Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5660 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 02/03/2021), n.5660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20537/2015 proposto da:

Fondazione U.A.L.S.I. Onlus (Fondazione Unione Amici di Lourdes e

Santuari Italiani – Organizzazione Non Lucrativa di Utilità

Sociale), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Cardinal De Luca n. 1, presso

lo studio dell’avvocato Izzo Giovanni, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale per Notaio Dott. P.G. di

Catanzaro – Rep. n. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ottaviano n. 9,

presso lo studio dell’avvocato Pungì Graziano, rappresentata e

difesa dagli avvocati Coscarella Antonella, Gullo Domenico, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro;

– intimata –

avverso la sentenza n. 160/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza di data 15-2/17-5-2011, accoglieva la domanda proposta in via subordinata ai sensi dell’art. 2014 c.c., da Fondazione U.A.L.S.I. Onlus (di seguito per brevità Fondazione) nei confronti della Regione Calabria e dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro (di seguito per brevità ASP) e condannava le parti convenute al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 1.541.651, in relazione alle prestazioni effettivamente prestate, negli anni dal 2000 al 2005, di assistenza protetta di fascia C, ossia di attività superiori a quelle per le quali la Fondazione aveva ottenuto l’accreditamento dalla Regione Calabria (l’attività era svolta nella residenza (OMISSIS) della Fondazione, residenza protetta per handicappati e non R.S.A., ossia residenza sanitaria assistenziale).

2.Con sentenza n. 160/2015 pubblicata il 7-2-2015 la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto l’appello proposto dalla Regione Calabria nei confronti di Fondazione U.A.L.S.I. Onlus e dell’Azienda Sanitaria Provinciale (di seguito per brevità ASP) di Catanzaro avverso la citata sentenza del Tribunale di Catanzaro. La Corte territoriale, per quanto ancora di interesse, ha affermato che: A) la Regione aveva liquidato le sole competenze per prestazioni socio-assistenziali, non aveva erogato alcunchè per le prestazioni sanitarie, rese in assenza di accreditamento e di contratto, e detto comportamento era sintomatico della volontà dell’Ente di riconoscere solo le prestazioni legalmente rimborsabili, e non anche le prestazioni eccedenti; B) non ricorrevano i presupposti dell’azione di ingiustificato arricchimento in quanto nessun dato fattuale, nè il silenzio degli Enti consentivano di desumere il riconoscimento dell’utilità delle prestazioni da parte degli organi deliberativi della Regione e dell’ASP.

3. Avverso questa sentenza la Fondazione propone ricorso, affidato a due motivi, resistito con controricorso dalla Regione Calabria. E’ rimasto intimata l’ASP di Catanzaro.

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Fondazione ricorrente lamenta “Violazione o falsa applicazione degli artt. 115,323 e 342 c.p.c., rilevante ai sensi dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello ha omesso di accertare la sussistenza dei presupposti costitutivi dell’azione di ingiustificato arricchimento, da rinvenirsi nello “spostamento patrimoniale privo di giustificazione”, che aveva determinato il depauperamento della struttura assistenziale ricorrente a vantaggio dell’Amministrazione sanitaria beneficiaria. Deduce che detta questione di merito era stata specificamente devoluta al Giudice d’appello sia dalla Fondazione, sia dall’Amministrazione appellante. La Corte territoriale ha ritenuto carente, sotto il profilo motivazionale, la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda della Fondazione, senza esaminare nuovamente la questione della sussistenza dei presupposti oggettivi dell’azione di ingiustificato arricchimento, in particolare senza vagliare le risultanze della CTU espletata in primo grado e senza esaminare la copiosa documentazione prodotta dalla Fondazione attestante i costi sostenuti per le prestazioni socio-sanitarie rese e il contenuto della corrispondenza intercorsa tra le parti, con specifico riferimento alle reiterate richieste di ricovero trasmesse alla Fondazione per ciascun paziente dalla Regione Calabria – Assessorato alla Sanità.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “Violazione o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., rilevante ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Sotto un primo profilo, deduce che la Corte d’Appello ha disatteso il principio, affermato con la sentenza n. 10798/2015 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale “il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, dovendo chi agisce nei confronti della PA ex art. 2041 c.c., provare, ed il giudice accertare, il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’Amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, spettando alla stessa PA l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza (cd. arricchimento imposto)”. Sotto un secondo profilo, rileva la ricorrente che la Corte territoriale ha rigettato la domanda di ingiustificato arricchimento ponendo erroneamente a base della decisione la mancanza dell’accreditamento della Fondazione e la mancanza di una convenzione scritta per l’erogazione delle prestazioni socio-sanitarie. Ad avviso della ricorrente si tratta di circostanze che avrebbero potuto assumere rilievo nell’ambito di un’azione contrattuale, mentre proprio in assenza di uno specifico titolo contrattuale trova giustificazione il ricorso, da parte della Fondazione, all’azione residuale di indebito arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione. Rimarca di aver provveduto a fornire ai pazienti infermi (23 utenti affetti da ritardo mentale grave, alcuni con deficit motorio) l’assistenza sociosanitaria che si rendeva indispensabile, per il periodo di tempo in cui l’Assessorato alla Sanità della Regione Calabria, stante l’indisponibilità di altre strutture adeguate in cui poterli trasferire, li ha affidati alla stessa Fondazione ricorrente. Rileva che la Pubblica Amministrazione si era giovata consapevolmente di prestazioni socio-sanitarie indispensabili e, comunque, di palese utilità pubblica, rese da Ente privato che, seppure formalmente non accreditato per tali prestazioni, ha diritto ad essere indennizzato in via sussidiaria ai sensi dell’art. 2041 c.c.. Precisa che l’indennizzo richiesto corrisponde all’ammontare che la Pubblica Amministrazione avrebbe dovuto corrispondere ad una struttura formalmente accreditata per erogare le medesime prestazioni, sicchè nessun aggravio di spesa sussiste a carico della Pubblica Amministrazione, che avrebbe potuto rifiutare le prestazioni della Fondazione, manifestando la propria opposizione e ordinando il trasferimento o comunque la dimissione degli utenti disabili dalla Residenza protetta (OMISSIS).

