del rapporto, nei limiti temporali e di spesa indicati nella sentenza impugnata, che erano stati rispettati. Anche la deduzione circa la carenza di capacità di rappresentare l’ente del dirigente G.A. è inammissibile, dato che non vi è cenno di tale questione nella sentenza impugnata e il ricorrente non indica quando, come e dove è stata espressa nei giudizi di merito, nè precisa con chiarezza quale sia il fatto decisivo il cui esame assume omesso.

7. Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

7.1. Per previsione contrattuale la direzione lavori era rimessa alla stazione appaltante e così il rilascio del collaudo o del certificato di esecuzione dei lavori, come riconosce lo stesso ricorrente. Si tratta di adempimenti di competenza dell’IACP, sicchè è infondata la doglianza sull’onere della prova. Nella sentenza impugnata non si menziona la mancanza del conto finale, assume l’IACP che sia stato omesso l’esame di detto fatto decisivo, ma non precisa come, dove e quando abbia svolto detta deduzione, che involge dati fattuali, nel giudizio d’appello, e pertanto, sotto tale profilo, la censura è generica e difetta di autosufficienza.

8. Il terzo motivo è infondato.

8.1. Il documento unico di regolarità contributiva (D.U.R.C.), ai sensi del D.L. 25 settembre 2002, n. 210, art. 2, convertito con L. 22 novembre 2002, n. 266, applicabile ratione temporis poichè il contratto è stato stipulato il 31-10-2002, è una certificazione che, attestando la regolarità contributiva del creditore, temporalmente fissata proprio al momento del pagamento e nella fase esecutiva, non incide sull’esistenza o l’entità del credito (Cass. Sez. U. n. 4092/2017). Si tratta di una verifica che l’Ente pubblico deve fare, oltre che nella fase preliminare dell’ammissione dell’impresa alla gara d’appalto, prima del pagamento, nella fase esecutiva, dal momento che all’Ente pubblico è imposto di sanare l’irregolarità contributiva nei confronti degli enti previdenziali ed assicurativi utilizzando le somme spettanti al creditore.

Ciò posto, pur dovendo correggersi, senza che siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, la motivazione sul punto della sentenza impugnata, che ha dichiarato inammissibile il corrispondente motivo d’appello perchè concernente fatto nuovo, la doglianza come formulata è priva di fondamento, atteso che, in base ai principi suesposti, la mancanza del D.U.R.C. non incide sull’esistenza o l’entità del credito.

9. I motivi quarto e quinto sono inammissibili.

9.1. Circa il quarto motivo, osserva il Collegio che della sentenza del Tribunale di Benevento n. 1115/2008 non vi è menzione nella sentenza impugnata e il ricorrente non precisa quando, dove e come l’ha prodotta, nè indica quale sia il numero del documento che assume prodotto in appello e quale ne sia il contenuto esatto, sicchè la censura è generica e difetta di autosufficienza.

9.2. Circa il quinto motivo, va rilevato che, con accertamento di merito insindacabile, perchè adeguatamente motivato, la Corte di merito ha ritenuto che gli interventi attuati e in contestazione non avessero prodotto rifiuti da smaltire. Sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, la censura mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019).

10. In conclusione, il ricorso va respinto e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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