Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5658 del 02/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 02/03/2020), n.5658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11726/2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Siderurgia Innovativa Meridionale s.r.l., in persona del l.r.p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Napolitano e

Alessandra Militerno, elettivamente domiciliata presso il primo in

Roma alla via Po n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 132/50/12 della Commissione tributaria

regionale della Campania, emessa in data 14/11/2011, depositata il

19/3/2012 e non notificata. Udita la relazione svolta, nella camera

di consiglio del 17 dicembre 2019, dal consigliere Dott.ssa

Giudicepietro Andreina.

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi avverso la Siderurgia Innovativa Meridionale s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 132/50/12 della Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito C.t.r), emessa in data 14/11/2011, depositata il 19/3/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento per maggiori Irpeg, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2002;

a seguito del ricorso, la società resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 dicembre 2019, ai sensi degli artt. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, la ricorrente censura la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, la C.t.r ha fondato il proprio giudizio unicamente sulle risultanze del processo penale, svoltosi nei confronti dell’amministratore unico della società, senza tener conto del fatto che il giudicato penale non ha efficacia vincolante nel processo tributario, stante il differente regime probatorio ed i diversi criteri di imputazione della responsabilità;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 59, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo la ricorrente, la C.t.r., avendo ritenuto che la contribuente fosse incorsa in un’ipotesi di sovrafatturazione, avrebbe dovuto determinare ai fini impositivi il valore dei ricavi e l’importo dell’eventuale credito Iva nei confronti dell’erario;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, consistente nella circostanza che i costi in oggetto erano riportati nella contabilità societaria sia nel libro giornale, sia nel registro Iva;

inoltre, la C.t.r. non avrebbe tenuto conto del fatto che la sentenza penale non aveva escluso l’inesistenza delle operazioni;

il primo ed il terzo motivo sono fondati e vanno accolti, con conseguente assorbimento del secondo;

invero, questa Corte ha affermato che “in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28174 del 24/11/2017);

è stato ulteriormente chiarito che “nel processo tributario, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria le prove assunte in un diverso processo e anche in sede penale, pure se questo è destinato a concludersi con una pronuncia non opponibile alle parti del giudizio civile, purchè tali prove vengano dal giudice tributario sottoposte ad una propria ed autonoma valutazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6918 del 20/03/2013);

nel caso di specie il giudice di appello si è limitato ad un richiamo, oltremodo generico, all’esito del giudizio penale (di assoluzione) e ad una perizia svolta in quella sede, senza specificarne in alcun modo il contenuto, nè i motivi per cui risulterebbe decisiva nel giudizio tributario, a fronte dell’accertamento dell’Ufficio, che evidenziava specificamente la mancata o parziale esecuzione dei lavori oggetto delle operazioni fatturate, la carenza di documentazione relativa alle opere in subappalto e l’insufficienza della struttura sociale della cooperativa General Costruzioni s.r.l. a svolgere i lavori ad essa commissionati, per i quali aveva emesso quattro fatture;

la sentenza impugnata, che non si è conformata ai principi sopra richiamati, va cassata con rinvio alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame ed anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;

l’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo;

ad ogni buon conto, va osservato che, quand’anche il giudice di appello dovesse ritenere parzialmente fondate le censure della contribuente, il medesimo non dovrebbe limitarsi ad annullare gli atti impositivi, ma dovrebbe esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. 13034/12, 11935/12, e molte altre);

infine, appare fondata anche la doglianza relativa all’insufficiente motivazione, contenuta nel terzo motivo di ricorso, poichè il giudice di appello, nell’escludere che i costi in contestazione abbiano concorso alla determinazione del reddito di esercizio, non chiarisce gli elementi sui quali basa il proprio convincimento, nè fa alcun riferimento alle risultanze della contabilità della società, che, secondo quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate, tiene conto degli stessi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 2 marzo 2020

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