3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati, nei termini che si vanno ad illustrare, e in parte inammissibili.

3.1. Occorre premettere che, come rimarcato da parte ricorrente, la Corte d’appello, nel valutare la sussistenza dei presupposti dell’ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c., ha preso in considerazione, escludendola, l’utilitas, non facendo, perciò, applicazione del nuovo orientamento interpretativo di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 10798/2015, pubblicata successivamente al deposito della sentenza impugnata. In base all’innovativo indirizzo di cui alla citata sentenza, “il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto”, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perchè inconsapevole dell'”eventum utilitatis””. Inoltre, facendo applicazione del nuovo criterio dell'”arricchimento imposto”, questa Corte, esprimendo un orientamento al quale il Collegio intende dare continuità, ha ripetutamente affermato, in tema di prestazioni sanitarie extra budget, che l’arricchimento imposto non è un presupposto sostitutivo del riconoscimento della utilitas da parte dell’arricchito; al contrario, l’imposizione non comporta indennizzo alcuno a chi l’imposizione ha effettuato, secondo i principi generali contrari alla coazione o costrizione nei rapporti tra i soggetti. Diversamente, lo strumento indennitario dell’art. 2041 c.c., anzichè ripianare una situazione che ha perduto un corretto equilibrio economico, servirebbe per abusare delle capacità patrimoniali del soggetto cui l’indennizzo viene richiesto. Al fine di ravvisare l’imposizione è sufficiente che la P.A. abbia deliberato un tetto di spesa, adempiendo ai suoi obblighi di legge di “sana gestione delle finanze pubbliche” e lo abbia comunicato agli interessati; in ciò ravvisandosi ” inequivocamente il suo diniego di una spesa superiore, ovvero la sua volontà contraria a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel limite di spesa” (cfr. Cass. n. 12129/2019; Cass. Sez. Un. 16336/2019; Cass. n. 13884/2020). Anche la giurisprudenza amministrativa, con orientamento costante (tra le tante Cons. Stato n. 184/2019; Cons. Stato n. 1206/2018), ha precisato che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili.

3.2. Passando all’esame delle censure, è infondato l’assunto secondo il quale la Corte di merito non avrebbe esaminato la questione della sussistenza dei presupposti oggettivi dell’azione di ingiustificato arricchimento, atteso che vi è, invece, esplicita pronuncia in tal senso. La Corte d’appello ha, infatti, ritenuto infondata la pretesa azionata in via sussidiaria ex art. 2041 c.c., affermando che si trattava di prestazioni sanitarie, rese in assenza di accreditamento e non legalmente rimborsabili, e che nessun dato fattuale, nè il silenzio degli Enti consentivano di desumere il riconoscimento dell’utilità delle prestazioni da parte degli organi deliberativi della Regione e dell’ASP.

