Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 566 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. trib., 12/01/2017, (ud. 20/09/2016, dep.12/01/2017),  n. 566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16854/2011 proposto da:

V.L.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA COLLI

DELLA FARNESINA 110, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO USSANI

D’ESCOBAR, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCESCO PALERMO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 94/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata l’11/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato USSANI D’ESCOBAR che

preliminarmente dichiara la morte della parte e del codifensore,

chiede in via preliminare l’eventuale estinzione del giudizio e in

subordine chiede l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato PISANA che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 94/7/2010 in data 26 aprile – 11 maggio 2010 la Commissione Tributaria Regionale per il Lazio di Roma rigettava l’appello di V.L.F. avverso la pronuncia di primo grado, che a sua volta aveva respinto il ricorso dello stesso contribuente contro l’opposto avviso di accertamento di nuovo valore dell’immobile, sito in (OMISSIS), di quasi 600 mq in zona (OMISSIS), in relazione ad atto di cessione in data 12-03-2001, registrato il (OMISSIS).

L’avviso di rettifica, notificato il 21 marzo 2005, era stato opposto censurando la carenza di motivazione. L’atto di trasferimento avveniva in cambio di costituzione di una rendita vitalizia a favore del cedente.

L’ufficio accertatore rettificava il valore dichiarato, di quasi 430 milioni di Lire, in base alle risultanze catastali, posto che quanto dichiarato era inferiore pure al valore determinato secondo il c.d. procedimento automatico (in base alla rendita catastale).

La sentenza di primo grado aveva, quindi, ritenuto legittimo tale procedimento di valutazione automatica, osservando tra l’altro come nel prosieguo dell’avviso opposto si fosse precisato che il valore reale del fabbricato indubbiamente superava quanto emergente dalla valutazione automatica operata secondo la rendita catastale.

La C.T.R. riteneva, quindi, che nella specie, pur essendo l’immobile accatastato ed in possesso di rendita certa, il contribuente aveva però dichiarato un valore inferiore a quello risultante con la valutazione automatica, così consentendo all’Ufficio di procedere all’accertamento dell’eventuale maggior valore D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 51, non ricorrendo il requisito di cui all’art. 52, che limita il potere di accertamento, laddove l’art. 51 faceva riferimento ad ogni altro elemento di valutazione; ciò sebbene in base a motivazione ritenuta generica, che però non violava l’obbligo di cui all’art. 52, comma 2 bis, con conseguente possibile nullità, posto che la formula utilizzata era idonea a consentire l’efficacia ad opponendum dell’atto stesso, laddove poi in sede contenziosa l’Ufficio aveva compiutamente descritto il metodo utilizzato. Pertanto, il ricorso alla rendita iscritta in catasto per procedere alla valutazione automatica dell’immobile era stato pienamente legittimo.

Avverso la pronuncia della C.T.R. ha proposto ricorso per cassazione V.L.F. con atto del 16 giugno 2011 affidato ad un solo motivo: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 – art. 360 c.p.c., n. 3 (motivazione dell’avviso di rettifica inidonea con conseguente nullità dell’accertamento ex art. 52, comma 2 bis, poichè non risultavano rispettate le formalità previste dalle norme di legge vigenti in materia circa il valore venale secondo quanto previsto dall’art. 51, laddove nella specie era stato utilizzato unicamente il parametro di cui alla rendita catastale, perciò contrariamente alle previsioni dell’art. 51, non rilevando peraltro in alcun modo che l’accertamento fosse stato più o meno favorevole al contribuente; nè rilevata quanto poi postumamente esplicato in sede giudiziaria dall’Ufficio).

L’Agenzia delle Entrate con l’Avvocatura dello Stato si è costituita con apposito atto al solo fine di partecipare all’udienza di discussione, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto inammissibile ed infondato.

Non sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c., dalle parti, i cui difensori sono peraltro comparsi alla pubblica udienza fissata per il 20 settembre 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso (con riferimento a quanto dichiarato verbalmente dal difensore del ricorrente all’udienza) che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo (V. tra le altre Cass. lav. n. 1757 del 29/01/2016. In senso analogo Cass. 3 civ. n. 24635 del 03/12/2015, nonchè Cass. 1 civ. del 31/10/2011 secondo cui, non essendo applicabile l’interruzione per il decesso della parte, anche se dichiarata dal difensore, quest’ultimo può continuare successivamente nella sua attività difensiva. Conformi Sezioni unite civili n. 14385 del 2007).

Tanto premesso, il ricorso va respinto in forza delle seguenti considerazioni.

Ed invero, nella specie sembra di comprendere dalle difese di parte ricorrente che l’accertamento sia avvenuto in base alle risultanze catastali (c.d. procedimento automatico ex art. 52, comma 4), nel senso cioè che il valore reale è stato ritenuto quanto meno pari a quello da rendita catastale. Dunque, in effetti mediante rettifica ex art. 51, non preclusa dell’art. 52, comma 4, poichè nella specie il dichiarato era inferiore all’accertamento automatico secondo catasto.

Sembra pacifico, quindi, che l’accertamento a seguito di rettifica sia avvenuto in misura pari ai valori catastali e non superiore agli stessi, perciò in misura inferiore ai valori di mercato. L’obbligo di motivazione ex art. 54, comma 2 bis, deve invece ritenersi piuttosto riferito all’ipotesi in cui l’accertamento superi i minimi catastali.

Orbene, in tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, non attribuisce al contribuente il diritto di ottenere, in ogni caso, la determinazione della base imponibile tramite il meccanismo di calcolo di cui al combinato disposto degli artt. 51 e 52 del citato D.P.R., atteso che la norma sopra citata non ha inteso individuare, per gli immobili, una base imponibile diversa dal valore venale del bene, ma ha introdotto, per converso – al fine di ridurre le controversie tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, – una mera preclusione al potere di accertamento dell’Amministrazione stessa qualora nell’atto venga indicato almeno un valore non inferiore a quello ottenibile con il procedimento di valutazione cosiddetto “automatica” (Cass. civ. 5 n. 12448 del 07/07/2004.

Parimenti Cass. n. 3573 del 13/02/2009 ha ritenuto che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, non attribuisce al contribuente il diritto di ottenere, in ogni caso, la determinazione della base imponibile tramite il meccanismo di calcolo di cui al combinato disposto degli artt. 51 e 52 del citato D.P.R., atteso che la norma sopra citata non ha inteso individuare, per gli immobili, una base imponibile diversa dal valore venale del bene, ma ha introdotto, per converso – al fine di ridurre le controversie tra Amministrazione finanziaria e contribuenti – una mera preclusione al potere di accertamento dell’Amministrazione stessa qualora nell’atto venga indicato un valore non inferiore a quello ottenibile con il procedimento di valutazione cosiddetta “automatica”. Ne consegue che, se il contribuente indichi un valore superiore, non può poi legittimamente richiedere che l’imposta venga commisurata al valore individuabile attraverso il procedimento automatico predetto).

Quanto, poi, alla censurata carente motivazione dell’accertamento de quo, va rilevato che secondo la C.T.R. ad ogni modo in sede contenziosa l’Ufficio aveva descritto compiutamente il metodo utilizzato. Quindi, il collegio aveva ritenuto che il ricorso alla rendita iscritta in catasto, per procedere alla valutazione automatica dell’immobile, indubbiamente con particolarità significative, fosse stato pienamente legittimo. Inoltre, l’eventuale natura non speculativa dell’atto di cessione non influiva sull’entità dell’imposizione, essendo la base imponibile dell’imposta di registro costituita, per i contratti a titolo oneroso traslativi di diritti reali, dal valore del bene alla data dell’atto, rilevando altresì che il contribuente nulla aveva eccepito contro l’entità della rendita iscritta negli atti catastali.

Orbene, in tema di imposta di registro ed INVIM, anche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 212 del 2000, art. 7, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 3, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato, con le specificazioni in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass. civ. Sez. 6-5, ordinanza n. 11560 del 06/06/2016, conforme Cass. n. 6914 del 2011.

Cfr. altresì Cass. n. 6364 del 04/12/2008 – 16/03/2009: “… Questa Corte ha infatti più volte affermato, in tema di imposta di registro ed INVIM che “l’obbligo della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica del valore dichiarato mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio finanziarlo nell’eventuale successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che in tale atto è sufficiente che l’Ufficio enunci i criteri astratti in base ai quali ha determinato il diverso valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per il raggiungimento di detto obiettivo. Diversamente in sede contenziosa, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare gli elementi di fatto giustificativi del quantum accertato nel quadro dei parametri prescelti, mentre il contribuente ha la facoltà di dimostrare l’infondatezza della pretesa anche in base a criteri non utilizzati dall’Ufficio (Cass. n. 3309 del 2004, n. 4632 del 2003, n. 26458 del 2008)…”.

Cfr. ancora Cass. civ. 5 n. 25153 – 08/11/2013, secondo cui la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio(nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2-bis, del dovere di allegazione delle informazioni date dal cedente (l’azienda) ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento. Conforme n. 14027 del 2012).

Dunque, le critiche di parte ricorrente appaiono inconferenti, in quanto limitate al dato puramente formale e senza peraltro neanche tenere conto delle anzidette specifiche argomentazioni in base alle quali i giudici di merito hanno considerato del tutto irrilevante nella specie l’insufficiente motivazione contenuta nell’avviso opposto dal contribuente, tenuto conto delle integrazioni acquisite in sede contenziosa, e rilevato, per contro, che il valore dichiarato dell’immobile oggetto d’imposizione era addirittura inferiore a quello catastalmente determinato, i cui parametri a loro volta erano di certo inferiori a quelli correnti di mercato.

Per contro, il ricorrente nel limitarsi a censure puramente formali, finisce anche per ammettere il difetto di un suo concreto interesse ad un diverso accertamento, laddove testualmente così si esprime circa l’utilizzo della rendita catastale dell’immobile, in violazione dell’art. 51 T.U.: non rilevando in alcun modo la circostanza che l’accertamento sia stato più o meno favorevole per il contribuente.

Il procedimento seguito, anche se probabilmente più favorevole per il sig. V.L.F., deve comunque essere considerato illegittimo…”; il tutto, per giunta, senza per nulla riportare il testo dell’avviso di accertamento in questione, perciò con palese difetto di autosufficienza del ricorso de quo (art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, nonchè art. 369 c.p.c., n. 4).

Pertanto, l’impugnazione va respinta con conseguente condanna della parte rimasta soccombente alle spese.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in Euro 3700,00 (tremilasettecento/00), oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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