3.3. Nel caso concreto, nonostante l’errato riferimento all’utilitas di cui si è appena detto, gli elementi di fatto rilevanti anche ai fini della configurabilità dell’arricchimento imposto si evincono sulla base di quanto accertato dalla Corte di merito. In particolare, poichè è accertato che la Fondazione non era accreditata per quel tipo di prestazioni, essendolo solo per quelle socio-assistenziali, si trattava di prestazioni extra budget, come rimarcato dalla Regione Calabria e non specificamente confutato da parte ricorrente nella memoria illustrativa, in relazione alle quali, per l’appunto, neppure ricorreva l’instaurazione del rapporto concessorio di accreditamento e quindi non sussisteva l’inserimento della struttura privata, in modo continuativo e sistematico, nell’organizzazione della P.A. relativamente al settore dell’assistenza sanitaria (Cass. S.U. n. 16336/2019). D’altronde il comportamento della P.A. di rifiuto del pagamento delle prestazioni di natura socio-sanitaria, eccedenti quelle legalmente rimborsabili (pag. n. 10 sentenza), non è in contestazione tra le parti ed è anzi la questione oggetto del contendere. Parte ricorrente assume che la P.A. avesse “inviato” pazienti necessitanti di prestazioni socio-sanitarie presso la struttura della Fondazione, benchè non R.S.A., e che, in base alla “copiosa” documentazione in atti, fosse evincibile detta circostanza, richiamando nella memoria illustrativa, in nota, i documenti n. 256 e n. 257. L’allegazione suddetta, riguardante fatti che non risultano dalla ricostruzione della vicenda per cui è causa effettuata dalla Corte di merito, non è stata introdotta dalla ricorrente come denuncia di vizio di omesso esame di fatti decisivi e, in ogni caso, difetta di sufficiente specificità. E ciò in disparte ogni rilievo sulla decisività, e anzi sulla rilevanza in senso contrario a quello prospettato dalla ricorrente, delle relative circostanze, in particolare, con riferimento ai suddetti documenti richiamati nella memoria della Fondazione, considerando che la nota della Regione Calabria del 26-2-2001 (doc. 256) è una diffida rivolta alla struttura privata con cui si intimano le dimissioni o il trasferimento dei ricoverati entro e non oltre il 31-3-2001 e la nota della Fondazione del 3-4-2001 (doc. 257) è una richiesta di ottenere il permesso di ricovero dei pazienti oltre quella data.

3.4. Sulla scorta di tali elementi, correggendo la motivazione della sentenza impugnata senza che sia necessaria alcuna ulteriore indagine di fatto, può ravvisarsi, nella specie, l’imposizione dell’arricchimento, in quanto a tal fine è sufficiente che la P.A. abbia deliberato un tetto di spesa per le prestazioni sanitarie, nel cui ambito non erano comprese quella rese dalla Fondazione, nonchè abbia adempiuto ai suoi obblighi di legge di “sana gestione delle finanze pubbliche” e lo abbia comunicato agli interessati. Il diniego di una spesa superiore da parte della P.A. consente di ravvisare univocamente sussistente l’arricchimento imposto (così anche Cass. n. 12129/2019 e Cass. n. 13884/2020).

Resta da aggiungere che, come pure rimarcato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12129/2019), alla struttura privata era data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio sanitario nazionale di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza, atteso che, peraltro, anche la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato n. 2/2014; Cons. Stato n. 2253/2003).

Inammissibile è anche la deduzione della ricorrente, svolta nella memoria illustrativa, secondo cui i soggetti erogatori di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, già in possesso dell’autorizzazione prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 502 del 1992, fossero “da intendersi provvisoriamente accreditati in attesa dell’emanazione degli specifici requisiti per ogni tipologia di struttura”(pag. 9 memoria illustrativa), sia perchè si tratta di prospettazione, che involge anche profili fattuali, non svolta nel ricorso, nè, in base a quanto esposto nella sentenza impugnata, nei giudizi di merito, sia perchè, in ogni caso, si tratta di argomentazione non pertinente alla fattispecie in disamina, dato che non è intervenuto il rilascio del decreto di accreditamento della struttura della Fondazione, previa verifica dei requisiti, per le prestazioni socio-sanitarie, secondo quanto espone la stessa ricorrente (cfr. pag. n. 17 ricorso, in cui la Fondazione dà atto di non essere “formalmente” accreditata per quelle prestazioni, pur avendone fatto richiesta).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita Regione Calabria, mentre nulla deve disporsi nei confronti della parte rimasta intimata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione in favore della Regione Calabria delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 12.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

 

 

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